Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 8279 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 8279 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a GELA il 06/04/1981
avverso l’ordinanza del 23/09/2024 del TRIBUNALE di CALTANISSETTA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG CINZIA PARASPORO che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi e degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno chiesto l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza depositata il 10/10/2024, il Tribunale del riesame di Caltanissetta ha confermato nei confronti di NOME COGNOME l’ordinanza del
GIP del Tribunale di Caltanissetta in data 5/8/2024 che aveva applicato al predetto la custodia cautelare in carcere in quanto – si legge nell’ordinanza impugnata- ritenuto promotore e organizzatore di una associazione finalizzata alla commissione di una serie indeteminata di delitti in materia di sostanze stupefacenti (capo 1 della contestazione provvisoria) nonchè di una pluralità di episodi di acquisto e detenzione finalizzata alla vendita o comunque di cessione di sostanze stupefacenti (contestati ai capi 2),4),5), 6),7), 8), 9), 10), 11) qualificato ex art. 73 comma 4 d.P.R. 309/90, 12), 67), 68), 69), 70) e 71) della preliminare rubrica).
Avverso l’ordinanza hanno proposto ricorso per Cassazione i difensori di COGNOME
2.1 L’avv.to COGNOME con il primo motivo, ha denunziato la violazione dell’articolo “606 comma 1 lett. b) ed e) in relazione agli artt. 266, 271, 291 e 309 cod. proc. pen. stante la mancata acquisizione in sede di riesame, nei termini di legge, di tutti i decreti autorizzativi oggetto di specifiche richiesta difensiva”. espone che il materiale indiziario a carico di COGNOME era stato tratto, “in larga parte, se non del tutto”, dalle conversazioni intercettate attraverso l’apparecchio telefonico su cui era installata la scheda sim contraddistinta dal numero NUMERO_CARTA. Nonostante la specifica richiesta dei difensori, però, il decreto genetico datato 15/6/2022 non risultava trasmesso al Tribunale del riesame mentre era stato messo a disposizione della difesa solo il 18/10/2024, per cui “non essendo stato trasmesso ai sensi dell’art. 309 c.p.p. e dedotto come non allegato con la richiesta 291 c.p.p., l’ordinanza emessa risultava inefficace” e doveva essere annullata.
2.2 Con il secondo motivo, si denuncia la violazione di legge e il difetto di motivazione in relazione agli artt. 73 e 74 d.P.R. 309/90. Si assume che l’ordinanza impugnata si limita a “descrivere una serie di operazioni illecite consumatesi nel giro di pochi mesi” senza indicare significativi e adeguati elementi a supporto dell’esistenza di una pregressa struttura associativa stabile e organizzata dedita al traffico di stupefacenti.
Si contesta, ancora, la valenza indiziaria attribuita dal Tribunale del Riesame a passi delle intercettazioni per dimostrarne l’irrilevanza ai fini della configurazione del reato associativo.
In particolare, con riferimento alla rilevanza, ai fini della configurazione del reato associativo, data alla prospettata esistenza di una cassa comune, si deduce che:
la ripartizione del ricavato delle cessioni fra coloro che vi avevano contribuito, documentato dalle conversazioni richiamate nell’ordinanza, è rinvenibile tanto nell’ipotesi associativa quanto in quella concorsuale;
le conversazioni richiamate nell’ordinanza al fine di dimostrare l’esistenza della cassa comune rivelano solo le modalità di ripartizione dei ricavi fra il ricorrente e il nipote NOME senza contenere alcun riferimento alle “famiglie”, benché il padre di NOME, NOME fosse all’epoca detenuto, e al pagamento dei difensori degli associati.
In relazione ai “presidi di autotutela”, altro elemento valorizzato dal Tribunale ai fini della prova del reato associativo, si osserva che si tratta di accorgimenti che usualmente accompagnano ogni ipotesi di spaccio.
Ad avviso della difesa, poi, l’ipotesi accusatoria era smentita dalla mancata individuazione di uno stabile fornitore del “duo COGNOME– COGNOME” e dalla conversazione nel corso della quale COGNOME rimproverò COGNOME per “essersi fatto affiancare da mercenari e non da lui”.
Si sostiene, ancora, che, non essendo intervenuti, nella maggior parte dei casi, sequestri di sostanza stupefacente, il Tribunale avrebbe dovuto fornire una spiegazione adeguata in ordine alle ragioni per le quali riteneva che non ricorresse l’ipotesi lieve in relazione ai vari reati fine, motivazione che, ad avviso della difesa non era stata resa, essendosi limitata l’ordinanza a “confutare analiticamente il solo capo 6 della rubrica”.
2.3 Con il terzo motivo, si denuncia la violazione di legge sostanziale e il deficit di motivazione in relazione all’art. 649 cod. proc. pen. Si sostiene che COGNOME del “medesimo frangente temporale (…) e soprattutto nel medesimo territorio, era stato ritenuto, con un ruolo di spicco, associato ad altri soggetti”. Lamenta, quindi, la difesa che il Tribunale aveva dato rilievo, nel rigettare l’argomento prospettante la violazione del divieto imposto dall’art. 649 cod. proc. pen., solo al termine iniziale della condotta contestata nell’altro procedimento senza considerare quello finale: “nel procedimento Janus”, infatti, la contestazione temporale afferente al delitto associativo “risultava aperta (quanto al dies ad quem)” e, quindi, secondo l’argomento difensivo, “risultava in sostanza sovrapponibile a quella contestata nel presente procedimento”.
2.4 Con ultimo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) in relazione all’art. 274 cod. proc. pen. rilevando che il rischio di reiterazione era insussistente avendo l’indagato riportato una sola condanna per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90 mentre non era stato mai condannato per un reato associativo. Si lamenta, ancora, che il passo dell’ordinanza relativo al rischio di inquinamento probatorio non indicava le “modalità e i possibili stratagemmi cui l’imputato avrebbe potuto fare ricorso a fronte di un compendio probatorio costituito dalle intercettazioni telefoniche”.
Ha proposto ricorso avverso l’ordinanza anche l’avvocato NOME COGNOME che denuncia la violazione di legge penale e processuale sostenendo che l’ordinanza
non individua elementi che dimostrino l’ “appartenenza stabile e consapevole del ricorrente all’associazione finalizzata la traffico di droga” limitandosi a valorizzare “episodi isolati di spaccio” del tutto compatibili con l’ipotesi del concorso nel reato continuato di sostanze stupefacenti.
Con atto datato 3/1/2025, l’avv.to COGNOME ha proposto motivi aggiunti con cui ha precisato che il “decreto autorizzativo del 15/6/2022 era stato messo a disposizione della difesa solo il 18/10/2024 e ha, quindi, ribadito che la misura doveva ritenersi ormai caducata ai sensi dell’art. 309 comma 5 cod. proc. pen.”. Ha anche precisato che la misura cautelare era stata dal GIP revocata con provvedimento in data 7/12/2024 per i capi 2), 4), 5), 7), 8), 9), 11) e 67) per cui era venuto meno l’interesse a coltivare il ricorso.
4.1 Con atto datato 10/1/2025, l’avv.to COGNOME ha proposto “ulteriori motivi aggiunti e memoria di replica” deducendo che: il 21/9/2024 aveva richiesto al GIP e al Tribunale del riesame l’acquisizione dei decreti autorizzativi; il GIP, il 24/9/2024, aveva comunicato che i provvedimenti erano già presenti agli atti mentre il Tribunale del riesame, a seguito di una nuova istanza inoltrata il 14/10/2024, il 16/10/2024 aveva attestato che “mancava il decreto autorizzativo genetico in quanto mai trasmesso”. Ha, quindi, sostenuto che la mancata trasmissione al Tribunale dei decreti integrava un “vizio” rilevabile d’ufficio ed eccepibile ad istanza di parte in ogni stato e grado del procedimento siccome statuito da ultimo da Cass. 46604/2024.
4.2 II 16/1/2025 l’avv.to COGNOME ha trasmesso “ulteriori motivi aggiunti e memoria di replica” con cui ha sostenuto che la “mancata trasmissione dei decreti intercettativi nella loro interezza nonostante la tempestiva richiesta” della difesa non necessitava per assumere rilevanza che fosse nuovamente eccepita all’udienza camerale avendo lo stesso collegio giudicante dato atto della circostanza e che l’omessa acquisizione dell’atto da parte del Tribunale “riverbera i suoi effetti sull’intera sequenza endoprocedimentale relativa a captazioni di decisivo rilievo”. Allegata all’atto difensivo vi era la PEC con cui il Tribunale del riesame aveva comunicato alla difesa che i decreti autorizzativi erano contenuti in un dvd depositato dal GIP il 13/9/2024 la cui copia era disponibile per i difensori in cancelleria.
Con memoria trasmessa il 23/1/2024 l’avv.to COGNOME ha ribadito la fondatezza del ricorso illustrando nuovamente le ragioni che ostano alla configurazione del reato associativo.
Si dà atto, infine, che: la Procura distrettuale della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta ha trasmesso una memoria datata 18/11/2024 con allegata documentazione; l’avv.to COGNOME il 13/1/2025 ha depositato ulteriore documentazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va preliminarmente dichiarata l’irricevibilità della memoria trasmessa dalla Procura distrettuale della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta.
E’ stato di recente affermato che la legittimazione a proporre ricorso per Cassazione, riconosciuta dall’art. 311, comma 1, cod. proc. pen., all’ufficio del pubblico ministero che ha richiesto la misura non vale a fargli acquisire la qualità di “parte” del giudizio di legittimità, da cui discende la facoltà di presentare memorie, riconosciuta dall’art. 121 stesso codice. Semmai così fosse, invero, non troverebbe giustificazione razionale una sua legitimatio ad processum limitata, diversamente che per le altre parti, alla presentazione di memorie e non anche alla partecipazione all’udienza (Sez. 6, n. 5096 del 09/01/2024, NOME, Rv. 285983 – 01).
Tale esegesi risulta preferibile al più risalente approdo interpretativo (Sez. 2, n. 42408 del 21/9/2012, Caltagirone) che aveva ritenuto che il P.M. che ha richiesto l’applicazione della misura cautelare è parte nel procedimento de libertate ed è, quindi, legittimato a presentare memorie ex art. 121 cod. proc. pen. anche nel corso del giudizio di Cassazione. Detta conclusione, infatti, non appare in linea con la ripartizione delle funzioni assegnate ai magistrati degli uffici del pubblico ministero prevista dall’art. 51 comma 1 cod. proc. pen. e renderebbe concreto il rischio che la medesima parte veicoli nel giudizio di legittimità valutazioni contrapposte.
Pertanto, la memoria del Procura distrettuale della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta non sarà valutata in questa sede.
Tanto premesso, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto dall’avv.to COGNOME in quanto articolato in motivi non proponibili in sede di legittimità o manifestamente infondati.
In relazione al primo motivo, va chiarito che “in tema di intercettazioni telefoniche, la mancata allegazione, da parte del pubblico ministero, dei relativi decreti autorizzativi a corredo della richiesta di applicazione della misura cautelare e la successiva omessa trasmissione degli stessi al tribunale del riesame, a seguito di impugnazione del provvedimento coercitivo, non determina l’inefficacia della misura ex art. 309, comma 10, cod. proc. pen., né l’inutilizzabilità delle captazioni, che consegue, invece, all’adozione dei decreti fuori dei casi consentiti dalla legge
o in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 267 e 268 cod. proc. pen., obbligando, purtuttavia, il tribunale ad acquisire tali provvedimenti a garanzia del diritto di difesa della parte che ne abbia fatto richiesta ai fini del controllo circa loro sussistenza e legittima adozione (Sez. 4, n. 26297 del 15/05/2024, C, Rv. 286817 – 01; conf. Sez. 1, n. 823 del 11/10/2016 (dep. 2017 ), NOME, Rv. 269291 – 01).
2.1 Venendo al caso di specie, la difesa chiese al Tribunale del riesame, con istanza trasmessa alle ore 21,37 di sabato 21 settembre 2024 per l’udienza che si sarebbe tenuta il lunedì successivo, l’acquisizione dei decreti autorizzativi delle intercettazioni che “prima facie” sembravano non essere stati versati nell’incarto processuale.
Dalla stessa allegazione difensiva e dai documenti trasmessi risulta, invece, che erano stati messi a disposizione del Tribunale del Riesame gli stessi decreti allegati alla richiesta di misura inoltrata al GIP.
L’accertato inserimento nell’incarto processuale di tali atti, documentato dalla PEC del 23/9/2024 del Tribunale del riesame, dovette appagare la difesa che, infatti, all’udienza camerale, non sollevò più la questione.
Si legge a pag. 4 dell’ordinanza impugnata:
“…all’udienza la difesa, oralmente e con memorie scritte, ha illustrato i motivi di gravame così sintetizzabili: inutilizzabilità della gran parte delle intercettazioni anche tra presenti che vedono coinvolte COGNOME giacché le stesse sarebbero state captate per il tramite dell’apparecchio del COGNOME ma il provvedimento genetico autorizzativo non conterrebbe la motivazione rafforzata richiesta articolo 267 c.p.p.”.
Il 24/9/2024, inoltre, il GIP, cui era stata inoltrata analoga istanza di acquisizione dei decreti, dispose il non luogo a provvedere essendo già in atti i provvedimenti richiesti.
2.2 In altre parole, quindi, all’udienza dinanzi al Tribunale del riesame, nell’incarto processuale erano presenti tutti i decreti di intercettazione che il PM aveva inviato al GIP al momento della presentazione della richiesta del provvedimento cautelare e nessuna delle parti processuale rilevò – e tanto meno eccepì- la mancath 4dei decreti genetici chiedendo l’integrazione della documentazione.
Tale conclusione trova conferma nell’istanza inoltrata dall’avv.to COGNOME al Tribunale del Riesame il 14/10/2024, con cui venne richiesto “il rilascio di copia del decreto autorizzativo emesso in data 15/6/2022 dal GIP del Tribunale di Caltanissetta”, istanza che presupponeva, evidentemente, il convincimento che l’atto fosse nella disponibilità dell’ufficio interpellato.
Solo il 16/10/2024, appreso che il decreto non era stato trasmesso al Tribunale, il difensore acquisì la consapevolezza dell’incompletezza dell’incarto processuale e se ne avvalse per contestare il provvedimento di rigetto.
2.3 La ricostruzione cui si perviene dall’esame del ricorso, dei motivi aggiunti e della documentazione trasmessa dall’avv.to COGNOME rivela la palese infondatezza del motivo prospettante l’inutilizzabilità delle intercettazioni legate al decreto autorizzativo più volte richiamato.
Non è, infatti, ravvisabile alcuna ipotesi di inutilizzabilità delle intercettazion essendo stata l’attività captativa legittimamente autorizzata e non essendo stata richiesta tempestivamente al Tribunale del riesame l’acquisizione del decreto non trasmesso dal PM.
Non ricorre, neppure, l’ipotesi di caducazione della misura ai sensi del comma 10 dell’art. 309 cod. proc. pen. risultando la sanzione non integrata dalla omessa trasmissione al Tribunale del riesame di un decreto di intercettazione non trasmesso al GIP all’atto della richiesta della misura.
Non sussiste, ancora, una causa di nullità dell’ordinanza per violazione del diritto di difesa, avendo gli avv.ti COGNOME richiesto copia del decreto del 15/6/2022 solo dopo l’udienza del 23/9/2024 (in tale senso Sez. 4, n. 18802 del 21/03/2017, COGNOME, Rv. 269944 – 01; Sez. 6, n. 7521 del 24/01/2013, COGNOME, Rv. 254586 – 01).
La censura difensiva è, inoltre, tardiva, perché non proposta dinanzi al Tribunale del riesame cosi sottraendo al contraddittorio una questione che avrebbe dovuto essere vagliata nella sua pienezza all’udienza di riesame: questa Corte ha ripetutamente precisato, al riguardo, che la mancata trasmissione di atti rilevanti da parte del pubblico ministero al tribunale del riesame non può essere proposta per la prima volta nel giudizio di Cassazione (Sez. 6, n. 28229 del 16/3/2023, Tornelli; Sez. 3, n. 47559 del 16/7/2019, Milanese, Rv. 277991-01; Sez. 4, n. 45911 del 9/12/2011, S.F., Rv. 251181).
L’eccezione è, ancora, generica, avendo avuto questa Corte modo di precisare, in tema di impugnazioni relative a misure cautelari personali, che l’omessa trasmissione al tribunale del riesame di atti d’indagine richiamati nel provvedimento che ha disposto la misura non ne comporta l’inefficacia, “se non è specificamente indicato quali dati decisivi siano stati sottratti al controllo del tribunale e se, all’esito della “prova di resistenza”, gli elementi non trasmessi siano ritenuti irrilevanti, ai fini della correttezza e della legittimità della decis cautelare (Sez. 6, n. 28229 del 16/3/2023, COGNOME; Sez. 6, n. 41468 del 12/09/2019, COGNOME, Rv. 277370).
Nel caso in esame, il ricorso non indica specificatamente quali intercettazioni sono da ricollegare al decreto che non era stato trasmesso al Tribunale del riesame e le informazioni acquisite tramite l’attività captativa che si assume viziata.
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Va, infine, precisato che la declaratoria di inammissibilità del motivo del ricorso non trova ostacolo nella sentenza richiamata nella memoria del 10/1/2025, essendo stato in quel procedimento eccepito dalla difesa dinanzi al Tribunale del riesame l’inutilizzabilità di alcune intercettazioni in quanto effettuate dopo la scadenza del termine delle indagini preliminari e, quindi, per una ragione che determinava l’inutilizzabilità, “rilevabile d’ufficio ed eccepibile ad istanza di parte in ogni stato e grado del procedimento”, delle registrazioni (n. 46604 del 28/11/2024, Della Cananea).
Venendo al secondo motivo d’impugnazione, il corredo motivazionale posto a base della cautela con cui il Tribunale ha dato conto dell’esistenza dell’associazione per delinquere finalizzata ad attività di narcotraffico facente capo al ricorrente risulta scevro da vizi motivazionali coltivabili in questa sede.
Non è superfluo ricordare che ai fini della configurabilità di un’associazione finalizzata al narcotraffico è necessario che: almeno tre persone siano vincolate tra loro da un patto associativo – sorto anche in modo informale e non contestualeavente ad oggetto un programma criminoso nel settore degli stupefacenti, da realizzare attraverso il coordinamento degli apporti personali; il sodalizio disponga, con sufficiente stabilità, di risorse umane e materiali adeguate per una credibile attuazione del programma associativo; ciascun associato, a conoscenza quantomeno dei tratti essenziali del sodalizio, si metta stabilmente a disposizione di quest’ultimo (Sez. 6, n. 1914 del 3/12/2024, dep. (2025), COGNOME; Sez. 6, n. 43185 del 17/10/2024, Nure; Sez. 6, n. 7387 del 3/12/2013 (dep. 2014), Pompei, Rv. 258796. Sez. 4, n. 44183 del 2/10/2013, COGNOME, Rv. 257582; Sez. 2, n. 16540 del 27/3/2013, COGNOME, Rv. 255491; Sez. 6, n. 40505 del 17/6/2009, Il Grande, Rv. 245282; Sez. 4, n. 22824 del 21/4/2006, Qose, Rv. 234576; Sez. 6, n. 10725 del 25/09/1998, COGNOME, Rv. 211743).
In ordine all’accordo criminoso, si è ritenuto che “il patto associativo non deve necessariamente consistere in un preventivo accordo formale, ma può essere anche non espresso e costituirsi di fatto fra soggetti consapevoli che le attività proprie ed altrui ricevono vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscono all’attuazione dello scopo comune» (Sez. 3, n. 32485 del 24/05/2022, COGNOME, Rv. 283691)” (Sez. 6, n. 2083 del 31/10/2024 (dep. 2025) COGNOME).
La sussistenza di un vincolo permanente tra gli associati può essere data anche da fatti concludenti, come, ad esempio, i contatti continui tra gli spacciatori, i beni necessari per le operazioni delittuose, le forme organizzative utilizzate, sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra gli associati, la commissione di reati rientranti nel programma criminoso e le loro specifiche modalità esecutive (Sez. 5, n. 8033 del 15/11/2012 (dep.2013), COGNOME, Rv. 255207; Sez. 4, n.
25471 del 7/2/2007, COGNOME Rv. 237002; Sez. 4, n. 4481 del 29/11/2005 (dep. 2006), COGNOME, Rv. 233247),
In ordine, all’elemento organizzativo, ancora, è costante in giurisprudenza l’affermazione che per la configurabilità del reato di associazione per delinquere finalizzata al compimento di reati in materia di stupefacenti non è richiesta la presenza di una complessa ed articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilità economiche, ma è sufficiente l’esistenza di strutture sia pure rudimentali, deducibile dalla predisposizione di mezzi, anche semplici ed elementari, per il perseguimento del fine comune, una struttura che, quindi, fornisca un supporto stabile alle singole deliberazioni criminose, per la necessità che il sodalizio si protragga per un apprezzabile periodo di tempo idoneo a consentire ad esso di operare validamente (Sez. 2, n. 19146 del 20/2/2019, COGNOME, Rv. 275583; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258165; Sez. 2, n. 16540 del 27/3/2013, COGNOME, Rv. 255491, cit.; Sez. 1, n. 30463 del 7/7/2011, Can, Rv. 251011; Sez. 1, n. 4967 del 22/12/2009 (dep. 2010), COGNOME, Rv. 246112; Sez. 1, n. 14578 del 21/10/1999, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 216124).
Si è, poi, chiarito che anche il coinvolgimento in un solo reato-fine può integrare l’elemento oggettivo della partecipazione, laddove le connotazioni della condotta dell’agente, consapevolmente servitosi dell’organizzazione per commettere il fatto, ne riveli, secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico in funzione delle dinamiche operative e della crescita criminale dell’associazione (Sez. 6, n. 1343 del 4/11/2015 (dep.2016), Policastri, Rv. 265890).
Si è, infine, stabilito che l’elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cu all’art. 74 d.P.R. 309/1990, rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti, va individuato non solo nel carattere dell’accordo criminoso, avente ad oggetto la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti e nella permanenza del vincolo associativo, ma anche nell’esistenza di una organizzazione che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso (Sez. 6, n. 17467 del 21/11/2018 (dep. 2019), Noure, Rv. 275550; Sez. 6, n. 18055 del 10/1/2018, COGNOME e altri, Rv. 273008; Sez. 6, n. 28252 del 6/4/2017, COGNOME e altri, Rv. 270564; Sez. 6, n. 27433 del 10/1/2017, Avellino e altro, Rv. 270396)
3.1 Ciò posto, deve rilevarsi che il Tribunale ha dato compiutamente conto, attraverso precisi riferimenti a specifici elementi indiziari, della esistenza di una organizzazione criminale dedita allo spaccio di stupefacenti di diverso tipo e diretta dal ricorrente, il quale si procurava gli stupefacenti attraverso molteplici canali di approvvigionamento, potendo contare sull’ausilio di COGNOME COGNOME e di COGNOME Emanuele, i quali assicuravano, rispettivamente, la disponibilità di “auto pulite” e di un luogo sicuro per l’occultamento delle sostanze, di NOME e dello stesso COGNOME per il confezionamento e la custodia della droga e su NOME
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NOME che curava la fase dello smercio coordinando e gestendo l’attività di vari pusher.
Tale struttura è stata desunta da una serie di elementi sintomatici che disvelano:
il rapporto gerarchico esistente fra COGNOME, da una parte, e NOME, COGNOME e COGNOME dall’altra, che consentiva al primo d’impartire ordini ai secondi in relazione a tutte “le fasi del traffico illecito” (pagg. 6 e dell’ordinanza) nonché sull’utilizzo dei mezzi destinati alla commissione dei reati (pag. 7) , riguardo ai comportamenti che gli affiliati dovevano tenere (pag. 8) e alla gestione dei proventi dello spaccio, che dovevano confluire in una cassa comune, gestita da COGNOME NOMECOGNOME da cui si attingeva per la rennunerazione degli associati;
l’utilizzo di utenze telefoniche e di autovetture stabilmente dedicate allo svolgimento delle attività delittuose, che venivano immediatamente sostituite non appena sorgeva il sospetto che fossero state individuate dalle forze dell’ordine.
Tali dati, valorizzati nel provvedimento impugnato, unitamente a quello esposti nell’ordinanza genetica, descrivono, mediante un ragionamento scevro da illogicità manifesta, pertanto non suscettibile di censure nel giudizio di legittimità, un quadro indiziario grave, in ordine all’esistenza della compagine associativa e al ruolo apicale ricoperto dal ricorrente, che risulta aderente ai principi giurisprudenziali innanzi richiamati e trova un adeguato ancoraggio in plurime emergenze processuali, che le censure difensive non scalfiscono.
3.2 La difesa, infatti, procede a una lettura atomistica e parcellizzata dei dati probatori e propone letture alternative delle conversazioni omettendo di confrontarsi con l’apprezzamento unitario di tali informazioni che, nelle valutazioni dei giudici della cautela, risolve la relativa ambiguità indicativa del singolo elemento probatorio determinandone la confluenza verso un’univocità confermativa dell’esistenza dell’associazione.
3.3 Viene così preso in considerazione nel ricorso l’esistenza di una cassa comune per rilevare la mancanza di prova in ordine alla destinazione dei proventi alle spese di difesa degli associati e al sostentamento delle loro famiglie, ma non si coglie il valore indiziario di un sistema che vedeva concentrarsi in capo a COGNOME i proventi dell’attività di spaccio e le decisioni in ordine alla loro destinazione o che prevedeva la remunerazione periodica dei pusher secondo parametri predeterminati.
3.4 Si assume che i presidi di autotutela costituisco elementi che “possono essere rinvenuti in qualunque operazione illecita” senza considerare, però, che nella motivazione del Tribunale utenze telefoniche dedicate, autovetture e immobili erano stabilmente destinati a supportare l’attività del clan e i vertici ne
potevano disporre senza necessità di concordare con gli associati di volta in volta le modalità di utilizzo.
3.5 Il rapporto gerarchico che consentiva a COGNOME di fissare le regole cui i soggetti coinvolti nello spaccio dovevano attenersi nelle varie fasi dell’attività illecita, e non quindi in relazione alla gestione di questa o quella partita di droga, nell’utilizzo di beni stabilmente destinati all’attività delinquenziale e, più i generale, nel contegno da tenere non trovano nel ricorso una plausibile spiegazione.
Non maggior concretezza hanno le doglianze difensive relative ai reati fine. La difesa lamenta l’omessa considerazione da parte del Tribunale delle “doglianze difensive” ma non indica quali rilievi siano stati ignorati dal Tribunale. Anche in relazione al capo 6, cui si riferisce la parte di motivazione riportata nel ricorso per denunciarne l’inadeguatezza, l’avv.to COGNOME si limita a ritenere non appagante lo sforzo argomentativo del Tribunale senza però spiegarne la ragione.
Il terzo motivo del ricorso dell’avv.to COGNOME si confronta solo in parte con la motivazione del Tribunale, che non si è limitata a valorizzare il dato temporale ma ha anche messo in evidenza che l’organizzazione delineata nel processo Ianus aveva una struttura organizzativa del tutto differente da quella in esame per cui logicamente non precludeva di configurare quella contestata, sulla base del fatto che “uno stesso soggetto può operare in seno a diversi gruppi organizzati”.
Manifestamente infondato risulta anche l’ultimo motivo del ricorso che esprime un giudizio di valore in ordine alla valenza significativa dei precedenti penali di COGNOME senza confrontarsi con le presunzioni di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen. richiamate dal Tribunale e con il rilievo dato nell’ordinanza alla vicinanza delle condotte ritenute rispetto al momento applicativo della misura. Anche la censura relativa al rischio di inquinamento delle prove risulta generica avendo il provvedimento impugnato descritto compiutamente gli accorgimenti studiati da COGNOME e imposti ai sodali per eludere le indagini della polizia giudiziaria.
Le considerazioni innanzi svolte in relazione al secondo motivo d’impugnazione dell’avv.to COGNOME dimostrano la manifesta infondatezza del ricorso dell’avv.to COGNOME risultando gli argomenti esposti nel ricorso per accreditare l’ipotesi del concorso in una pluralità di cessioni coincidere con quelli proposti dall’avv.to COGNOME
All’inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di profili idonei ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 28/1/2025.