Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22073 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22073 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 18/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi·proposti da NOMECOGNOME nato a Marina di Gioiosa Ionica il 30/08/1953 COGNOME NOME nato a Marina di Gioiosa Ionica il 25/03/1967 COGNOME GiovanniCOGNOME nato a Torino 22/05/1969 COGNOME NOME nato a Buenos Aires il 23/07/1954 COGNOME NOMECOGNOME nato a Gerace il 20/04/1959 avverso la sentenza del 24 aprile 2024 della Corte di appello di Reggio Calabri visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME ch concluso chiedendo che siano dichiarati inammissibili i ricorsi di COGNOME e COGNOME e che siano rigettati i ricorsi di COGNOME, COGNOME e COGNOME; uditi: l’avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME; l’avv. NOME COGNOME p COGNOME Giovanni; l’avv. NOME COGNOME per COGNOME Rocco e COGNOME NOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 24 aprile 2024, la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza del 15 aprile 2021 del Tribunale di Locri, a seguito della quale erano stati condannati:
NOME NOME NOME ad anni 10 di reclusione, per il reato di cui all’art. 74, commi 1, 2, 3 del d.P.R. n. 309 del 1990, per aver fatto parte integrante di un’articolata e vasta organizzazione costituita allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti e puniti dall’art. 73 del medesimo decreto (capo C);
NOME NOME ad anni 10 di reclusione per il reato di cui all’art. 74, commi 1, 2, 3 del d.P.R. n. 309 del 1990, per aver fatto parte integrante di un’articolata e vasta organizzazione costituita allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti e puniti dall’art. 73 del medesimo decreto (capo C);
COGNOME NOME ad anni 6 e mesi 8 di reclusione, per il reato di cui all’art. 74, commi 1, 2, 3 del d.P.R. n. 309 del 1990, applicata la diminuente di cui all’art. 74, n. 7), del medesimo decreto, per aver fatto parte integrante di un’articolata e vasta organizzazione costituita allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti e puniti dall’art. 73 del medesimo decreto (capo C);
COGNOME NOME NOME ad anni 6 di reclusione ed euro 26.000,00 di multa per i reati di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, per aver trasportato dalla Colombia all’Italia sostanza stupefacente di tipo cocaina per conto di COGNOME NOME (capo I);
NOME NOME ad anni 21 di reclusione, per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 73, 74, commi 1, 2, 3, del d.P.R. n. 309 del 1990, per avere fatto parte integrante di un’articolata e vasta organizzazione costituita allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti e puniti dall’art. 73 del medesimo decreto e per avere realizzato l’importazione in Italia di ingenti quantità di cocaina dalla Colombia (capi C, I, L, M).
La sentenza è stata impugnata, dagli imputati tramite i difensori. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME NOME Francesco si basa su due motivi.
2.1. In primo luogo, il ricorrente si duole della violazione dell’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 e di vizi della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della contestata associazione criminale dedita al narcotraffico.
Secondo la prospettazione difensiva, la Corte avrebbe basato il proprio giudizio su materiale probatorio inadeguato a supportare sia la sussistenza dell’associazione criminale sia la condotta di partecipazione per cui si è affermata la penale responsabilità del ricorrente. Inoltre, non sarebbero stati adeguatamente valorizzati gli esiti delle intercettazioni e le dichiarazioni rese dal collaboratore giustizia COGNOME, in particolar modo nella parte in cui quest’ultimo forniva elementi fattuali incompatibili con l’asserita esistenza dell’associazione e del ruolo
addebitato all’COGNOME, quali: il fatto che il Trimboli avesse agito distintamente con più gruppi; il fatto che avesse dichiarato che COGNOME, e dunque anche COGNOME, non erano in grado di prendere parte ad attività illecite, sia per mancanza di disponibilità di risorse economiche sia per la mancanza della capacità di assolvere i relativi compiti; il fatto che non vi fosse un effettivo e duraturo vincolo associativ tra i presunti sodali, quanto piuttosto una condotta rientrante nella previsione degli artt. 81 e 110 cod. pen.
Secondo quanto prospettato dalla difesa, la Corte avrebbe altresì omesso di considerare che non vi erano state iniziative, prolungate nel tempo, assunte dai presunti sodali che sostenessero l’esistenza di duraturo programma criminale contestato e che non vi fosse la concreta possibilità di realizzare i delitti in forma associata, essendo mancante una predisposizione di mezzi concretamente finalizzati al raggiungimento di un fine comune.
Inoltre, non si sarebbe considerata una conversazione nel corso della quale barbaro esortava COGNOME affinché quest’ultimo decidesse parte dello stupefacente di cui disponeva, la prevendita gli avrebbe consentito di incamerare un guadagno personale.
2.2. Con una seconda doglianza, la difesa lamenta la violazione dell’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 e vizi della motivazione in ordine alla ritenuta partecipazione dell’imputato all’associazione contestata.
La Corte avrebbe erroneamente dedotto la partecipazione dell’imputato all’associazione solo sulla scorta di elementi del tutto neutri e non espressivi di alcun legame effettivo, quali il fatto che l’ultima interlocuzione tra l’Albanese e i COGNOME risalisse al mese di aprile 2007 – così da doversi circoscrivere ulteriormente la durata della pretesa associazione – e le dichiarazioni rese dal Trimboli in sede di interrogatorio, il quale sconfessava espressamente che il gruppo di Femia avrebbe potuto concretamente prendere parte alle attività illecite, escludendo pertanto la partecipazione del ricorrente al sodalizio. Si riportano nel ricorso alcuni passaggi dell’interrogatorio di Trimboli ritenuti rilevanti dalla difes a tal fine.
Il ricorso di COGNOME NOME si compone di un unico motivo. La difesa si duole della violazione dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 e di vizi della motivazione in ordine alla ritenuta partecipazione dell’imputato alla associazione contestata. Nello specifico, secondo la prospettazione difensiva, non sarebbe esistita alcuna associazione tra il COGNOME e Albanese ed i rapporti oggetto di contestazione si sarebbero realizzati in un breve periodo intercorrente tra il 15 ottobre 2006 e il 24 febbraio 2007.
I contatti intrattenuti dal Femia con il Trimboli sarebbero stati inoltr caratterizzati da una relazione assolutamente personale, al di fuori di qualsiasi schema associativo idoneo a definire l’imputato come facente parte del sistema organizzativo. Tale circostanza sarebbe comprovata dalle dichiarazioni del capitano COGNOME e dall’assenza di rapporti tra l’imputato e COGNOME NOME, quale supposto organizzatore, insieme al Trimboli, dell’associazione. Ancora, la sentenza sarebbe viziata in punto di motivazione nella parte in cui non valorizza le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia COGNOME il quale ha più volte affermato di essere perfettamente consapevole dell’incapacità del COGNOME di importare lo stupefacente dal Sudamerica, rendendo pertanto la figura del COGNOME non riconducibile al sodalizio criminoso. Si sarebbe dovuto considerare che COGNOME aveva affermato che COGNOME non era partecipe dell’associazione, aveva qualificato i suoi rapporti con lui secondo lo schema dell’intermediazione, caratterizzata dall’incapacità di quest’ultimo, aveva precisato che NOME gli forniva delle “dritte operative”, di fatto prive di seguito.
Inoltre, un altro aspetto del vizio di motivazione riguarderebbe l’assunto per il quale il COGNOME nel periodo di detenzione in carcere, manteneva i contatti con il COGNOME e il COGNOME tramite suo fratello NOME. Tale circostanza sarebbe smentita dal fatto che NOME NOME è stato assolto con sentenza passata in giudicato.
Da ultimo, la difesa si duole dell’esclusione operata dalla Corte di un dato di collegamento tra quanto asserito dal collaboratore COGNOME e quanto accertato dalla polizia giudiziaria, non potendo ricondursi il semplice accordo delle volontà volto alla commissione di reati di droga all’ipotesi di partecipazione ad associazione finalizzata al narcotraffico.
Si riportano nel ricorso alcuni passaggi dell’interrogatorio di Trimboli ritenuti rilevanti dalla difesa.
Il ricorso di Trimboli Domenico si compone di due motivi.
4.1. In primo luogo, la difesa lamenta la violazione degli artt. 62-bis e 69 cod. pen. e vizi della motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La Corte di merito non avrebbe sufficientemente valorizzato il contributo processuale offerto dall’imputato nelle vesti di collaboratore di giustizia, non offrendo alcuna motivazione sul punto e non considerando la condotta susseguente al reato e l’attuale personalità dell’imputato.
4.2. Con un secondo motivo di ricorso, la difesa si duole della violazione dell’art. 721 cod. proc. pen. e della legge n. 69 del 2005, in riferimento al mancato riconoscimento del principio di specialità in tema di estradizione.
La Corte di appello avrebbe errato nel rigettare la richiesta di sospensione del processo presentata dalla difesa ai sensi dell’art. 721 cod. proc. pen., non considerando il fatto che il ricorrente era stato estradato dalla Colombia in data 3 giugno 2014, in esecuzione di altra sentenza del 27 febbraio 2021, dalla Corte di Appello di Roma. Secondo la prospettazione difensiva, inoltre, nel caso di specie non sarebbe possibile appellarsi a nessuna delle disposizioni contenute nel comma 2 dell’art. 26 e dell’art. 32 della legge n. 69 del 2005, dovendosi ritenere applicabili le condizioni di cui al comma 1 del richiamato art. 26.
Il ricorso di COGNOME Giovanni si compone di due motivi.
5.1. Con una prima doglianza, la difesa si duole di vizi della motivazione e della violazione degli artt. 187, 192, commi 1, 2 e 3, 546, comma 1, lettera e) , cod. proc. pen. e dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, in ordine all’omessa valutazione di elementi probatori rilevanti ai fini del raggiungimento della prova di colpevolezza. Nello specifico, la Corte avrebbe omesso di considerare i rilievi prospettati in merito all’interpretazione presuntiva data alle conversazioni telefoniche intercettate, dal contenuto criptico, le quali si prestavano a diverse interpretazioni. Secondo la difesa, la ricostruzione accusatoria, per la quale l’imputato avrebbe trasportato il quantitativo di sostanza stupefacente contestato, risulterebbe essere meramente deduttiva, non essendo stata confermata da alcun ritrovamento della sostanza. Viene altresì contestato il quantitativo dello stupefacente, non potendosi addivenire all’individuazione dei cinque chili di sostanza desunti dalle intercettazioni esaminate.
5.2. Con un secondo motivo di ricorso la difesa si duole della violazione degli artt. 187, 192, commi 1, 2, cod. proc. pen., in relazione all’omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen.
Più precisamente, la sentenza impugnata presenterebbe una motivazione solo apparente, omettendo di valorizzare gli aspetti evidenziati dalla difesa afferenti alla circostanza che l’imputato non era mai stato trovato nel possesso della sostanza stupefacente. Secondo la prospettazione difensiva, tali elementi avrebbero consentito il riconoscimento delle dedotte circostanze attenuanti generiche, onde addivenire ad una modulazione del trattamento sanzionatorio effettivamente aderente condotta attribuita al ricorrente, in particolar modo in considerazione del fatto che quest’ultimo risulta imputato della sola ipotesi accusatoria per il delitto di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990.
Il ricorso di COGNOME NOME si compone di un unico motivo, in cui il ricorrente si duole della violazione dell’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 e di vizi della motivazione in ordine alla ritenuta inclusione dell’imputato nell’associazione
contestata e del riconoscimento di quest’ultimo quale organizzatore della medesima.
Nello specifico, dai dialoghi intercorsi e captati tra il Trimboli ed il COGNOME emergerebbe come quest’ultimo, pur essendo dedito al commercio di stupefacenti, non condividesse alcun programma criminoso con il Trimboli, essendo pertanto estraneo a qualsiasi compagine associativa dedita al narcotraffico ed agendo al più in autonomia. Si riportano nel ricorso alcuni passaggi dell’interrogatorio di Trimboli ritenuti rilevanti dalla difesa.
Con successiva memoria datata 3 febbraio 2025, il ricorrente ha presentato un motivo aggiunto, con il quale insiste su quanto già dedotto, ribadendo che la Corte avrebbe erroneamente ritenuto integrato, a carico del ricorrente, lo standard probatorio normativamente previsto dall’art. 192, commi 2 e 3, cod. proc. pen. in ordine alla sussistenza del reato associativo di cui al capo C) dell’imputazione, omettendo di fornire adeguata motivazione sul punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va premesso che le censure – all’esame delle quali si procederà con riferimento alle posizioni dei singoli imputati – sono inammissibili perché dirette, con argomentazioni in parte generiche e in parte manifestamente infondate, ad ottenere una rivalutazione di elementi già presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito, riducendosi ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa, tali da dimostrare un’effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame (ex plurimis, Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970). Nella maggior parte dei casi, a fronte della ricostruzione e della valutazione della Corte di appello, i ricorrenti non offrono la compiuta rappresentazione e dimostrazione di alcuna evidenza (pretermessa ovvero infedelmente rappresentata dal giudicante) di per sé dotata di univoca, oggettiva e immediata valenza esplicativa, tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della decisione impugnata, per l’intrinseca incompatibilità degli enunciati.
1.1. Deve ricordarsi, in punto di diritto, che la rilevabilità del vizio motivazione soggiace alla verifica del rispetto delle seguenti regole:
il vizio deve essere dedotto in modo specifico in riferimento alla sua natura (contraddittorietà o manifesta illogicità o carenza), non essendo possibile dedurre il vizio di motivazione in forma alternativa o cumulativa; infatti non può rientrare fra i compiti del giudice della legittimità la selezione del possibile vizi
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NOME
genericamente denunciato, pena la violazione dell’art. 581, comma 1, lettera c), Cod. proc. pen. (ex plurimis, Sez. 2, n. 39138 del 10/09/2019; Sez. 2, n. 37298 del 28/06/2019);
b) per il disposto dell’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., il vizio della motivazione deve essere desumibile dalla lettura del provvedimento impugnato, nel senso che esso deve essere “interno” all’atto-sentenza e non il frutto di una rivisitazione in termini critici della valutazione del material probatorio, perché in tale ultimo caso verrebbe introdotto un giudizio sul merito valutativo della prova che non è ammissibile nel giudizio di legittimità: di qui discende, inoltre, che è onere della parte indicare il punto della decisione che è connotata dal vizio, mettendo in evidenza nel caso di contraddittorietà della motivazione i diversi punti della decisione dai quali emerga il vizio denunciato che presuppone la formulazione di proposizioni che si pongono in insanabile contrasto tra loro, sì che l’accoglimento dell’una esclude l’altra e viceversa (ex plurimis, Sez. 2, n. 11992 del 10/04/2020; Sez. 2, n. 20677 dell’11/04/2017, Rv. 270071);
c) il vizio di motivazione deve presentare il carattere della essenzialità, nel senso che la parte deducente deve dare conto delle conseguenze del vizio denunciato rispetto alla complessiva tenuta logico-argonnentativa della decisione. Infatti, sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (ex plurimis, Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021; Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, dep. 2021, Rv. 28058902).
1.1.1. Inoltre, in tema di impugnazione, il requisito della specificità dei motivi implica, a carico della parte impugnante, non soltanto l’onere di dedurre le censure che intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi fondanti le censure medesime, al fine di consentire al giudice di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (Sez. 6, n. 17372 del 08/04/2021, Rv. 281112). Ne consegue che il ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., ha l’onere – sanzionato a pena di a-specificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso – di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborar
l’impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi d motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione (Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, Rv. 277518). Inoltre, deve ricordarsi, che la mancanza di specificità del motivo va ritenuta non solo per la sua indeterminatezza, ma anche per la mancata correlazione tra le ragioni argomentate nella decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato. Pertanto, è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (ex Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970; Sez. 3, n. 44882 del 18/08/2014, Rv. 260608; Sez. 2, n. 29108 del 15/07/2011). plurimis ,
1.1.2. Parimenti, è inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lettera e), stesso codice, per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all’ammissibilità del doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Rv. 280027 – 04).
1.2. Tali principi trovano applicazione anche in relazione al sindacato sui vizi della motivazione relativa alla determinazione della pena e alla valutazione delle circostanze.
1.2.1. La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (ex plurimis, Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Rv. 271243).
1.2.2. Inoltre, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (ex plurimis, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549 – 02; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899).
1.2.3. In terzo luogo, va ricordato che, ai fini della determinazione della pena, il giudice può tenere conto più volte del medesimo dato di fatto sotto differenti profili e per distinti fini senza che ciò comporti lesione del principio de ne bis in idem (ex plurimis, Sez. 3, n. 17054 del 13/12/2018, dep. 2019, Rv. 275904 – 03; Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rv. 264378; Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, dep. 2014, Rv. 258011).
1.3. Va anche rimarcato che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello, trattandosi di c.d. doppia conforme, si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando il giudice del gravame, esaminando le censure proposte dell’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico-giuridici della prima sentenza, concordi nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (ex plurimis, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595).
1.4. Inoltre, occorre ulteriormente rilevare – basandosi i ricorsi, in misura più o meno estesa, su una richiesta di nuova valutazione delle risultanze probatorie che l’interpretazione e la valutazione del contenuto di queste costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità, se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione (ex plurimis, Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Rv. 282337; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, Rv. 268389; Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263715; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Rv. 257784). Con specifico riferimento all’interpretazione delle risultanze delle intercettazioni delle conversazioni ambientali e telefoniche, il giudice di merito è libero di ritenere che l’espressione adoperata assuma, nel contesto della conversazione, un significato criptico, specie allorché non abbia alcun senso logico nel contesto espressivo in cui è utilizzata ovvero quando emerge, dalla valutazione di tutto il complesso probatorio, che l’uso di un determinato termine indica altro, anche tenuto conto del contesto ambientale in cui la conversazione avviene (Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Rv. 267650).
Inoltre, deve ricordarsi che, nell’attribuire significato ai contenuti dell intercettazioni, il giudice del merito deve dare mostra dei criteri adottati per attribuire un significato piuttosto che un altro. E tale iter argomentativo è certamente censurabile in cassazione, ma soltanto ove si ponga al di fuori delle regole della logica e della comune esperienza mentre è possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 5, n. 1532 del 09/09/2020). Oltre a ciò, va peraltro esclusa la necessità di riscontri ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., nel caso di intercettazioni telefoniche captate fra terzi, dalle quali emergano elementi di accusa nei confronti dell’indagato, fatto salvo l’obbligo del giudice di valutare il significato dell conversazioni intercettate secondo criteri di linearità logica (ex plurimis, Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, Rv. 268414). Infine, va rilevato che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. (ex plurimis, Sez. U., n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263714).do
Le considerazioni appena svolte si attagliano pienamente al ricorso proposto da NOME COGNOME COGNOME che deve essere dichiarato inammissibile.
2.1. Il primo motivo di doglianza, relativo all’erronea valutazione del compendio probatorio circa la sussistenza dell’associazione di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, è inammissibile, in quanto generico e meramente diretto ad ottenere una rivalutazione delle evidenze processuali.
Contrariamente a quanto prospettato dalla difesa, i dati desunti dal materiale probatorio sono stati adeguatamente valorizzati dalla Corte distrettuale, la quale ha ampiamente esaminato i rilievi difensivi delineando, con puntuali sequenze argomentative, le ragioni giustificative della sussistenza di un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti con base operative in Calabria, Piemonte, Colombia. Dai dialoghi oggetto di attività captative è emerso come i sodali agissero per conto del Trimboli e del Barbaro, collaborando attivamente in diversi episodi di acquisto di consistenti quantitativi di sostanza stupefacente, nel mantenimento dei relativi contatti e nella consegna della droga agli acquirenti.
Quanto alla prospettazione difensiva circa l’inesistenza di iniziative prolungate nel tempo da parte dei sodali, è necessario rilevare che la Corte offre ampia motivazione sul punto, evidenziando nel corso dell’intera sentenza la significatività
degli scambi intervenuti tra i membri dell’associazione durante il prolungato periodo di osservazione, la pluralità di soggetti coinvolti, che emergono quali partecipi delle interlocuzioni aventi ad oggetto il traffico di stupefacenti, nonché i ruoli degli associati e il carattere organizzato degli episodi di importazione.
A fronte di generiche asserzioni difensive di segno contrario, tese a svalutare la prova attraverso citazioni parcellizzate di elementi decontestualizzati del quadro istruttorio, è sufficiente qui richiamare la motivazione della sentenza impugnata, la quale, con logicità e coerenza, in totale continuità con quella di primo grado, evidenzia che: a) già nell’estate 2006 vi erano contatti fra Trimboli, latitante in Colombia e COGNOME, in regime di arresti domiciliari; b) COGNOME agiva a stretto contatto con COGNOME; c) vi erano state più trattative per partite di cocaina, con la collaborazione di COGNOME; d) il gruppo è stato operativo dall’ottobre 2006 al febbraio 2008 e vi è prova del fatto che tutti i sodali si conoscessero e che COGNOME fosse in continuo collegamento con COGNOME attraverso COGNOME, ma anche con COGNOME; e) era proprio COGNOME che teneva le fila dei contatti con COGNOME e COGNOME, che andava all’estero per visionare e ritirare lo stupefacente, che si attivava per reperire denaro; f) dalle indagini emerge come i contatti avvenivano principalmente per posta elettronica con il sistema dell’accesso alla medesima casella; g) vi sono numerosissime telefonate registrate nelle quali lo stupefacente veniva designato attraverso un linguaggio criptico e allusivo; h) albanese era chiaramente identificato in base ad una pluralità di elementi convergenti (pag. 37 della sentenza impugnata); i) vi è prova di una serie di reati-scopo, correttamente identificati anche nella sentenza di primo grado; I) la cointeressenza di COGNOME nella vita associativa non è esclusa né alleggerita dalle dichiarazioni di COGNOME, le quali sono state solo parzialmente prese in considerazione dalla difesa, come emerge dall’analisi dei dialoghi riportati in sentenza (pag. 38-46); m) l’eventuale scarsa efficacia dell’azione illecita dell’COGNOME – oggetto di asserzioni difensive, poi reiterate con il ricorso per cassazione – è irrilevante al fine della sua partecipazione all’associazione, non essendo per questa richiesta una particolare caratura criminale. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Per tale motivo vanno rigettate tanto le doglianze della difesa relative all’insussistenza del vincolo associativo criminale, quanto la riconducibilità del caso di specie a quella del concorso di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, dal momento che l’elemento differenziale tra tali fattispecie risiede principalmente nell’elemento organizzativo, in quanto la condotta punibile a titolo di associazione finalizzata al narcotraffico non può ridursi ad un semplice accordo delle volontà, ma deve consistere in un quid pluris che si sostanzia nella predisposizione di una struttura organizzata stabile che consenta la realizzazione
concreta del programma criminoso (ex plurimis, Sez. 4, n. 27517 del 12/04/2024, Rv. 286738; Sez. 6, n. 27433 del 10/01/2017, Rv. 270396).
2.2. Il secondo motivo di ricorso, relativo alla partecipazione dell’imputato all’associazione contestata, è inammissibile, in quanto generico e rivalutativo delle evidenze processuali.
La Corte, nell’evidenziare l’apporto individuale fornito dal ricorrente all’organizzazione criminale di cui è stato parte integrante (pagg. 35-37 del provvedimento), ha correttamente enucleato – come visto – gli elementi da cui ha tratto la sussistenza della compagine criminosa, indicando i contatti intercorsi tra il Trimboli e il Femia nell’estate del 2006 e la circostanza che, a seguito dell’arresto del COGNOME, quest’ultimo agisse in stretto contatto con COGNOME il quale, come emissario del COGNOME, si recava in Germania nell’ottobre del 2006, con il fine di recuperare una partita di stupefacenti che doveva essere ceduta ad un soggetto in contatto con il Trimboli. Successivamente al mancato conseguimento di suddetto affare, la Corte riporta come il Trimboli intavolava con il Fennia nuove trattative per la cessione di una nuova partita di cocaina nella quale gli stessi si avvalevano proprio della collaborazione dell’COGNOME. Inoltre, nell’anno 2007, i contatti dell’Albanese e del correo COGNOME si svolgevano con COGNOME NOME, anch’esso, al pari del Trimboli, ai vertici dell’associazione dedita al narcotraffico.
Ancora, la prova dell’intraneità di Albanese al consesso associativo si ricava, altresì, dal fatto che lo stesso si recava in Colombia in diverse occasioni, riuscendo a mantenere intatta la vitalità dell’associazione tutta anche quando alcuni correi, come il COGNOME, venivano raggiunti da ordinanze restrittive della libertà personale.
Il ricorso di COGNOME NOME è inammissibile.
3.1. In merito alla sussistenza dell’associazione criminale dedita al narcotraffico, possono essere richiamate le considerazioni svolte per il ricorso di COGNOME, spendibili anche con riferimento al tema della partecipazione del Femia alla compagine criminale.
La Corte di appello, rispondendo in punto di colpevolezza del ricorrente, ha dato ampia motivazione del perché le dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME non possano essere considerate come capaci di sminuire il ruolo del ricorrente (pagg. 20-21 del provvedimento), dal momento che il compendio intercettivo rivela con assoluta chiarezza la presenza di una stabile ed organizzata interlocuzione fra il ricorrente e gli altri partecipanti al sodalizio, finalizz all’importazione e alla successiva distribuzione dello stupefacente nel territorio italiano.
Ad ulteriore conferma della compartecipazione del Femia alla compagine associativa vi è l’utilizzo, sia da parte sua sia dei sodali, di un sistema criptato di
Aì,
bozze di messaggi non inviati che venivano comunque recapitati al destinatario. Era emerso, ad esempio, come il COGNOME contattasse il Trimboli invitandolo a scrivere con il sistema delle bozze al non meglio identificato “amico dello stretto”, ed il chiamato riferiva all’interlocutore che a breve, gli avrebbe inviato dei “regali di Natale”, ovvero una partita di stupefacenti diversa da quella di cui discutevano.
Quanto ai requisiti necessari per la configurazione dell’associazione, è stata adeguatamente evidenziata la non minima durata di tali scambi, atteso il periodo non certo breve di osservazione, la pluralità dei soggetti coinvolti, partecipi delle interlocuzioni aventi ad oggetto la droga, ed il carattere organizzato della compagine associativa.
Quanto all’assunto difensivo circa l’incapacità del COGNOME di prendere parte alle attività di narcotraffico, la Corte di merito correttamente rileva che, a prescindere dall’incapienza economica del Femia per sostenere l’acquisto delle partite di droga, gli scambi di comunicazioni tra il COGNOME ed il Trimboli erano fitti, tanto che il primo contattava quest’ultimo lamentandosi del ritardo nella consegna della droga, chiedendo all’interlocutore risposte chiare e sostenendo che avrebbe inviato in Colombia un suo amico, ovvero l’COGNOME, per operare diversamente.
Come evidenziato dalla Corte, i dati raccolti lasciano emergere, con chiara evidenza, l’affectio societatis dei sodali tra loro e l’esistenza di una struttura organizzativa capillare che contava sull’appoggio di diversi sottogruppi, nonché lo spiccato attivismo del ricorrente (conversazioni alle pagine 21-32 della sentenza impugnata).
Quanto all’asserita breve durata del coinvolgimento del Femia all’associazione, tale prospettazione, oltre che falsa in fatto, risulta manifestamente infondata in diritto, dal momento la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, anche breve, non rileva, purché dagli elementi acquisiti possa inferirsi l’esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benché per un periodo di tempo limitato (ex multis, Sez. 6, n. 42937 del 23/09/2021, Rv. 282122; Sez. 4, n. 50570 del 26/11/2019, Rv. 278440 – 02).
4. Il ricorso di COGNOME Giovanni è inammissibile.
4.1. Il primo motivo, afferente al mancato raggiungimento della prova di colpevolezza dell’imputato, perché basata sulle risultanze probatorie delle intercettazioni, risulta inammissibile, in quanto privo di ogni reale confronto con l’ampia motivazione offerta dalla Corte di appello sul punto.
Come adeguatamente indicato dalla Corte di appello (pagg. 50-53 del provvedimento), l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, rappresenta una questione di fatto
ampiamente risolta e motivata con coerenza logica e le risultanze delle intercettazioni possono costituire anche da sole prova della responsabilità penale.
Tanto premesso, il nutrito compendio istruttorio ha dato prova dell’avvenuto trasporto di 5 Kg di cocaina dalla Colombia all’Italia da parte del COGNOME su incarico del COGNOME, del trasporto dello stupefacente dalla Colombia a Parigi e delle numerose operazioni successive con cui i sodali si apprestavano ad attuare nuove operazioni ricorrendo al medesimo schema operativo (pag. 51 del provvedimento).
Quanto alla contestazione difensiva circa il mancato rinvenimento della droga, è necessario ricordare che, in tema di stupefacenti, qualora gli indizi a carico di un soggetto consistano in mere dichiarazioni captate nel corso di operazioni di intercettazione senza che sia operato il sequestro della sostanza stupefacente (la c.d. droga parlata), la loro valutazione, ai sensi dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., deve essere compiuta dal giudice con particolare attenzione e rigore e, ove siano prospettate più ipotesi ricostruttive del fatto, la scelta che conduce alla condanna dell’imputato deve essere fondata in ogni caso su un dato probatorio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, caratterizzato da un alto grado di credibilità razionale, con esclusione soltanto delle eventualità più remote (Sez. 6, n. 27434 del 14/02/2017, Rv. 270299).
Ebbene, va rilevato che nel caso di specie, la motivazione della Corte di appello appare pienamente logica e coerente con tali canoni valutativi. Il ricorrente propone censure che si risolvono in una diversa valutazione delle risultanze probatorie vagliate dalla Corte di appello. A conferma della consumazione del reato da parte del COGNOME soccorre, altresì, il dato dirimente dell’utilizzo del passaporto del coimputato NOMECOGNOME che era al corrente del buon esito della transazione effettuata dal COGNOME nel luglio 2007. A conferma di ciò, vi è il fatto che in data 21/08/2007 l’Azil, sulla base di un accordo a monte con il COGNOME ed il COGNOME, denunciava presso la stazione dei carabinieri di Moncalieri il furto del passaporto e della carta d’identità (pag. 51 del provvedimento).
4.2. Il secondo motivo di ricorso, relativo al diniego delle circostanze attenuanti generiche, è inammissibile. La difesa non offre alcun elemento valido a sostenere una rimodulazione dell’impianto sanzionatorio e non si confronta con la motivazione offerta dalla Corte- di appello sul punto (pag. 52 del provvedimento), la quale, seguendo un percorso argomentativo chiaro e logico, evidenzia come la condotta contestata al COGNOME si inscriva in un circuito ben oleato di traffici illecit di droga all’interno dei quali l’imputato risultava perfettamente inserito e di cui rappresentava una pedina fondamentale. La gravità del reato fa emergere, inoltre, la pervicacia dell’imputato nel perseguimento di fatti illeciti attinenti al mondo della droga, considerato che il Di COGNOME entrava in possesso di un quantitativo rilevante di droga, circa 5 chili, a cui seguiva l’organizzazione di ulteriori condotte di
trasporto, compiute con i medesimi schemi operativi e con i medesimi sodali: aspetto, questo, altamente indicativo di professionalità criminale. E ciò a prescindere dall’ulteriore dato negativo rappresentato dalla precedente condanna, pur risalente nel tempo, afferente a reato analogo.
5. Il ricorso di COGNOME NOME è inammissibile.
5.1. Il motivo di ricorso prospettato dalla difesa, ribadito altresì nella memoria presentata a questa Corte ed attinente all’erronea inclusione dell’imputato nell’associazione contestata con ruolo di organizzatore del medesimo, risulta inammissibile, perché del tutto privo di un confronto critico con la motivazione della sentenza di appello, la quale si pone in totale continuità con quella di primo grado.
La Corte di merito ha evidenziato come, diversamente dalla prospettazione difensiva che delinea il COGNOME quale “semplice commerciante di stupefacenti”, egli rivestisse un ruolo fondamentale all’interno della compagine criminale. L’affermazione che l’imputato non sia mai stato trovato in possesso di sostanza stupefacente ed il rilievo secondo il quale i contatti telefonici con gli altri imputat fossero sporadici si pongono in radicale contrasto con quanto argomentato dai giudici di primo e secondo grado. Dalle plurime conversazioni intercorse tra il Trimboli e il COGNOME e tra quest’ultimo e il COGNOME, aventi ad oggetto l’organizzazione del traffico di sostanza stupefacente dalla Colombia all’Italia, oltre che dalla testimonianza del luogotenente COGNOME il quale ha confermato come i conversanti facessero riferimento alle varie transazione commerciali e come il COGNOME spesso si servisse di un’utenza pubblica da cui chiamare per ragioni di cautela i sodali – è possibile rilevare chiaramente il ruolo essenziale di organizzatore rivestito dal ricorrente, oltre che le specifiche mansioni che quest’ultimo affidava ai correi (pagg. 10-19 della sentenza).
Quanto all’autonomia di esercizio criminale del COGNOME rispetto al COGNOME prospettata dalla difesa, è possibile evidenziare come le risultanze probatorie abbiano dimostrato la piena collaborazione tra i due, dal momento che era il COGNOME ad accordarsi con il COGNOME, situato in Colombia, circa i contatti da intrattenere con i narcos, organizzando successivamente la cessione della sostanza sul suolo italiano tramite diversi sottogruppi di trafficanti. Il COGNOME h specificamente evidenziato di aver operato in sinergia con il COGNOME e il COGNOME, consentendo di enucleare con alto grado di certezza la responsabilità penale del ricorrente.
6. Il ricorso di COGNOME NOME è inammissibile.
6.1 II primo motivo di doglianza, relativo al mancato ricnoscinnento delle circostanze attenuanti generiche, è inammissibile.
La richiesta risulta formulata in modo non specifico e diretta ad ottenere una rivalutazione fattuale da parte della Corte di cassazione: nel caso di specie, con l’appello l’imputato si era lamentato della mancata considerazione della proficua collaborazione con la magistratura e del buon comportamento adottato negli anni successivi.
La sentenza impugnata ha confermato la decisione del primo giudice con una motivazione corretta in diritto e logicamente argomentata, perché la positiva condotta resipiscente e collaborativa successiva al reato è stata autonomamente valorizzata, e premiata, per riconoscere la circostanza attenuante ad effetto speciale e i profili di cui al ricorso sono sostanzialmente riconducibili a quest’ultima.
Ed invero, dalla giurisprudenza di questa Corte relativa al rapporto tra le circostanze attenuanti generiche e la circostanza attenuante ad effetto speciale oggi codificata nell’art. 416-bis.1, terzo comma, coà. pen. – con riguardo all’ipotesi del ravvedimento attuoso assai simile, per struttura, a quella prevista dall’art. 73, comma 7, del d.P.R. n. 309 del 1990 – emerge una linea interpretativa secondo la quale gli elementi posti a fondamento dell’attenuante ad effetto speciale non possono essere utilizzati per giustificare anche il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (ex multis, Sez. 1, n. 7184 del 15/11/2022, dep. 2023, Rv. 284374; Sez. 6, n. 43890 del 21/06/2017, Rv. 271099; Sez. 6 n. 49820 del 05/12/2013, Rv. 258136). Ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è, infatti, necessario che vi sia una qualche ragione ulteriore rispetto alla valutazione dei favorevoli elementi già considerati ai fini di un’altra circostanza attenuante.
6.2. Il secondo motivo di ricorso, con il quale il difensore del Trimboli ha censurato la mancata applicazione del principio di specialità di cui all’art. 721 cod. proc. pen., è inammissibile.
Preliminarmente, è necessario osservare che la prospettazione difensiva circa la non riconducibilità del caso di specie alle disposizioni previste dagli artt. 26 e 32 della legge n. 69 del 2005, è generica, in quanto non indica i motivi per i quali non sussistono le condizioni ivi previste, risolvendosi in una mera doglianza priva di riscontro.
Anche a prescindere da tale assorbente, considerazione, va osservato, quanto al caso di specie, che non esisteva al tempo dei fatti oggetto di contestazione uno specifico trattato tra Italia e Colombia relativo alla procedura di estradizione, entrato in vigore solo nel 2016. Tanto premesso, la Corte di appello offre una corretta motivazione sul punto dell’inapplicabilità dell’art. 721, comma 1 cod. proc. pen. (pag. 49 del provvedimento), evidenziando come il suddetto articolo non
riguardi il profilo di specialità quanto al procedimento penale ma, piuttosto, quanto alla restrizione della libertà personale dell’imputato, che, nel caso in esame, non
ha trovato luogo, essendo quest’ultimo detenuto attualmente per altri motivi.
E infatti, è espressamente consentito allo Stato di emissione di procedere penalmente nei confronti della persona consegnata qualora si tratti di reati diversi
ed anteriori per i quali, indipendentemente dal tipo di pena, la procedura non comporti l’applicazione di una misura restrittiva della libertà personale
dell’interessato (art. 27, par. 2, lettera c,
della decisione quadro 2002/584/GAI, la quale prevede espressamente che il principio di specialità non si applichi quando
«il procedimento penale non dà luogo all’applicazione di una misura restrittiva della libertà personale»). Orbene, esaminando la normativa nazionale, deve
constatarsi che l’ipotesi in esame di eccezione al principio di specialità, prevista dalla decisione quadro, è stata recepita nella legge 22 aprile 2005 n. 69 che, a tal
riguardo, stabilisce che il principio di specialità non si applica quando «il procedimento penale non consente l’applicazione di una misura restrittiva della
libertà personale» (art. 26, comma 2, lettera c,
rt. 32).
Più precisamente, la ratio della norma coincide con la disciplina del principio di specialità introdotta dalla stessa decisione quadro, escludendone l’applicazione quando la persona consegnata sia sottoposta a procedimento penale per fatti anteriori e diversi senza la privazione della libertà personale; essendo pertanto legittimo che si proceda penalmente nel contraddittorio dell’imputato in assenza di sottoposizione del giudicabile a misura restrittiva della libertà personale
Per questi motivi, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativannente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.