Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 33710 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 33710 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: RAGIONE_SOCIALE NOME, nato a Catanzaro il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/10/2024 della Corte di appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, difensore di RAGIONE_SOCIALE, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME, per il tramite del difensore, impugna la sentenza della Corte di appello di Catanzaro che ha confermato la decisione del Tribunale di Catanzaro che lo aveva condannato, riconosciute le attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, alla pena di anni otto di reclusione in ordine al delitto di cui agli artt. 74, commi 1, 2 e 3, e 80, comma 1, lett. b), i relazione all’art. 112, primo comma, n. 4), cod. pen.
Secondo l’accusa, NOME COGNOME sarebbe partecipe dell’associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, eroina e – in maniera minore – marijuana, operante in Catanzaro dal 9 gennaio 2020, con a capo NOME COGNOME ed altri appartenenti alla famiglia di costui, nell’ambito della quale collaborava nella gestione e nel coordinamento dell’attività di spaccio e, specificamente, nella custodia e consegna ai sodali della sostanza stupefacente.
2. NOME COGNOME deduce tre motivi di > ricorso.
2.1. Con il primo motivo si deducono vizi di motivazione, anche con riferimento alla valutazione delle prove, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in ordine alla ritenuta partecipazione al sodalizio dedito al RAGIONE_SOCIALE ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
La Corte di appello – si assume – ha omesso di evidenziare quali fossero gli elementi a sostegno della ritenuta partecipazione all’associazione e di fornire risposta ai plurimi rilievi attraverso i quali era stato dedotto come i collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME non avessero menzionato il ricorrente tra i partecipi del sodalizio, avendo costoro individuato in NOME COGNOME la custode della sostanza stupefacente appartenente al gruppo, ruolo che, secondo l’accusa, sarebbe stato invece rivestito da NOME COGNOME; costui si sarebbe limitato a consegnare la sostanza stupefacente, in sole cinque occasioni, nel breve periodo di appena due mesi.
La Corte territoriale – secondo la difesa – ha omesso di valorizzare la mancata conoscenza di NOME COGNOME, soggetto che si ritiene partecipe della stessa associazione, tanto che costui, nel corso di una telefonata, aveva avuto la necessità di presentarsi al RAGIONE_SOCIALE; tale evenienza, alla luce del rapporto esclusivamente bilaterale tra il ricorrente e NOME COGNOME o con gli stretti congiunti di costui, esclude la pur ritenuta partecipazione all’associazione che si è intesa confermare attraverso la valorizzazione di elementi di scarsa valenza probatoria.
Non è elemento significativo della ritenuta partecipazione alla associazione si afferma – l’arresto del RAGIONE_SOCIALE del 9 aprile 2020, non emergendo da alcun elemento che la sostanza stupefacente rinvenuta e sottoposta a sequestro provenisse da NOME COGNOME o da altri componenti del sodalizio.
L’occasionale condotta sviluppatasi in un arco di tempo di appena cinque giorni, tra febbraio e marzo 2020, porta ad escludere che la condotta sia idonea ad integrare la partecipazione all’associazione dedita al RAGIONE_SOCIALE – Contestata a partire dal 2016 – anche sotto il profilo della sussistenza della necessaria consapevolezza di una condotta percepita quale sequenza operativa del comune ed indefinito programma criminoso e tesa ad avvantaggiare il gruppo criminale.
Si rileva, inoltre, la violazione delle regole di cui all’art. 192, cod. proc. pen. nella parte in cui l’analisi degli elementi non è avvenuta secondo una scansione che avrebbe dovuto, dapprima, essere effettuata relativamente a ciascun elemento e, solo in seguito, complessivamente.
2.2. Con il secondo motivo si deducono vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in ordine alla sussistenza delle aggravanti di cui agli artt. 74, comma 3, 80, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 309 del 1990, in relazione all’art. 112, primo comma, n. 4, cod. pen. là dove la Corte di appello ha ritenuto sussistente, sulla base di mere congetture, la conoscenza del numero di persone superiore a dieci dell’associazione e della partecipazione al sodalizio di persone minorenni.
Il ricorrente, infatti, non ha mai avuto rapporti con minorenni che si assume facessero parte dell’associazione, né ha mai saputo quale potesse essere il numero delle persone che componevano la stessa, avendo avuto rapporti con il solo NOME COGNOME.
2.3. Con il terzo motivo si deducono vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 132 e 133 cod. pen. in ordine al trattamento sanzionatorio, che si reputa eccessivo, specie là dove la Corte di appello ha ritenuto di condividere, senza adeguata motivazione, il giudizio espresso dal Tribunale che, pur riconoscendo le circostanze attenuanti generiche, ha applicato una riduzione inferiore ad un terzo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato.
2. Il primo motivo con cui il ricorrente deduce vizi di motivazione in ordine alla partecipazione al sodalizio ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 è declinato in fatto nella parte in cui si vorrebbe conferire agli elementi probatori una valenza differente rispetto a quella assegnata dalla Corte di merito che, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, ha complessivamente analizzato tutti i più rilevanti dati processuali a disposizione e, dopo un parziale ma consentito rinvio alla decisione di primo grado, spiegato le ragioni della partecipazione del ricorrente al sodalizio dedito al RAGIONE_SOCIALE.
Innanzitutto, si osserva che la difesa non rivolge alcuna censura alla parte della decisione che ha ritenuto esistente il gruppo associativo dedito al RAGIONE_SOCIALE operante sul territorio della città di Catanzaro, con a capo NOME COGNOME e prevalentemente costituito da componenti e parenti di detta famiglia.
La Corte di appello ha evidenziato in maniera esaustiva, con corretti riferimenti in fatto e diritto, dopo aver rievocato le principali fonti di prova disposizione, come le stesse restituissero lo specifico ruolo assunto da NOME COGNOME all’interno dell’associazione, mettendo in risalto come il periodo interessato dalle indagini, da febbraio ad aprile, e cioè sino al momento dell’arresto del ricorrente, fossero significativi della partecipazione di costui alla compagine associativa, avendo apprezzato un linguaggio criptico comune tra i , senza che vi fosse la necessità di espressioni comprensibili all’esterno, in quanto ben note ai partecipi; detti elementi, sulla base di argomenti che attingevano a principi di comune esperienza non messi in discussione dal ricorrente, erano idonei a dimostrare l’esistenza di un vincolo adeguatamente strutturato tra i numerosi associati, funzionale alla realizzazione delle finalità del sodalizio dedito al RAGIONE_SOCIALE.
Per nulla illogico risulta il valorizzato episodio che ha portato all’arresto del RAGIONE_SOCIALE che veniva trovato in possesso di una consistente quantità di sostanza stupefacente del tipo cocaina; la vicenda, invero, sulla base di motivazione completa e logica che ha attinto ai dati processuali a disposizione, ha potuto corroborare il contenuto delle captazioni e, al contempo, dare una segno tangibile del ruolo di custode dello stupefacente svolto dal ricorrente per conto del sodalizio, conclusione confermata anche dal tenore delle stesse conversazioni intercorse tra gli altri partecipi immediatamente dopo l’arresto, là dove danno conto della necessità di reperire un altro soggetto deputato a ricoprire tale delicato compito in sostituzione del RAGIONE_SOCIALE.
L’analisi delle citate risultanze, in uno alle plurime intercettazioni intercorse tra i componenti del sodalizio ed in particolare (ma non solo) il suo capo, hanno fatto ritenere, con motivazione logica non sindacabile in sede di legittimità, come tale ruolo avesse, contrariamente a quanto dedotto in sede di gravame, il carattere della stabilità e della funzionalità rispetto alle finalità dell’associazione conclusione che il ricorrente censura per mezzo di una preclusa valutazione frammentaria dei dati probatori cui si vorrebbe assegnare un differente ed alternativo significato.
Infondato risulta il motivo attraverso cui si deduce l’assenza di consapevolezza in ordine alla sussistenza delle aggravanti di cui agli artt. 74, comma 3, d.P.R. n. 309 del 1990 ed 80 comma 1, lett. b) in relazione all’art. 112, primo comma, n. 4, con riferimento all’art. 80 comma 1, lett. b), d.P.R. cit. afferenti, rispettivamente, al numero di persone superiore a dieci dell’associazione ed alla partecipazione al sodalizio di persone minorenni.
3.1. La Corte di appello, con motivazione non illogica e, pertanto non sindacabile in sede di legittimità, ha evidenziato come il ricorrente, sia per il ruolo di custode svolto, sia per i contatti con i componenti della famiglia di NOME COGNOME, sia per la quantità dello stupefacente custodito e di volta in volta consegnato, quando richiesto, anche personalmente, fosse a conoscenza dell’esatta composizione del sodalizio e, pertanto, =In del numero di persone partecipanti e del fatto che alcune di loro fossero minorenni.
3.2. Deve nondimeno precisarsi, onde correggere la parte della decisione che ha ritenuto sussistente l’aggravante di cui all’art. 80 1 , comma 1, lett. b), d.P.R. n. 309 del 1990, come detta aggravante speciale non sia applicabile all’ipotesi di reato ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, essendo invece pertinente il solo riferimento, comunque contenuto nella contestazione, all’aggravante di cui all’art. 112, primo comma, n. 4, cod. pen. che punisce più gravemente chiunque si sia avvalso, nella realizzazione del reato, di persone minori o abbia partecipato con gli stessi alla commissione del reato.
Ed infatti, l’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 80, comma 1, lett. b), d.P.R. cit., che prevede un aumento di pena da un terzo alla metà, si applica unicamente alle fattispecie di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, limitato ambito di operatività espressamente indicato dallo stesso art. 80 d.P.R. cit. che appunto – prevede che “le pene previste per i delitti di cui all’art. 73 sono aumentate (…)”. Il chiaro tenore del citato sintagma esclude, quindi, la possibilità di applicare detta aggravante ad effetto speciale alla differente fattispecie associativa ex art. 74 d.P.R. che è invece assistita da specifiche circostanze aggravanti.
Non può ritenersi significativo il richiamo effettuato dal comma 4, dell’art. 80 d.P.R. cit., al secondo comma dell’art. 112 cod. pen., aggravante ad effetto speciale che invece riguarda la diversa ipotesi in cui l’agente si sia avvalso di persona non imputabile o non punibile o con costoro abbia partecipato alla realizzazione del reato.
Le citate precisazione non impediscono, come anche contestato in fatto e ritenuto in sentenza (da cui emerge che è stato imputato al ricorrente di aver partecipato alla commissione del delitto associativo unitamente a persone minorenni), l’applicazione dell’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 112, primo comma, n. 4, cod. pen., ipotesi richiamata (seppure rapportata all’art. 80 d.P.R. cit., per quanto detto, inconferente) che il ricorrente contesta sotto il limitato aspetto della sussistenza dell’elemento soggettivo, censura che si rivela, per quanto sopra evidenziato, infondata.
Infondato risulta anche il terzo motivo / con cui si deducono vizi di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio (indicati nel ricorso quale “errore di calcolo”), avendo la Corte di appello fatto proprie le considerazioni in termini di adeguatezza della quantificazione della pena che è stata ritenuta correttamente determinata.
La pena quantificata in otto anni di reclusione in ragione delle attenuanti generiche ritenute prevalenti sulla contestata aggravante di cui all’art. 112, primo comma,, n. 4, cod. pen. -‘si osserva – è stata, invero, ridotta in eccesso: secondo l’art. 63, terzo comma, cod. pen., è precluso pervenire ad un bilanciamento in termini di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla citata aggravante ex art. 69, quarto comma, cod. pen. (questa Corte ha avuto modo di rilevare come sia manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma quarto, cod. pen. per violazione degli artt. 3, 25 e 27 Cost., nella parte in cui è previsto il divieto di prevalenza delle attenuanti generiche rispetto all’aggravante di cui all’art. 112, comma primo, n. 4 cod. pen., deroga alla ordinaria disciplina del bilanciamento che risponde all’esigenza di contrastare in termini più afflittivi le condotte di chi abbia coinvolto minori in illeciti penali, cfr. Sez. 5, n. 15269 del 21/01/2022, COGNOME, Rv. P_IVA).
Ciò implica che nessuna ulteriore riduzione avrebbe potuto in concreto riconoscere la Corte di appello rispetto ad un pena determinata in otto anni di reclusione, la cui riduzione, seppure inferiore ad un terzo, è comunque in contrasto con il disposto dell’art. 69, quarto comma, cod. pen.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, secondo quanto previsto dall’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16/09/2025