Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 13561 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 13561 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 29/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 29/08/1949; COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 07/05/1986; COGNOME NOME, nata a Napoli il 02/04/1981; avverso la sentenza del 10/04/2024 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili; udito il difensore, avv. NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 10 aprile 2024, la Corte di appello di Napoli ha parzialmente riformato la sentenza del Gip del Tribunale di Napoli del 29 ottobre 2018, resa all’esito di giudizio abbreviato, con la quale gli imputati erano stati
condannati: COGNOME NOME e COGNOME NOME per il reato di cui all’art. 74, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 309 del 1990 – perché si associavano tra loro e con altri soggetti non compiutamente identificati, costituendo una stabile struttura organizzativa, allo scopo di commettere una pluralità indeterminata di delitti previsti dall’art. 73 dei d.P.R. n. 309 del 1990 (capo E) – e per una serie di reati scopo – per COGNOME NOME: capi E3), E5), E6), E8), E9), E12); per COGNOME NOME: capi D9), El), E2), E3), E4), E6), E12) – consistiti nella detenzione e nella cessione di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, marijuana e hashish; COGNOME NOME per plurimi reati ex art. 73, commi 1 e 4, del d.P.R. n. 309 del 1990, anch’essi consistiti nella detenzione e successiva cessione di sostanza stupefacente di tipo cocaina e hashish – capi D1), D2), D3), D4), D5), D6), D8), D9), E3), E4), E6), E8), E10).
La Corte di appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati, in relazione ai reati a loro rispettivamente ascritti ai capi D1), D2), D3), D4), D5), D8), D9, E1), E3), E4), E5), E6), E8), E9), E10), E12), perché estinti per prescrizione e ha rideterminato le pene originariamente inflitte in quella di: anni 6 e mesi 8 di reclusione per COGNOME NOME, relativamente al residuo reato associativo di cui al capo E); anni 4 di reclusione ed euro 18.800,00 di multa per COGNOME NOME, con riguardo al restante reato di cui al capo D6); anni 7, mesi 1 e giorni 10 di reclusione per COGNOME NOME, in ordine ai residui reati di cui ai capi E) e E2). Ha confermato nel resto la sentenza impugnata.
Avverso la sentenza, COGNOME NOME e COGNOME tramite il medesimo difensore, hanno proposto due distinti ricorsi per cassazione, dal contenuto analogo, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamentano la violazione degli artt. 191, 203, 266, 267 e 271 cod. proc. pen., 13 del d.l. n. 152 del 1991 e 15 Cost., nonché il relativo vizio di motivazione, con riferimento alla ritenuta liceità di tu le intercettazioni telefoniche effettuate nel corso delle indagini, specificamente autorizzate con il decreto pilota n. 679/12 del 9 febbraio 2012 e con i decreti derivati nn. 1101/12, 1684/12, 1023/12, 1743/12.
A parere della difesa, tali intercettazioni – costituenti gran parte dell piattaforma indiziaria – non avrebbero potuto essere utilizzate ai fini dell’accertamento della responsabilità penale degli imputati, poiché disposte in assenza dei sufficienti indizi di reato richiesti per la fattispecie di cui all’art. 7 d.P.R. n. 309 del 1990, nonché in mancanza del requisito della necessità per lo svolgimento delle indagini.
I giudici di merito avrebbero erroneamente valorizzato i contatti telefonici ed i precedenti penali e di polizia dei soggetti intercettati, recependo acriticamente la richiesta del Pubblico Ministero e la relativa nota della polizia giudiziaria operante e mancando tuttavia di dare rilievo ad elementi univocamente sintomatici della partecipazione degli interlocutori ad un’associazione per delinquere dedita al traffico di stupefacenti. Inoltre, non ci si sarebbe confrontati con l’assenza di una base informativa in grado di certificare la necessità di procedere all’attività d’intercettazione, dal momento che l’unica notitia criminis concretamente verificabile era costituita da quella posta a fondamento dell’arresto di tale COGNOME COGNOME per detenzione illecita di sostanze stupefacenti, intervenuta sette mesi prima e per un reato estraneo al novero dei delitti di criminalità organizzata.
2.2. Con un secondo motivo di impugnazione, si censurano la violazione delle disposizioni incriminatrici e degli artt. 192, comma 2, e 533, comma 1, cod. proc. pen., nonché il connesso difetto di motivazione, sul rilievo che i giudici di merito avrebbero fallacemente ritenuto sussistente la partecipazione degli imputati al sodalizio criminoso in ragione della sistematica reiterazione di reati scopo, omettendo di considerare l’inidoneità della commissione di ripetuti reati ex art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 a costituire, di per sé, prova dell’integrazione del delitto associativo.
Al contrario di quanto argomentato nella sentenza impugnata, difetterebbero, nel caso di specie, i molteplici requisiti dell’associazione di cui al paradigma normativo previsto dall’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, mancando la prova sia dell’esistenza dell’accordo associativo che di una permanente struttura organizzativa divenuta operativa proprio per la commissione di una pluralità di reati inerenti al traffico di stupefacenti. Né la compartecipazione di più soggetti con predisposizione di ruoli ben definiti né l’adozione di mezzi specifici, quali autovetture, luoghi di deposito, disponibilità finanziarie, rappresenterebbero infatti elementi distintivi dell’ipotesi associativa, trattandosi di componenti sovente ricorrenti anche nella commissione di singoli episodi criminosi di compravendita di sostanze stupefacenti, in ipotesi riconducibili anche alla fattispecie di concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio.
La motivazione della sentenza della Corte di appello, ad avviso dei ricorrenti, è dunque sostanzialmente carente e contraddittoria, nella parte in cui, ancorando la sussistenza del vincolo associativo alle modalità realizzative delle contestate cessioni, non considera: a) l’irrilevanza del richiamo agli arresti di COGNOME NOME e NOME COGNOME, entrambi estranei alla compagine associativa; b) la circostanza che, dopo l’arresto di tale COGNOME NOME, presunto corriere dell’associazione, l’attività illecita sarebbe immediatamente cessata; c) la brevità del lasso temporale, caratterizzante l’accertamento delle condotte di reato in
contestazione, pari al periodo di tempo intercorrente tra il 29 marzo ed il 2 maggio 2012, impeditiva di per sé sola della ritenuta stabilità del contestato vincolo associativo.
2.3. Con un terzo motivo di censura, ci si duole invece del mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 74, comma 6, del d.P.R. n. 309 del 1990, della violazione degli artt. 192, comma 2, e 533, comma 1, cod. proc. pen., e di vizi della motivazione del provvedimento gravato.
Nel caso di specie, la sentenza impugnata non avrebbe considerato molteplici elementi positivi – quali: la lieve entità delle singole cessioni, l’assenza di fornit ed acquirenti stabili, la frequenza e l’esiguità degli acquisti, la penuria di risor finanziarie, l’inesistenza di utenze telefoniche, autovetture ed immobili dedicati, la mancanza di una piazza di spaccio al minuto, l’estraneità del gruppo da contesti di criminalità dominanti il territorio, la sussistenza di un organigramma soggettivo ristretto ed a base esclusivamente familiare, nonché la compatibilità dei quantitativi di stupefacente sequestrati con il riconoscimento della fattispecie di lieve entità prevista dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 – omettendo altresì di quantificare, anche solo a livello presuntivo, il volume di affari tratt dai presunti sodali e la sua concreta significatività, a fronte della riconosciuta contraddittoria – sussistenza di frequenti cessioni di piccola entità.
2.4. Con un quarto motivo di gravame, si denuncia la violazione degli artt. 110 cod. pen., 74, comma 1, e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, 192, comma 2, e 533, comma 1, cod. proc. pen., nonché il connesso vizio di motivazione, per avere la Corte di appello di Napoli erroneamente ritenuto integrata, da parte degli imputati, la condotta di partecipazione al sodalizio criminale di cui al capo E) dell’imputazione, malgrado la sussistenza di plurimi elementi di segno contrario.
Per quanto concerne COGNOME NOME, non si sarebbero considerati la brevità del lasso temporale in cui si sarebbero consumati i delitti a lui contestati, l’estraneità di costui rispetto a tutte le altre attività illecite registrat intercettazioni e le logiche di mera contiguità familiare in cui l’adempimento del compito assegnato al padre dal figlio poteva ragionevolmente inserirsi. Dal provvedimento impugnato, in particolare, non emergerebbero né la stabilità del contributo offerto dal ricorrente all’associazione capeggiata dal figlio, COGNOME né la volontà di costui di partecipare a tale consorteria, ma si evincerebbero, al più, condotte autonome di reato, finalizzate alla consumazione del concorso nei delitti ex art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990. Ciò che emergerebbe dalle intercettazioni effettuate, infatti, sarebbe il mero contributo forni dall’imputato al COGNOME non essendo in discussione che il primo abbia chiamato in quattro occasioni i fornitori – del secondo, fissando con loro gli incontri e accompagnandolo talvolta a ritirare la merce.
Per quanto riguarda, invece, COGNOME NOME, sarebbe la poliedricità del ruolo a costei assegnato ad assurgere ad elemento incompatibile con la asserita stabilità del vincolo associativo: i sette episodi di concorso nel delitto ex art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 a lei contestati – da cui il giudice di primo grado aveva inferito la partecipazione al sodalizio criminale – infatti, restituendo il compito dell donna di provvedere al prelievo presso i fornitori, al frazionamento ed al confezionamento dello stupefacente destinato alla vendita nonché alla distribuzione dello stesso per la successiva consegna agli acquirenti, fotograferebbero condotte meramente occasionali ed estemporanee, prive del carattere della ripetitività, oltre che ravvicinate nel tempo, come tali riconducibil alla diversa fattispecie giuridica del concorso di persone. Si dovrebbe apprezzare, anche in questo caso, il contesto di mera contiguità temporale in cui le summenzionate condotte erano destinate ad inserirsi, facendo capo la consorteria criminale in contestazione al compagno della donna, COGNOME
2.5. Con un ultimo motivo di ricorso, i ricorrenti contestano, infine, la violazione degli artt. 62-bis, 81, 132 e 133 cod. pen. ed i connessi vizi motivazionali.
I giudici di secondo grado, nel confermaré il diniego delle circostanze attenuanti generiche e nel motivare la commisurazione complessiva della pena valorizzando l’allarmante gravità dei fatti e l’assenza di qualsivoglia forma di resipiscenza, avrebbero offerto sul punto una motivazione generica, riferita a tutti e tre gli odierni imputati e per questo priva della necessaria differenziazione del diverso comportamento illecito tenuto da ciascuno di essi, altresì non considerando: a) lo stato di incensuratezza sia della COGNOME che del COGNOME NOME, ultrasettantenne; b) la risalente disarticolazione dell’associazione su base familiare e a ristrettissimo organigramma; c) lo spaccio di piccolo cabotaggio, avente ad oggetto prevalentemente hashish; d) il minimo contributo fornito e la limitata adesione all’organizzazione criminale in contestazione; e) la spontanea dissociazione dei ricorrenti, occorsa a partire dal 2 maggio 2012, a seguito dell’arresto di tale COGNOME; f) il corretto comportamento processuale degli imputati.
Avverso la sentenza, anche COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, con il quale, dopo aver presentato un primo motivo di doglianza identico nel contenuto a quello riportato sub 2.1. nell’interesse dei coimputati COGNOME NOME e COGNOME NOME – che qui si intende dunque integralmente richiamato – propone una seconda censura, con cui lamenta la violazione degli artt. 56 cod. pen., 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, 192, comma 2, 125, comma 3, e 533, comma 1, cod. proc. pen., ed il connesso difetto di
motivazione, relativamente al mancato riconoscimento della fattispecie tentata del reato di cessione di sostanze stupefacenti.
Secondo la prospettazione difensiva, pur essendo corretta l’imputazione relativa al capo D6) nella parte in cui, con riferimento al contestato delitto previsto dagli artt. 81 e 110 cod. pen., e 73, commi 1 e 6, del d.P.R. n. 309 del 1990, ha considerato il ricorrente “mandante” della cessione di cocaina dal fratello NOME all’acquirente “NOME“, mancherebbe, nel caso di specie, la prova in ordine al reale perfezionamento della cessione dello stupefacente preventivata dai due interlocutori; di talché, l’odierno imputato avrebbe dovuto rispondere del semplice tentativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
All’esame dei ricorsi si procederà esaminando in primo luogo ed unitariamente i motivi che, avendo contenuto analogo, possono ritenersi sovrapponibili.
I rilievi con cui gli imputati COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME eccepiscono l’inutilizzabilità delle intercettazioni disposte con i decreti nn. 679/12, 1101/12, 1684/12, 1023/12, 1743/12, per violazione degli artt. 191, 203, 266, 267 e 271 cod. proc. pen., 13 del d.l. n. 152 del 1991 e 15 Cost., e per difetto di motivazione, sono manifestamente infondati e generici, oltre che non consentiti in sede di legittimità.
2.1. Sul punto, occorre preliminarmente ribadire che, ai fini dell’applicazione della disciplina derogatoria delle norme codicistiche prevista dall’art. 13 del d.l. n. 152 del 1991, convertito in legge n. 203 del 12 luglio 1991, per procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata devono intendersi quelli elencati nell’ar 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen., nonché quelli comunque facenti capo ad un’associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato (Sez. U, n. 26889 del 28/04/2016, Rv. 266906).
Ne consegue Che, ai fini dell’autorizzazione delle intercettazioni telefoniche ed ambientali per reati associativi – ivi compreso, dunque, il reato di cui all’art. 7 del d.P.R. n. 309 del 1990, per il quale si procede nel caso in esame – sono richiesti “sufficienti”, e non “gravi”, indizi di reato. In tema di presupposti sulla cui bas può esser adottato il provvedimento autorizzatorio delle intercettazioni, infatti, benché l’articolo 267, comma 1, cod. proc. pen. individui, tra questi, quello dei “gravi indizi di reato” (o dei “sufficienti indizi”, allorché si verta – come nella spe – in ipotesi di criminalità organizzata ex art. 13 del d.Ig. n. 152 del 1991, convertito
in legge n. 203 del 12 luglio 1991), è escluso che a quel presupposto possa essere attribuito un connotato di tipo probatorio in chiave di prognosi, seppure indiziaria, di colpevolezza, necessitando solo l’esistenza – in chiave probabilistica; o nel caso dei reati di criminalità organizzata, nel più ristretto ambito della sufficienz indiziaria – di un “fatto storico” integrante una determinata ipotesi di reato, il c accertamento imponga l’adozione del mezzo di ricerca della prova, da circoscrivere con particolari garanzie, in ragione della peculiare invasività del mezzo rispetto all’area dei valori presidiati dalla Costituzione. Da ciò deriva che il legislatore mirando a prevenire qualsiasi uso non necessario di uno strumento tanto insidioso per la sfera della libertà e segretezza delle comunicazioni, espressamente prescrive un controllo penetrante soltanto con riferimento all’esistenza delle esigenze investigative ed alla finalizzazione delle intercettazioni al relativo soddisfacimento; senza, quindi, alcun riferimento alla delibazione, nel merito, di una ipotesi accusatoria, che può ancora non avere trovato una sua consistenza.
In una tale prospettiva, dunque, la motivazione del decreto non deve esprimere una valutazione sulla fondatezza dell’accusa, ma solo un vaglio di effettiva serietà del progetto investigativo (Sez. 5, n. 41131 del 08/10/2003, Rv. 227053), conseguendone che la principale funzione di garanzia della motivazione del decreto risiede nella individuazione della specifica vicenda criminosa cui l’autorizzazione stessa si riferisce, in modo da prevenire il rischio di autorizzazione in bianco e di impedire altresì che l’intercettazione, da mezzo di ricerca della prova, si trasformi in mezzo per la ricerca della notizia di reato.
Ciò che, in altri termini, equivale a dire che, in tema di intercettazione di conversazioni o comunicazioni, il presupposto della sussistenza dei gravi indizi di reato non va inteso in senso probatorio (ossia come valutazione del fondamento dell’accusa), ma come vaglio di particolare serietà delle ipotesi delittuose configurate, che non devono risultare meramente ipotetiche (ex plurimís, Sez. 3, n. 14954 del 02/12/2014, dep. 2015, Rv. 263044; Sez. 1, n. 30527 del 30/03/2023, non massimata; Sez. 6, n. 22390 del 30/03/2023, non massimata).
2.2. Peraltro, poiché il ricorso a intercettazioni telefoniche nel corso di indagini relative a delitti di criminalità organizzata è consentito in presenza di sufficient indizi di reato e quando le stesse risultino necessarie per il proseguimento delle indagini, in ipotesi di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti sono da ritenere idonee a integrare il requisito della sufficienza degli indizi di reato le informazioni legittimamente acquisite dagli organi di polizia giudiziaria, riferite al Pubblico Ministero, e da questo poste a fondamento della richiesta di autorizzazione alle intercettazioni medesime (ex multis, Sez. U., n. 17 del 21/06/2000, Rv. 216663; Sez. 5, n. 36913 del 05/06/2017, Rv. 270758;
Sez. 1, n. 20262 del 22/04/2010, Rv. 247209; Sez. 6, n. 1625 del 06/12/2002, dep. 2003, Rv. 223283),
2.3. Ebbene, nel caso di specie, la sentenza impugnata ha dato atto dei contenuti del decreto autorizzativo e ha correttamente riscontrato la sua conformità ai principi di diritto sopra richiamati, osservando come, dalle intercettazioni disposte in relazione all’utenza telefonica in uso a tale COGNOME NOMECOGNOME arrestato per detenzione illecita di sostanze stupefacenti, fosse emersa una fitta rete di contatti con soggetti già noti agli organi di polizia per commissione di reati in materia di stupefacenti e per illeciti relativi all’uso di ar – tra i quali, COGNOME NOME, arrestato in data 2 febbraio 2006 per detenzione di pistola con matricola abrasa e in data 5 settembre 2006 per detenzione illecita di stupefacenti, COGNOME NOME, COGNOME e COGNOME NOME – tali da rendere concreta l’ipotesi investigativa circa l’esistenza di un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.
La Corte di appello, dunque, ha rilevato come i decreti autorizzativi delle intercettazioni fossero fondati su elementi concreti, esattamente individuati e conducenti nel senso della sussistenza sia del requisito dei sufficienti indizi di reato che della necessità di ricorrere a tale mezzo di ricerca della Prova. Mentre il convincimento della difesa si presenta nei termini di una valutazione antagonista a quella dei giudici di merito, che risulta invero insindacabile in sede di legittimità in quanto fondata su una motivazione adeguata, logica, non contraddittoria e correttamente ancorata alle risultanze probatorie emerse nel corso delle indagini.
2.4. Anche a prescindere da tali assorbenti considerazioni, peraltro, la doglianza appare formulata in maniera del tutto aspecifica, non risultando alcuna indicazione del contenuto degli specifici colloqui che si assumono inutilizzabili, in modo che possa evincersene l’effettiva incidenza sulla ricostruzione operata dai giudici di merito. Ed è inammissibile il ricorso con il quale ci si dolg dell’inutilizzabilità delle intercettazioni, senza l’indicazione specifica delle ragi per cui gli atti inficiano o compromettono in modo decisivo la tenuta logica e l’interna coerenza della motivazione (ex multis, Sez. 5, n. 25082 del 27/02/2019, Rv. 277608 – 02; Sez. 6, n. 18725 del 19/04/2012, Rv. 252644).
Nel caso di specie,. la difesa non fornisce, neanche in via di mera prospettazione, elementi tali da scardinare la tenuta logica del provvedimento impugnato, perché richiede sostanzialmente una rivalutazione del quadro indiziario, preclusa in sede di legittimità, perché non riconducibile allo schema delle doglianze deducibili ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., proponendo dunque rilievi difensivi generici, di tipo strettamente valutativo e congetturale, dirett sconfessare la consistenza probatoria delle risultanze indiziarie, che mal si confrontano con la motivazione della sentenza impugnata, la quale, all’opposto,
2113,
come già chiarito sub 2.3., ha, con motivazione logica ed immune da censure, specificamente dato conto del contenuto e della rilevanza delle captazioni disposte.
In materia di intercettazioni, del resto, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità, se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione (ex plurimis, Sez.3, n. 44938 del 05/10/21, Rv. 282337; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, Rv. 268389; Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263715; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Rv. 257784).
Le doglianze, presentate nell’interesse di COGNOME NOME e COGNOME, con riguardo alla violazione degli artt. 74, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990, 110 Cod. pen. e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, 192, comma 2, e 533, comma 1, cod. proc. pen., ed al correlato vizio di motivazione, relativamente alla asserita sussistenza del sodalizio criminoso in contestazione, sono inammissibili perché dirette, con argomentazioni in parte generiche, a sollecitare una diversa lettura delle risultanze probatorie concretamente restituite dagli atti di indagine, oltre che una rivalutazione di elementi già presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito, come tale preclusa al sindacato di legittimità. Le asserzioni difensive si riducono, in altri termini, ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare un’effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame (ex plurimis, Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970).
3.1. In punto di diritto, peraltro, deve essere richiamata la giurisprudenza di legittimità consolidatasi in materia di configurabilità di un’associazione finalizzata al narcotraffico.
Si ribadisce, in primo luogo, che, ai fini della sussistenza di un’associazione per delinquere ascrivibile al paradigma normativo ex art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, è necessario: a) che almeno tre persone siano tra loro vincolate da un patto associativo (sorto anche in modo informale e non contestuale) avente ad oggetto un programma criminoso nel settore degli stupefacenti, da realizzare attraverso il coordinamento degli apporti personali; b) che il sodalizio abbia a disposizione, con sufficiente stabilità, risorse umane e materiali adeguate per una credibile attuazione del programma associativo; c) che ciascun associato, a conoscenza quantomeno dei tratti essenziali del sodalizio, si metta stabilmente a disposizione di quest’ultinno (ex plurimis, Sez. 6, n. 7387 del 03/12/2013, dep. 2014, Rv. 258796; Sez. 6, n. 7187 del 27/11/2003, Rv. 228600; Sez. 3, n. 34678 del 06/07/2005, Rv. 232473). Alla base dell’associazione finalizzata al traffico di
sostanze stupefacenti ex art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, dunque, è identificabile un accordo destinato a costituire una struttura permanente in cui i singoli divengono – ciascuno nell’ambito dei compiti assunti o affidati – parti di un tutto finalizzato a commettere una serie indeterminata di delitti tra quelli di cui all’art 73 del predetto decreto, preordinati alla cessione o al traffico di sostanze stupefacenti; patto che, tuttavia, non deve necessariamente consistere in un preventivo accordo formale, ma può essere anche non espresso e costituirsi di fatto fra soggetti consapevoli che le attività proprie ed altrui ricevono vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscono all’attuazione dello scopo comune (ex plurimis, Sez. 3, n. 32485 del 24/05/2022, Rv. 283691; Sez. 2, n. 51714 del 23/11/2023, Rv. 285646). La prova del vincolo associativo, in altre parole, può essere desunta anche dalle modalità esecutive dei reati fine e dalla loro ripetitività, dalla natura dei rapporti tra i loro autori, dalla ripartizione di compiti e ruoli vari soggetti in vista del raggiungimento del comune obiettivo di effettuare attività di commercio di stupefacenti (ex multis, Sez. 6, n. 9061 del 24/09/2012, dep. 2013, Rv. 255312), potendo dunque essere data anche per mezzo dell’accertamento di facta concludentia, quali i continui contatti tra gli spacciatori, i frequenti viaggi per il rifornimento della droga, le basi logistiche, le forme copertura e i beni necessari per le operazioni delittuose, le forme organizzative, sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra gli associati, la commissione di reati rientranti nel programma criminoso e le loro specifiche modalità esecutive (Sez. 3, n. 47291 del 11/06/2021, Rv. 282610).
Quanto al dato organizzativo, invece, non è necessario che la consorteria sia dotata di una complessa e articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilità economiche, essendo, a tal fine, sufficiente l’esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibili dalla predisposizione di mezzi, per il perseguimento del fine comune, create in modo da concretare un supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, con il contributo dei singoli associati (ex multis, Sez. 2, n. 19146 del 20/02/2019, Rv. 275583; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Rv. 258165).
3.2. Posto ciò sui principi operanti in materia, nel caso.in esame, la Corte di appello ha opportunamente ritenuto sussistente la gravità indiziaria in ordine al reato associativo, evidenziando che le complessive risultanze probatorie comprovavano plurimi elementi fattuali dimostrativi dell’esistenza di una associazione finalizzata al narcotraffico, diretta e capeggiata da COGNOME con il fondamentale contributo: di COGNOME NOME, che occultava e deteneva la sostanza destinata alla successiva vendita; di COGNOME NOME, incaricato, con il ruolo di corriere, di provvedere al trasporto dello stupefacente dai fornitori ai luoghi in cui esso era occultato; di COGNOME NOME, con ruolo
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di supporto al cognato COGNOME NOME nelle varie fasi dell’attività illecita; di COGNOME NOME, avente il compito di tenere i contatti telefonici con i fornitori ed organizzare gli incontri con quest’ultinni per l’acquisto dello stupefacente da immettere sul mercato; di COGNOME NOMECOGNOME con il compito di provvedere al prelievo presso i fornitori, altresì incaricata del frazionamento e confezionamento dello stupefacente destinato alla vendita ed alla distribuzione dello stesso per la successiva consegna agli acquirenti.
Con motivazione pienamente logica, i giudici di merito hanno adeguatamente esplicitato le ragioni per le quali il compendio probatorio risulta effettivamente in grado di dimostrare che i rapporti tra gli imputati ed il gruppo fossero caratterizzati dal coefficiente di stabilità indispensabile per il riconoscimento della sussistenza del sodalizio e che la struttura associativa apparisse più che idonea al perseguimento delle finalità illecite, evidenziando specificamente: la reiterazione dei rifornimenti; la stabilità e la continuità dei rapporti tra i sodali; nonc l’adozione di specifiche cautele idonee ad eludere i controlli di polizia, oltre che di autovetture dedicate, luoghi di deposito appositi e specifiche disponibilità finanziarie.
3.3. Ne consegue che, contrariamente a quanto prospettato dalla difesa, avuto riguardo a quanto sopra evidenziato, non può parlarsi, nella specie, di concorso nei singoli reati di spaccio, ma di vera e propria associazione, ravvisandosi gli elementi aggiuntivi e distintivi del delitto di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309 d 1990, consistenti: nelle modalità realizzative della pluralità dei reati fin commessi; nella sussistenza di una stabile organizzazione, costituita da uomini e mezzi, capace di operare a prescindere dalla programmazione delle singole condotte; nell’efficace suddivisione dei ruoli tra i sodali, le cui attività integravano strumentalmente per il perseguimento del fine comune.
3.4. Alla luce di tali precedenti considerazioni, la ricostruzione della Corte territoriale in punto di sussistenza dell’organizzazione criminale deve dunque ritenersi frutto di una esauriente e razionale rassegna degli elementi investigativi acquisiti, dei quali la difesa propone sostanzialmente una diversa lettura, che non può trovare ingresso in questa sede, senza neanche confrontarsi integralmente con le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Rv. 243838).
Secondo la linea interpretativa da tempo tracciata da questa Corte regolatrice, del resto, l’epilogo decisorio non può essere invalidato da prospettazioni alternative che si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili, o perché
assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (ex plurimis, Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, Rv. 235507).
Le censure afferenti alla mancata riqualificazione del delitto associativo ascritto a COGNOME NOME e COGNOME NOME nella fattispecie di lieve entità di cui all’art. 74, comma 6, del d.P.R. n. 309 del 1990, sono anch’esse manifestamente infondate, oltre che reiterative di critiche già esaminate e motivatamente disattese dalla Corte territoriale.
Quest’ultima ha correttamente escluso la configurabilità della fattispecie di cui all’art. 74, comma 6, del d.P.R. n. 309 del 1990, muovendo dall’analisi dell’attività illecita ascritta ai ricorrenti, ed in particolare valorizzando congiuntamente la quantità e la frequenza delle cessioni effettuate dal sodalizio criminoso – talune aventi ad oggetto anche droghe pesanti – ad una pluralità di acquirenti: elementi, questi, che i giudici di merito ragionevolmente hanno ritenuto sintomatici di un’attività illecita estesa, avente un ampio volume d’affari, come tali idonei ad escludere la praticabilità della derubricazione auspicata dalla difesa. Né risultano contestate, nel caso di ‘specie, condotte rientranti nella previsione di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990.
In punto di diritto, infatti, è principio consolidato nella giurisprudenza d legittimità quello secondo cui non è sufficiente considerare la natura dei singoli episodi di cessione accertati in concreto, ma occorre valutare il momento genetico dell’associazione, nel senso che essa deve essere stata costituita per commettere cessioni di stupefacente di lieve entità, e le potenzialità dell’organizzazione, con riferimento ai quantitativi di sostanze che il gruppo è in grado di procurarsi (ex plurimis, Sez. 3, n. 44837 del 06/02/2018, Rv. 274696). Il che, in altri termini, equivale a dire che la fattispecie associativa prevista dall’art. 74, comma 6, del d.P.R. n. 309 del 1990, è configurabile a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entità, predisponendo modalità strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravità e che, in concreto, l’attività associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 (ex plurimis, Sez. 6, n. 1642 del 09/10/2019, Rv. 278098).
E ciò a prescindere dal fatto che, anche laddove l’associazione sia finalizzata alla commissione di episodi di cessione che, considerati singolarmente, presentano le caratteristiche dei fatti descritti dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, deve essere comunque esclusa l’ipotesi di cui all’art. 74, comma 6, del medesimo decreto quando, per la complessiva attività in concreto esercitata, per la molteplicità degli episodi di spaccio, reiterati in un lungo arco di tempo, e per la
predisposizione di un’idonea organizzazione che preveda uno stabile e continuativo approvvigionamento di quantitativi rilevanti di sostanze stupefacenti, quell’attività sia incompatibile con il carattere della lieve entità (ex multis, Sez. 4, n. 34920 del 14/06/2017, Rv. 270803).
5. I motivi di gravame, con i quali i ricorrenti COGNOME NOME e COGNOME censurano la violazione degli artt. 74, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990, 110 cod. pen. e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, 192, comma 2, e 533, comma 1, cod. proc. pen., ed il connesso vizio di motivazione, per avere la Corte di appello di Napoli erroneamente ritenuto sussistente la condotta di partecipazione al sodalizio criminale di cui al capo E) dell’imputazione, sono parimenti inammissibili, giacché rivolti a sollecitare una non consentita rivalutazione di elementi già presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito.
5.1. Va osservato, in punto di diritto, che la partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti è un reato a forma libera, la cui condotta costitutiva può realizzarsi in forme diverse, purché si traduca in un apprezzabile contributo alla realizzazione degli scopi dell’organismo, posto che in tal modo si verifica la lesione degli interessi salvaguardati dalla norma incriminatrice (ex multis, Sez. 3, n. 35975 del 26/05/2021, Rv. 282139). Ciò significa che, se è necessaria e sufficiente una qualsiasi azione, eseguita con qualsiasi modalità che arrechi un contributo causale rispetto all’evento tipico, non può, però, prescindersi da un contributo, apprezzabile e concreto sul piano causale, all’esistenza o al rafforzamento dell’associazione, con la conseguenza che, per affermare la sussistenza del reato, occorre concretamente individuare e specificare la parte svolta dal compartecipe e, cioè, quel contributo, anche minimo ma non insignificante, alla vita della struttura e in vista del perseguimento del suo scopo.
Cionondimeno, ai fini dell’integrazione della condotta di partecipe, è comunque sufficiente anche l’adesione e l’apporto di un contributo per una fase temporalmente limitata (Sez. 3, n. 27910 del 27/03/2019, Rv. 276677).
Peraltro, ai fini della verifica degli elementi costitutivi della partecipazione a sodalizio e, in particolare, dell’affectio di ciascun aderente, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che può essere anche breve, purché dagli elementi acquisiti possa inferirsi l’esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento, anche implicito, benché per un periodo di tempo limitato (ex plurimis, Sez. 3, n. 42937 del 23/09/2021, Rv. 282122; Sez. 4, n. 50570 del 26/11/2019, Rv. 278440-02). Per la configurabilità della condotta di partecipazione, inoltre, non è richiesto alcun atto di investitura formale, ma è necessario che il contributo dell’agente risulti funzionale per
l’esistenza stessa dell’associazione in un dato momento storico (ex multis, Sez. 4, n. 51716 del 16/10/2013, Rv. 257905; Sez. 3, n. 22124 del 29/04/2015, Rv. 263662).
5.2. Nel caso di specie, coerentemente con tali principi, la motivazione risulta adeguatamente articolata in ordine alle ragioni per le quali si debba ritenere provata la partecipazione dei ricorrenti all’associazione.
La Corte territoriale ha risposto esaurientemente a ciascun rilievo avanzato negli atti di appello ed ha congruamente illustrato l’organigramma ed i ruoli ricoperti dai vari soggetti, opportunamente rappresentando sia la rilevanza del ruolo di intermediario assunto dal COGNOME NOME, deputato a gestire il rapporto con i fornitori del figlio, coadiuvandolo nella gestione dell’attività desunta dal contenuto delle conversazioni intercettate, oltre che dalla disamina delle celle agganciate dal telefono in uso all’imputato, in occasione dell’episodio contestato al prescritto reato di cui al capo E7) dell’originaria imputazione – sia il rilievo del ruolo assegnato alla COGNOME COGNOME la quale, lungi dal limitarsi ad accompagnare il compagno COGNOME nei vari spostamenti, ha provveduto, in prima persona, a consegnare o a prelevare la sostanza stupefacente da chi la occultava, altresì provvedendo, ove necessario, al taglio e al confezionamento prima della cessione e arrivando addirittura a gestire, insieme alla sorella, la contabilità del gruppo, nei rapporti con i fornitori. Quanto all posizione di costei, invero, è risultata dirimente la copiosa attività di intercettazione telefonica effettuata, dimostrativa non solo del contributo, tutt’altro che occasionale, fornito dalla donna al sodalizio, ma anche della consapevolezza delle esigenze gestionali dell’attività illecita e della sua abilità nel sopperirle.
Come opportunamente rilevato dalla sentenza impugnata (pagg. 11-13), dalle conversazioni intercettate, sono infatti emersi sia l’espresso riferimento, fatto dall’imputata, alla mannite – sostanza notoriamente utilizzata per lavorare sostanza stupefacente del tipo cocaina – sia l’utilizzo, da parte di questa, di un linguaggio criptico e simbolico, ragionevolmente ritenuto, da parte di giudici di merito – che sul punto hanno fornito motivazione giuridicamente coerente ed immune da censure – evocativo dello stupefacente trattato nella parte in cui si fa riferimento alla necessità che la donna continui a «frullare un altro poco di sogliola per la bambina».
Del resto, ferme restando le considerazioni svolte sub 2.4. in materia di intercettazioni – da intendersi qui integralmente richiam i ate – si ribadisce che, con specifico riferimento all’interpretazione delle risultanze delle intercettazioni delle conversazioni ambientali e telefoniche, il giudice di merito è libero di ritenere che l’espressione adoperata assuma, nel contesto della conversazione, un significato
criptico, specialmente allorché, come nel caso in esame, non abbia alcun senso logico nel contesto espressivo in cui è utilizzata ovvero quando emerge, dalla valutazione di tutto il complesso probatorio, che l’uso di un determinato termine indica altro, anche tenuto conto del contesto ambientale in cui la conversazione avviene (ex plurimis, Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Rv. 282337; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Rv. 267650).
Posto che, nell’attribuire significato ai contenuti delle intercettazioni – siano esse conversazioni telefoniche, ovvero sms – il giudice del merito deve dare mostra dei criteri adottati per attribuire un significato piuttosto che un altro, s ricorda, infine, che tale iter argomentativo è certamente censurabile in cassazione, ma soltanto ove si ponga al di fuori delle regole della logica e della comune esperienza, mentre è possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (ex multis, Sez. 5, n.1532 del 09/09/2020).
Devono infine dichiararsi inammissibili per genericità – giacché afferenti al trattamento punitivo, che appare sorretto da logica e completa motivazione – i rilievi, mossi nell’interesse di COGNOME NOME e COGNOME NOME, riferiti alla violazione degli artt. 62-bis, 81, 132 e 133 cod. pen. ed ai connessi vizi motivazionali.
6.1. Contrariamente a quanto prospettato dai ricorrenti, la decisione del giudice di secondo grado ben rappresenta e giustifica le ragioni per le quali il giudice dell’appello ha ritenuto di negare il riconoscimento dell’invocato beneficio di cui all’art. 62-bis cod. pen. agli imputati, esprimendo una valutazione priva di vizi logici e coerente con le emergenze processuali, in quanto tale insindacabile in sede di legittimità (ex multis, Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, Rv. 275509-03; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Rv. 248244; Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419). La sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen., del resto, è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice Con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in Cassazione, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (ex plurimis, Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Rv. 248244).
6.2. Ebbene, nel caso di specie, i giudici di merito hanno compiutamente motivato il diniego delle invocate circostanze, evidenziando che la particolare gravità dei fatti e l’assenza di qualsivoglia forma di resipiscenza da parte degli imputati non rendono possibile alcuna riduzione della pena, escludendo altresì la sussistenza di ulteriori ragioni giustificative, non potendosi ritenere tali, nell specie, né lo stato di incensuratezza di entrambi i ricorrenti (ex multis, Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, Rv. 283489), né i dedotti elementi della riferita dissociazione degli imputati dall’organizzazione criminale, dello spaccio di piccolo cabotaggio, della limitata adesione all’organizzazione di cui al capo E) e del minimo contributo fornito al medesimo sodalizio, trattandosi di deduzioni sia troppo generiche per inficiare il percorso logico della decisione, giacché meramente asserite, sia specificamente smentite dalla stessa sentenza impugnata.
Deve infine rilevarsi la manifesta infondatezza della residua censura proposta con il ricorso di COGNOME NOME, afferente al mancato riconoscimento della fattispecie tentata del reato di cessione di sostanze stupefacenti a lui ascritto al capo D6) dell’imputazione.
Con motivazione logica e coerente – alla quale la difesa oppone una sua ricostruzione alternativa meramente ipotetica – i giudici di merito hanno desunto l’avvenuto perfezionamento dell’accordo dal contenuto della conversazione n. 1080 del 04 aprile 2012 – dalla quale si evince come COGNOME NOME, alle richieste del cliente, non si sia limitato a comunicargli di non poterle soddisfare, indicandogli dove poter acquistare lo stupefacente che voleva, ma si sia attivato in prima persona, contattando il fratello COGNOME NOME e sollecitandolo affinché soddisfacesse il proprio cliente – così dando corretta applicazione al consolidato principio giurisprudenziale secondo cui il reato di cessione di sostanze stupefacenti si consuma nel momento in cui è raggiunto il consenso tra venditore e acquirente, indipendentemente dall’effettiva consegna della merce e del pagamento del prezzo (ex plurimis, Sez. 2, n. 30374 del 16/05/2019, Rv. 276981).
Per questi motivi, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 29/01/2025.