Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2109 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2109 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Latina il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza del 19/06/2023 del Tribunale di Roma visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato; uditi i difensori, AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Roma confermava, in sede di riesame, la ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma che aveva applicato a NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere per i reati di cui agli artt. 74 (capo 24) e 73 (capi 7, 13, 14, 16, 19, 2 21, 22 e 23) d.P.R. n. 309 del 1990.
t,
Secondo l’incolpazione provvisoria, COGNOMECOGNOME in veste di organizzatore, avrebbe fatto parte di un’associazione dedi4 al traffico di stupefacenti nell’area dei Monti Lepini, formata da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME; nonché avrebbe detenuto o ceduto sostanze stupefacenti di varia tipologia (hashish, cocaina e marijuana).
Avverso la suddetta ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori dell’indagato, denunciando i motivi di annullamento, come sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Insussistenza del reato associativo e vizio di motivazione.
La valutazione dell’ordinanza impugnata sulla gravità indiziaria in ordine all’esistenza di un gruppo organizzato e al ruolo di organizzatore attribuito al ricorrente risulta da un lato disancorata dalle risultanze investigative e dall’altro illogica e contraddittoria.
Quanto al primo profilo, il Tribunale non ha individuato i canali di approvvigionamento dello stupefacente (NOME è solo lo snodo tra fornitori e coloro che immettono la droga sul mercato; le dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME non avevano ricevuto alcun riscontro); ha ravvisato una organizzazione che smerciava le sostanze acquistate dal NOME e dal COGNOME, custodite in parte presso le loro abitazioni, nonostante da un lato non via sia alcun riscontro della presenza di tali sostanze presso gli indagati comunque in quantità tali da far ritenere in atto o in corso una organizzata attività di spaccio (sono solo 6 i sequestri effettuati tra il settembre 2019 e l’agosto 2020 per piccoli e comunque contenuti quantitativi di sostanze stupefacenti), e dall’altro che la stessa ordinanza dia atto di rapporti di dare e avere tra i consociati per le forniture e della circostanza che sia sempre COGNOME ad essere chiamato da COGNOME COGNOME la cessione di stupefacente che questi poi spaccia agli acquirenti, restando in debito con COGNOME (segno che manchi una struttura e l’accordo associativo); ha valorizzato i reati-fine, che tuttavia sono stati commessi in numero non ampio in poco più di sette mesi e per quantitativi minimi e che non assurgono pertanto ad elemento significativo della esistenza del patto, come anche il ricorso a schede telefoniche “dedicate”, che costituisce una metodologia comune anche ai concorrenti nel reato di spaccio, o l’assistenza ai sodali, che veniva peraltro effettuata dal COGNOME a favore del cognato. In definitiva gli elementi valorizzati non connotano l’esistenza del reato associativo.
Si tratta di concorso nel reato piuttosto che di associazione criminale.
In ordine al secondo profilo, è attribuita l’organizzazione del sodalizio al NOME per ovviare alla mancanza di indizi sulle modalità di approvvigionamento dello stupefacente rispetto ad una struttura composta da sole 4 persone, attinte dalla
misura cautelare, che alternativamente svolgevano attività di spaccio, nonché di capo o di organizzatore.
2.2. Violazione di legge in relazione alla fattispecie di cui al sesto comma dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Il Tribunale non ha fatto buon governo dei principi da ultimo affermati dalla Corte di legittimità in ordine alle caratteristiche dell’associazione “minore” prevista dall’art. 74 cit., secondo cui ciò che la qualifica sono le singole cessioni di lieve entità, indipendentemente dal volume di affari o di attività del sodalizio criminoso.
In ogni caso resta privo di riscontro (quanto all’oggetto) il numero di “accessi” alla casa del COGNOME da parte di presunti acquirenti, mentre i sei sequestri effettuati e le captazioni hanno restituito forniture per quantitativi modesti di stupefacente e in territori limitati.
2.3. Vizio di motivazione in relazione alla testimonianza resa dal collaboratore NOME COGNOME.
Si è ritenuto il collaboratore NOME in quanto, oltre ad accusarsi di fatti delittuosi, era intraneo nelle dinamiche criminali da lui riferite e le s propalazioni riscontrate dalle dichiarazioni del collaboratore COGNOME COGNOME dalle altre risultanze investigative.
Peraltro, non risulta dagli atti (né il Tribunale sul punto motiva) che vi siano sovrapposizioni investigative su quanto dichiarato dai collaboratori (NOME aveva rapporti solo con il clan COGNOME con il quale era associato) e non vi sono elementi a sostegno della attendibilità del COGNOME. Quanto ai rapporti tra COGNOME e i collaboratori, la conoscenza è per “sentito dire” e non vi è alcuna verifica se le notizie riferite costituiscano patrimonio comune del sodalizio di appartenenza dei collaboratori.
2.4. Mancanza di motivazione sulla riqualificazione dei fatti di cui ai capi 7), 16) e 20) nell’ipotesi dei fatti di lieve entità.
Il Tribunale ha omesso di motivare sulla richiesta della difesa di riqualificare i fatti sopra indicati ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
I quantitativi trattati (45 grammi di cocaina; 116 grammi di marijuana; 50 grammi) risultano compatibili con quelli individuati dalla Corte Suprema all’esito di uno studio statistico sulla ipotesi lieve.
Il Tribunale ha valorizzato una lettura complessiva delle imputazioni senza invece verificare la compatibilità con i parametri indicati dalla giurisprudenza.
2.5. Mancanza di motivazione sulla permanenza del reato associativo e sulla attualità del pericolo di recidiva per i reati-fine ascritti al ricorrente.
Il Tribunale ha reso una motivazione apparente sulla permanenza del reato associativo, anche con riferimento alla posizione del ricorrente, non considerando che l’ultimo reato-fine contestato al ricorrente risale al 3 luglio 2020.
2.6. Vizio di motivazione in relazione al capo 19) (cessione a COGNOME di 100 grammi di cocaina).
Il Tribunale ha ricostruito in modo illogico l’episodio di cui al suddetto capo, sulla base di messaggi intercettati tra il ricorrente e COGNOME (fissazione di un appuntamento), su quanto osservato dalla p.g. (l’incontro tra i due) e sul sequestro operato nei confronti di COGNOME (un appunto con cifre): da questi dati ha tratto il convincimento di una pregressa cessione, rateizzata, peraltro non suffragata da riscontri ulteriori.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito illustrate.
2. Il primo motivo con il quale il ricorrente contesta la valutazione della gravità indiziarikcon riferimento al reato associativo declina rilievi volti, da un lato, parcellizzare le evidenze investigative utilizzate per dimostrar -e, in via cautelare, la esistenza del gruppo organizzato (secondo un metodo pacificamente non consentito per la prova indiziaria, tra tante, Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, Rv. 280605), e, dall’altro, a svilirne il significato, con precluse argomentazioni assertive e di merito o evidenziando carenze o illogicità ricostruttive (la mancata individuazione di canali di approvvigionamento dello stupefacente; la assenza di sequestri significativi; i rapporti di dare e avere tra i sodali) che non inficiano affatto sul piano logico-giuridico l’analisi condotta dai giudici del merito.
Il ragionamento dimostrativo seguito dal Tribunale muove dai fatti descritti nei capi da 1), 2), 4), 5), 6), 8) e 10), che pur non oggetto di presidio cautelare, erano indicativi di un quotidiano traffico di stupefacenti realizzato senza sosta presso l’abitazione del COGNOME (dallo stesso definito come “un lavoro”, della cui continuità si era preoccupato di assicurare allorquando era stato raggiunto da un ordine di carcerazione), per poi attenzionarsi sui capi oggetto della misura cautelare che “fotografavano” il modus operandi ripetitivo e collaudato seguito dagli indagati nel periodo monitorato: COGNOME era lo stabile collettore delle sostanze (il cui flusso era dimostrato dalle evidenze investigative ancorché non fosse stato accertata la provenienza) da smerciare sul territorio tramite il COGNOME e, dopo l’arresto di questi, lo COGNOME, utilizzando come corriere il Frati:areni.
Corroboravano tale quadro la capacità del gruppo (e dello stesso COGNOME) di resistere ai sequestri o agli arresti dei suoi componenti e di mantenere in vita l’organizzazione, l’uso di schede telefoniche dedicate e attivate in modo da non consentire collegamenti tra i partecipi (era proprio il COGNOME ad assicurarsi del loro
uso sicuro da parte dei sodali quanto al tempo di utilizzo e alle modalità delle comunicazioni, nonché alla loro sostituzione), nonché l’assistenza ai sodali in carcere (proprio il COGNOME si adoperava per curare.gli interessi del COGNOME una volta detenuto).
Quanto alle censure del ricorrente in ordine alle conclusioni tratte dal Tribunale sui capi, oggetto di presidio cautelare, che venivano a svelare il modus operandi dei sodali (i capi 13, 14, 16, 20, 21, 22 e 23), va segnalato che il Tribunale ha rilevato che l’indagato non aveva proposto contestazioni in sede di riesame sulla ricostruzione degli episodi criminosi (cfr. pag. 9). Contestazioni che quindi, nella misura in cui investono il merito delle indagini, non possono essere avanzate per la prima volta in questa sede.
E’ sufficiente rilevare che l’ordinanza impugnata ricostruisce le vicende grazie alle captazioni, anche valorizzando i riscontri che erano venuti in alcuni casi dalle osservazioni di polizia giudiziaria (il trasporto delle sostanze tramite COGNOME e la consegna ai venditori) e dai sequestri (che confermavano anche il significato del linguaggio criptico e convenzionale utilizzato dai sodali per far riferimento allo stupefacente).
Questo quadro era “arricchito”, solo quale ulteriore riscontro, dalle dichiarazioni dei collaboratori NOME e COGNOME, se pur riferite ad un’epoca precedente all’indagine.
Quanto poi al ruolo di organizzatore, risultano prive di int:eresse le critiche in ordine al ruolo apicale attribuito al ricorrente (che non verrebbero a sortire effetti concreti sulla liberazione del ricorrente). Esaminate piuttosto tali doglianze in ordine al ruolo partecipativo del ricorrente al sodalizio, le stesse si rivelano aspecifiche, nei termini esaminati poco sopra.
Inammissibile è anche il secondo motivo con cui è denunciata la violazione di legge in relazione alla decisione del Tribunale di non qualificare l’associazione in esame ai sensi del sesto comma dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Il ricorrente, pur invocando la violazione della legge penale sostanziale, mira in realtà ad una rilettura delle evidenze investigative (facendo leva anche su argomentazioni generiche e assertive), nella preclusa prospettiva di ottenere in questa sede una alternativa ricostruzione della vicenda cautelare.
Quel che rileva è che il Tribunale ha offerto una motivazione che si sottrae alle censure difensive di violazione di legge.
Il Tribunale ha escluso tale inquadramento sui seguenti elementi: la capacit della associazione di rifornire continuativamente un’ampia platea di consumator (1200 accessi presso COGNOME in periodo agosto-dicembre 2019), le condotte poste in essere dai sodali (capi 7, 13, 14, 16, 19, 10, 21, 22 e 23) non qualificabili
fatti di lieve entità, la movimentazione di flussi rilevanti di sostanze anche diverse, le modalità organizzative per sviare le indagini, la capacità di “reazione” del sodalizio rispetto ad eventi avversi.
Proprio la sentenza citata dalla difesa (Sez. 3, n. 11313 del 17/02/2022) ha ribadito i principi di cui ha fatto applicazione il Tribunale: ovvero che, ai fini del configurabilità del reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti di lieve entità, non è sufficiente considerare la natura dei singoli episodi di cessione accertata in concreto, ma occorre valutare il momento genetico dell’associazione, nel senso che essa deve essere stata costituita per commettere cessioni di stupefacente di lieve entità, e le potenzialità dell’organizzazione, con riferimento ai quantitativi di sostanze che il gruppo è in grado di procurarsi (Sez. 3, n. 44837 del 06/02/2018, Rv. 274696); che la fattispecie associativa prevista dall’art. 74, comma 6, DPR 309/1990 è configurabile a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entità, predisponendo modalità strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravità e che, in concreto, l’attività associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione dell’art. 73, comma 5, DPR n.309/1990, sicché va esclusa la sussistenza di tale delitto quando venga in rilievo in concreto una diversa capacità operativa, con un’organizzazione articolata e con una capacità di approvvigionamento continuo e sistematico di sostanza stupefacente (Sez. 6, n. 1642 del 09/10/2019, dep. 2020, Rv. 278098; Sez. 6, n. 49921 del 25/01/2018, Rv. 274287; Sez. 4, n. 53568 del 05/10/201.7, Pardo, Rv. 271708).
Aspecifico è il quarto motivo relativo alle dichiarazioni rese dal collaboratore NOME COGNOME.
Come si è detto poc’anzi, il Tribunale ha utilizzato queste dichiarazioni solo quale “ulteriore” riscontro della esistenza della associazione criminosa.
Quindi le osservazioni difensive sulla attendibilità delle dichiarazioni appaiono mal centrate e sono meramente ripetitive delle censure avanzate in sede di riesame.
Anche il quarto motivo, relativo alla riqualificazione dei fatti di cui ai capi 7), 16) e 20) nell’ipotesi dei fatti di lieve entità, non supera la soglia del ammissibilità.
Va escluso infatti che il Tribunale abbia omesso di pronunciarsi sul quarto motivo di riesame, relativo alla suddetta questione.
Come si legge a pag. 22 dell’ordinanza impugnata, il Tribunale ha escluso che le condotte attuative del programma criminoso ed in partic:olare anche quelle indicate ai capi 7), 16) e 20) fossero qualificabili in termini di lieve entit
Evidentemente solo per mero errore materiale nella parte r,pag. 16) in cui ha affrontato la qualificazione dei reati-fine attribuiti al ricorrente ha omesso di indicare il capo 7), mentre ha indicato i criteri utilizzati per escluderne la liev entità.
In particolare, il Tribunale ha richiamato l’arresto delle Sezioni Unite n. 51063 del 2018, che ha ribadito come l’accertamento al riguardo vada condotto facendo riferimento ad una valutazione complessiva degli elementi concreti della . fattispecie.
Al di là del dato ponderale riferito ai singoli episodi, il Tribunale ha infat valorizzato l’entità della droga movimentata dal ricorrente quotidianamente e quindi la capacità di smercio.
Al riguardo va rammentato che la fattispecie autonoma di cui al comma 5 dell’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309′ è configurabile nelle ipotesi di c.d. piccolo spaccio, che si caratterizza per una complessiva minore portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro e potenzialità di guadagni limitati, che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia tale da dar luogo ad una prolungata attività di spaccio, rivolta ad un numero indiscriminato di soggetti (Sez. 6, n. 45061 del 03/11/2022, Rv. 284149).
6. Il quinto motivo sulle esigenze cautelari avanza censure reiterative e aspecifiche.
In primo luogo, il Tribunale, come si evince a pag. 24 dell’ordinanza impugnata, ha ritenuto sussistente anche il pericolo di fuga; in secondo luogo, ha indicato gli elementi volti a stabilire l’attualità del pericolo di recidiva (in particol gli esiti della perquisizione eseguita in sede di esecuzione della misura cautelare, che aveva portato a rinvenire segni dell’attività delittuosa nel settore del narcotraffico ancora in essere).
E’ appena il caso di rammentare il consolidato principio in tema di misure cautelari riguardanti il reato di associazione ex art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, secondo cui la prognosi di pericolosità non si rapporta solo all’operatività della stessa, né alla data ultima dei reati fine, ma ha ad oggetto la possibile commissione di delitti che siano espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento in circuiti criminali che caratterizzano l’associazione di appartenenza (Sez. 4, n. 3966 del 12/01/2021, Rv. 280243).
Alle stesse conclusioni deve addivenirsi per l’ultimo moilvo relativo al capo 19).
Il Tribunale, rispondendo ad analoga censura, nel ripercorrere i dati utilizzati dal Giudice per le indagini preliminari per ricostruire la ipotizzata cessione di 100 grami di cocaina a NOME COGNOME, ha evidenziato come l’episodio (in cui il COGNOME aveva chiesto con linguaggio criptico al COGNOME il “solito”, utilizzando un’utenza intestata a soggetto straniero e contattando il secondo su una utenza “dedicata”; si erano dati appuntamento in una località fuori mano; COGNOME dopo essere stato controllato aveva avvisato il COGNOME; entrambi smettevano di utilizzare le due utenze in questione) dovesse essere inquadrato non solo nel contesto dell’attività di trafficante del COGNOME, ma anche dei pregressi rapporti tra questi e il COGNOME, come monitorati dall’indagine (erano emersi analoghi incontri avuti tra i due i primi di giugno 2020). Il tutto avvalorato dalla perfetta coerenza delle annotazioni trovate nel foglietto in possesso del COGNOME con la data dei loro incontri e con il prezzo di mercato della cocaina.
Conclusivamente, alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
Considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.
La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di rito.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pem –
Così deciso il 30/10/2023.