Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 27814 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 27814 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME nato a Napoli il 21/05/1978
avverso l’ordinanza del 27/03/2025 del Tribunale di Napoli visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe indicata il Tribunale di Napoli ha respinto l’istanza di riesame proposta avverso l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari aveva applicato a NOME COGNOME la misura cautelare degli arresti domiciliari, poi sostituita con quella dell’obbligo di presentazione alla polizi giudiziaria, per il reato di associazione a delinquere e per una serie di reati di corruzione e falso in atto pubblico.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME denunciando i motivi di annullamento di seguito sintetizzati.
2.1. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla partecipazione al reato associativo, per difetto dell’a ffectio societatis.
2.2. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione ai reati di corruzione contestati al ricorrente, in quanto gli elementi probatori dovrebbero indurre a riqualificare i fatti come induzione indebita (art. 319-quater cod. pen.)
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Va premesso che, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, la Corte di cassazione è tenuta a verificare, nei limiti consentiti dalla peculiare natura del giudizio di legittimità, se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno determinato ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, verificando il rispetto dei canoni della logica e dei principi d diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Non è, dunque, consentito proporre censure riguardanti la ricostruzione dei fatti o che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito, come invece richiesto dal ricorrente, soprattutto attraverso l’interpretazione del contenuto delle conversazioni intercettate il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità se non quando manifestamente illogico ed irragionevole (tra le tante Sez. 3, n.44938 del 5/10/2021, Rv. 282337).
L’ordinanza impugnata ha evidenziato che dalle intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali, dall’attività di polizia giudiziaria e dalla documentazione acquisita presso uffici pubblici sono emersi gravi indizi dell’esistenza di una struttura associativa dedita alla commissione di reati di corruzione e falso, costituita da medici dipendenti dell’ASL Napoli-1 centro, da dipendenti comunali, da imprenditori delle onoranze funebri e procacciatori d’affari. Il sistema creato
prevedeva che: a) a fronte del pagamento di una somma di denaro prestabilita in base ad una sorta di tariffario, i dirigenti medici emettessero certificati di morte nei quali veniva falsamente attestata la constatazione del decesso da parte del medico presso il domicilio del defunto o presso il luogo della morte; b) gli imprenditori operanti nel settore delle pompe funebri versassero la somma di denaro -poi addebitata al privato sotto forma di costo del servizio funerario- per ottenere la possibilità di avviare celermente le procedure funerarie (comprese le cremazioni) potendo, così, offrire alla clientela un servizio più rapido ed efficiente e aumentare il volume d’affari; c) i dipendenti comunali, sempre verso pagamento di somme di denaro prestabilite, procedessero al rilascio di autorizzazioni (ad esempio per il trasporto e cremazione di salme sulla base di certificati medici falsi) omettendo ogni forma di controllo (ad esempio, sulla genuinità delle firme apposte dai congiunti per la cremazione).
I fatti materiali non sono negati dal ricorrente, che, in sede di interrogatorio di garanzia, ha reso confessione, riferendo, però, di essersi dovuto adeguare al sistema esistente in quel distretto e di preferire i contatti con la dott.ssa COGNOME piuttosto che con il dott. COGNOME con cui aveva anche litigato.
Sul punto l’ordinanza ha messo in rilievo che il ricorrente, quale referente di una ditta di onoranze funebri, lungi dall’essere un semplice beneficiario occasionale degli illeciti realizzati dal sodalizio, era perfettamente integrato nel meccanismo di corruzione del pubblico ufficiale e di falsificazione delle certificazioni. La sua partecipazione all’associazione è stata dedotta, oltre che dalla ripetuta presenza negli uffici del distretto sanitario, dall’interazione con gli alt indagati e dalla profonda conoscenza del meccanismo illecito emergente dalle intercettazioni. È, dunque, irrilevante che l’ordinanza riporti tre soli incontri in u arco temporale molto ristretto (sei giorni), in quanto dai dialoghi riportati emerge, secondo la condivisibile valutazione del Tribunale, la sua piena adesione al programma delittuoso dell’associazione.
Inammissibili sono, poi, le deduzioni difensive relative all’omessa valutazione di una intercettazione (n. 3543 del 27/09/2023) e al fatto che in due delle tre ipotesi di reato contestate all’imputato emergerebbe dagli atti che il medico dell’RAGIONE_SOCIALE non aveva constatato personalmente il decesso per aver appreso dell’esistenza, in un caso, di un verbale della polizia giudiziaria e, nell’altro, di un certificazione redatta dai medici del 118. Entrambi i profili, infatti, attengono alla ricostruzione dei fatti e si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dal giudice di merito, con motivazione del tutto logica e, peraltro, rispondente alla confessione dell’imputato.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per carenza di interesse, in quanto la diversa qualificazione giuridica non è idonea a incidere sull’an o sul quomodo della misura cautelare (Sez. 2, n. 17366 del 21/12/2022, Renna, Rv. 284489 – 01). In ogni caso esso è manifestamente infondato.
Il reato di concussione e quello di induzione indebita si differenziano dalle fattispecie corruttive, in quanto i primi due illeciti richiedono, entrambi, una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico, idonea, a seconda dei contenuti che assume, a costringere o a indurre l’extraneus, comunque in posizione di soggezione, alla dazione o alla promessa indebita, mentre l’accordo corruttivo presuppone la par condicio contractualis ed evidenzia l’incontro assolutamente libero e consapevole delle volontà delle parti (Sez. U, n. 1228 del 24/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258474).
La giurisprudenza successiva ha valorizzato il profilo della posizione di preminenza in concreto esercitata dal pubblico ufficiale e, correlativamente, lo spazio di libertà concessa al privato per ciò che riguarda la determinazione alla dazione o promessa.
In tal senso, assume rilievo Sez. 6, n. 53436 del 6/10/2016, Vecchio, Rv. 268791, in cui richiamati i principi enunciati dalle Sezioni unite “Maldera”, si è affermata la configurabilità del reato di cui all’art. 319-quater cod. pen., e non di quello di corruzione, solo quando sia esclusa qualsiasi forma di parità nei rapporti intercorsi tra le parti del rapporto illecito, dovendo configurarsi la corruzione nel caso in cui l’erogatore delle somme «si sia determinato al pagamento per mero calcolo utilitaristico, anziché per timore».
L’ordinanza impugnata ha fatto corretta applicazione di tali principi, respingendo la prospettazione difensiva volta a sussumerli nell’ambito della fattispecie di cui all’art 319-quater cod. pen. In particolare, il Tribunale ha escluso che i dirigenti sanitari abbiano posto in essere condotte di pressione e di subdola persuasione del privato e ha ribadito che dal materiale investigativo emerge, piuttosto, la libera convergenza delle volontà dei soggetti coinvolti verso il comune obiettivo illecito.
In conclusione il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente a pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12/06/2025.