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Associazione a delinquere: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro un’ordinanza di custodia cautelare per un soggetto accusato di essere a capo di un’associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico. La Corte ha rigettato le eccezioni procedurali sulle intercettazioni e ha confermato la solidità degli indizi che delineavano una struttura criminale organizzata, ritenendo quindi legittima la misura detentiva.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione a Delinquere e Narcotraffico: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8279/2025, ha affrontato un caso complesso relativo a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. La pronuncia è di grande interesse perché chiarisce i limiti dell’impugnazione in sede di legittimità e ribadisce quali elementi probatori sono necessari per distinguere un’organizzazione criminale stabile dal semplice concorso in singoli reati. La Corte ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati dalla difesa, confermando la solidità del quadro indiziario a carico dell’indagato, ritenuto il promotore del sodalizio.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un’ordinanza del GIP del Tribunale di Caltanissetta, che disponeva la custodia cautelare in carcere per un soggetto accusato di essere promotore e organizzatore di un’associazione criminale dedita al narcotraffico, oltre che di una serie di episodi di acquisto, detenzione e cessione di stupefacenti. La misura veniva confermata dal Tribunale del riesame. Avverso tale decisione, i difensori dell’indagato proponevano ricorso per Cassazione, articolando diverse censure.

I Motivi del Ricorso: una difesa a tutto campo

La difesa basava il ricorso su molteplici argomentazioni, sia di natura procedurale che di merito.

La questione procedurale sulle intercettazioni

In primo luogo, si lamentava la violazione di legge per la mancata acquisizione, in sede di riesame, di tutti i decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche. Secondo i legali, l’assenza di un decreto specifico avrebbe dovuto comportare l’inefficacia della misura cautelare.

La contestazione dell’associazione a delinquere

Nel merito, la difesa sosteneva che gli elementi raccolti non fossero sufficienti a dimostrare l’esistenza di una vera e propria associazione a delinquere, ma descrivessero soltanto una serie di operazioni illecite occasionali. Veniva contestata la valenza indiziaria attribuita a elementi come la cassa comune, i ‘presidi di autotutela’ (accorgimenti per eludere le indagini) e la struttura gerarchica, ritenuti compatibili anche con un semplice concorso di persone nel reato.

La Decisione della Cassazione: un’analisi sull’inammissibilità

La Suprema Corte ha rigettato integralmente i ricorsi, dichiarandoli inammissibili. L’analisi dei giudici si è concentrata sulla manifesta infondatezza e sulla genericità dei motivi proposti, che non erano in grado di scalfire la logicità e la coerenza della motivazione del provvedimento impugnato.

Le Motivazioni della Corte

La sentenza offre spunti cruciali su diversi aspetti procedurali e sostanziali.

Sulla presunta inutilizzabilità delle intercettazioni

La Corte ha chiarito che la mancata trasmissione di un singolo decreto di intercettazione al Tribunale del riesame non comporta automaticamente né l’inefficacia della misura cautelare né l’inutilizzabilità delle captazioni. Tale conseguenza si verifica solo se i decreti sono adottati al di fuori dei casi consentiti dalla legge. Inoltre, l’eccezione è stata ritenuta tardiva, in quanto non proposta dinanzi al Tribunale del riesame, e generica, poiché non specificava quali intercettazioni fossero viziate e quali informazioni decisive fossero state sottratte al controllo del giudice.

Sulla prova dell’esistenza dell’associazione a delinquere

Questo è il cuore della decisione. La Cassazione ha validato l’impianto motivazionale del Tribunale del riesame, che aveva desunto l’esistenza di una stabile associazione a delinquere da una serie di elementi sintomatici coerenti. Tra questi:

* Struttura gerarchica: Un chiaro rapporto di sovraordinazione tra il ricorrente e gli altri affiliati, con il primo a impartire ordini su tutte le fasi del traffico illecito.
* Mezzi dedicati: L’utilizzo stabile di utenze telefoniche e autovetture dedicate all’attività criminale, prontamente sostituite in caso di sospetto.
* Cassa comune: La gestione centralizzata dei proventi dello spaccio da parte del capo, che provvedeva alla remunerazione degli associati.
* Stabilità del vincolo: Un accordo duraturo e non occasionale, finalizzato alla commissione di un numero indeterminato di reati.

La Corte ha sottolineato come la difesa avesse proposto una lettura ‘atomistica’ e alternativa degli indizi, senza però confrontarsi con la valutazione unitaria e complessiva operata dai giudici di merito, che risolveva le ambiguità dei singoli elementi.

Sui requisiti per la custodia cautelare

Infine, sono stati ritenuti manifestamente infondati anche i motivi relativi alla mancanza di esigenze cautelari. La Corte ha evidenziato come il Tribunale avesse correttamente applicato le presunzioni di legge e valorizzato la gravità dei fatti e la vicinanza temporale delle condotte per giustificare il rischio di reiterazione del reato e di inquinamento probatorio.

Le Conclusioni

La sentenza in esame ribadisce alcuni principi fondamentali. In primo luogo, il ricorso per Cassazione non è una terza istanza di merito, ma un giudizio di legittimità: le censure devono riguardare violazioni di legge o vizi logici macroscopici della motivazione, non una semplice rilettura delle prove. In secondo luogo, la prova di un’associazione a delinquere può essere raggiunta anche attraverso elementi indiziari, purché gravi, precisi e concordanti, che nel loro complesso delineino una struttura organizzata e stabile, distinta dalla mera somma di singoli episodi criminali. La decisione conferma, quindi, un orientamento giurisprudenziale consolidato, offrendo un’utile guida per distinguere le fattispecie associative da quelle concorsuali nell’ambito dei reati di narcotraffico.

La mancata trasmissione di un decreto di intercettazione al Tribunale del riesame rende automaticamente inefficace la misura cautelare?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che la mancata trasmissione di un singolo decreto autorizzativo non determina né l’inefficacia della misura cautelare né l’inutilizzabilità delle captazioni, a meno che non si dimostri che i decreti sono stati adottati illegalmente. L’eccezione, inoltre, deve essere tempestiva e specifica.

Quali elementi distinguono un’associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico dal semplice concorso di persone in singoli episodi di spaccio?
Secondo la sentenza, la distinzione risiede nell’esistenza di una struttura organizzativa stabile e permanente, anche se rudimentale, e in un accordo criminoso per commettere una serie indeterminata di reati. Elementi come un rapporto gerarchico, una cassa comune, l’uso di mezzi dedicati (auto, telefoni) e la pianificazione coordinata delle attività sono indicativi dell’associazione, a differenza della collaborazione occasionale tipica del concorso.

È possibile presentare per la prima volta in Cassazione una doglianza sulla mancata trasmissione di atti al Tribunale del riesame?
No, la Corte ha ribadito che la censura relativa alla mancata trasmissione di atti rilevanti da parte del pubblico ministero al Tribunale del riesame non può essere proposta per la prima volta nel giudizio di Cassazione. Deve essere sollevata e discussa dinanzi al giudice del riesame per consentire il contraddittorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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