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Associazione a delinquere: quando il ricorso è generico

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi di due individui contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per reati gravi, tra cui l’associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico. La Corte ha ritenuto i ricorsi generici, in quanto si limitavano a riproporre questioni di fatto già valutate dai giudici di merito, senza individuare vizi di legittimità specifici. La sentenza ribadisce che la gestione organizzata di una ‘piazza di spaccio’, con ruoli definiti e profitti ingenti, integra pienamente il reato di associazione a delinquere, distinguendolo da singoli episodi di spaccio.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione a delinquere: la Cassazione traccia i confini per la custodia cautelare

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Penale, n. 1479 del 2024, offre un’importante lezione sulla distinzione tra singoli reati e una vera e propria associazione a delinquere, specialmente nel contesto del narcotraffico. Il caso riguarda due fratelli destinatari di una misura di custodia cautelare in carcere, accusati di essere ai vertici di un’organizzazione criminale. La Corte, nel dichiarare i loro ricorsi inammissibili, ha delineato con chiarezza i requisiti per contestare efficacemente un provvedimento cautelare e le caratteristiche che definiscono una struttura associativa criminale.

I fatti di causa

Il Tribunale del riesame di Napoli aveva confermato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di due fratelli e altri soggetti. Le accuse erano gravissime: partecipazione con ruolo apicale a un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di cocaina, hashish e marijuana, detenzione e porto di armi, e tentato omicidio. Il quadro indiziario si basava su un solido compendio di prove, tra cui intercettazioni telefoniche e ambientali, videoriprese, dichiarazioni di acquirenti e collaboratori di giustizia, e riconoscimenti fotografici.

I due fratelli, tramite i loro difensori, hanno presentato ricorso in Cassazione, contestando punto per punto la ricostruzione accusatoria e la valutazione delle prove effettuata dai giudici di merito.

Le censure dei ricorrenti e il concetto di associazione a delinquere

I motivi del ricorso erano molteplici e toccavano tutti gli aspetti delle accuse. In particolare, la difesa sosteneva che:

1. Mancanza dell’associazione: Il Tribunale avrebbe erroneamente desunto l’esistenza di un’associazione a delinquere da una serie di singoli episodi di spaccio, senza dimostrare l’esistenza di una struttura stabile e organizzata e del cosiddetto affectio societatis, ovvero la volontà comune di far parte di un sodalizio criminoso.
2. Inattendibilità delle prove: Le prove raccolte, come i riconoscimenti fotografici e le videoriprese di scarsa qualità, sarebbero state inidonee a fondare un giudizio di gravità indiziaria.
3. Errata valutazione dei reati: Per i reati di armi e tentato omicidio, la difesa lamentava una lettura parziale e illogica delle conversazioni intercettate e delle immagini di sorveglianza, che non proverebbero il coinvolgimento diretto o il ruolo di mandanti dei ricorrenti.
4. Aggravante mafiosa: Veniva contestata l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 c.p., sostenendo che i rapporti con clan egemoni fossero in realtà frutto di estorsione subita e non di un’alleanza volontaria per agevolare l’attività mafiosa.

In sostanza, i ricorrenti chiedevano alla Cassazione una rivalutazione complessiva del materiale probatorio, un compito che, come vedremo, esula dalle competenze del giudice di legittimità.

Le motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, definendoli ‘generici’ e ‘manifestamente infondati’. La motivazione della Corte si articola su principi procedurali e sostanziali di grande rilevanza.

Innanzitutto, la Corte ha ribadito un principio fondamentale: il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio. Non si può chiedere alla Suprema Corte di riesaminare i fatti e le prove. Il ricorso è ammissibile solo se denuncia vizi di legge o difetti di motivazione (illogicità, contraddittorietà) che rendano la decisione impugnata legalmente insostenibile. Nel caso di specie, i ricorrenti si erano limitati a riproporre le stesse argomentazioni già respinte dal Tribunale del riesame, senza confrontarsi specificamente con le ragioni esposte da quest’ultimo.

Nel merito, la Corte ha ritenuto che il Tribunale avesse motivato in modo logico e coerente su tutti i punti. Per quanto riguarda l’associazione a delinquere, è stato evidenziato come le prove dimostrassero l’esistenza di una consolidata ‘piazza di spaccio’, minuziosamente organizzata attorno all’abitazione di uno dei fratelli. L’operatività era garantita da una pluralità di soggetti con ruoli interscambiabili (spacciatori, vedette), direttive impartite dai vertici e un sistema collaudato per la consegna della droga, capace di generare introiti giornalieri di migliaia di euro. Questa struttura, secondo la Corte, va ben oltre il semplice concorso in singoli reati e configura pienamente un’associazione stabile e organizzata.

Anche le altre censure sono state respinte. I riconoscimenti fotografici, sebbene non formali, sono stati ritenuti attendibili perché provenienti da acquirenti e corroborati da intercettazioni. Le videoriprese, pur se non sempre nitide, erano state correttamente interpretate alla luce del contesto complessivo delle indagini. Infine, la Corte ha ritenuto logica la ricostruzione del tentato omicidio come reazione armata del gruppo a seguito di un’azione ostile, con uno dei fratelli nel ruolo di mandante e l’altro come esecutore materiale.

Conclusioni

La sentenza in esame offre due conclusioni di grande importanza pratica. La prima, di carattere processuale, è un monito per la difesa: un ricorso in Cassazione deve essere chirurgico, mirato a colpire specifici vizi di legittimità della decisione impugnata, e non può risolversi in una generica richiesta di rivedere le prove. La seconda, di natura sostanziale, chiarisce che la gestione di una ‘piazza di spaccio’ con una struttura organizzata, ruoli definiti, e un’operatività costante integra il grave reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di pena e di applicazione delle misure cautelari.

Quando un ricorso in Cassazione viene considerato ‘generico’ e quindi inammissibile?
Un ricorso è considerato generico, e quindi inammissibile, quando si limita a riproporre le medesime argomentazioni già esaminate e respinte dai giudici di merito, senza confrontarsi specificamente con la motivazione del provvedimento impugnato e senza individuare precisi vizi di legittimità (violazione di legge o manifesta illogicità della motivazione).

Cosa distingue una serie di reati di spaccio da una vera e propria associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico?
Secondo la sentenza, la distinzione risiede nella presenza di una struttura organizzativa stabile e riconoscibile. Elementi come una base operativa fissa (la ‘piazza di spaccio’), una pluralità di soggetti con ruoli definiti e interscambiabili (capi, spacciatori, vedette), una continuità nei contatti e un’attività capillare volta a garantire profitti significativi e costanti sono indicativi dell’esistenza di un’associazione e non di un semplice concorso in singoli reati.

Per applicare una misura cautelare per reati gravi, è sufficiente la gravità dei reati contestati?
No. Sebbene la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere per reati come l’associazione a delinquere sia un fattore importante, il giudice deve comunque valutare la consistenza e la continuità del pericolo concreto. Nel caso specifico, il Tribunale ha valorizzato non solo la gravità dei fatti, ma anche il ruolo assunto dai ricorrenti, i loro numerosi precedenti penali e l’assenza di segnali di ravvedimento, elementi che hanno reso inadeguata qualsiasi misura meno afflittiva del carcere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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