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Associazione a delinquere: prova e misure cautelari

La Corte di Cassazione ha confermato un’ordinanza di arresti domiciliari per un’imputata accusata di partecipazione ad un’associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico. La Corte ha stabilito che il coinvolgimento ripetuto e operativo in numerosi reati-fine è prova sufficiente della partecipazione stabile al sodalizio, superando la mera ipotesi di concorso di persone. È stato inoltre respinto il motivo basato sul ‘tempo silente’, ovvero l’assenza di condotte illecite recenti, poiché la pericolosità intrinseca dell’associazione a delinquere e la continuità operativa del gruppo sono state ritenute prevalenti ai fini della sussistenza delle esigenze cautelari.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione a delinquere: quando la partecipazione diventa stabile

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 10624 del 2024, offre importanti chiarimenti sulla distinzione tra il semplice concorso in reati di narcotraffico e la partecipazione a una stabile associazione a delinquere. La Corte ha rigettato il ricorso di un’indagata, confermando la misura degli arresti domiciliari e delineando i criteri per valutare la gravità indiziaria e la sussistenza delle esigenze cautelari anche a distanza di tempo dai fatti contestati.

I Fatti del Caso

Una donna veniva sottoposta alla misura degli arresti domiciliari in quanto gravemente indiziata di aver commesso ventisette delitti legati al narcotraffico (art. 73 d.P.R. 309/1990) e di far parte di un’associazione a delinquere finalizzata allo stesso scopo (art. 74 d.P.R. 309/1990). La difesa presentava ricorso in Cassazione, sostenendo che mancasse la prova di un contributo continuativo e qualificato al sodalizio criminale. Secondo il legale, il coinvolgimento della sua assistita si limitava a singoli episodi di spaccio, e la sua partecipazione non poteva essere desunta automaticamente dai legami familiari con i presunti vertici dell’organizzazione. Inoltre, si contestava la sussistenza delle esigenze cautelari, dato il notevole lasso di tempo trascorso (‘tempo silente’) senza che l’indagata commettesse nuovi reati.

La Prova dell’Associazione a Delinquere

Uno dei punti centrali della decisione riguarda come si dimostra la partecipazione a un’associazione a delinquere. La Corte ha ribadito un principio consolidato: la commissione ripetuta di reati-fine, in concorso con altri, può integrare l’esistenza di indizi gravi, precisi e concordanti di partecipazione al reato associativo.

Nel caso specifico, il Tribunale del riesame aveva correttamente valorizzato non solo il numero elevato di delitti (ventisette), ma anche la frequenza e la natura del coinvolgimento dell’indagata. Le intercettazioni telefoniche avevano rivelato un ruolo operativo ben definito e cruciale all’interno del gruppo:

* Gestione finanziaria: era incaricata di riscuotere il denaro dai pusher e di conteggiare i proventi delle vendite.
* Logistica: si occupava del taglio della sostanza, del confezionamento in dosi e del controllo delle scorte.
* Strategia: suggeriva nuovi acquisti per rimpinguare le scorte e consigliava luoghi sicuri, come una stalla, per occultare lo stupefacente e sfuggire ai controlli di polizia.

Questi elementi, secondo la Corte, dimostrano un coinvolgimento che va ben oltre un reclutamento estemporaneo per singoli episodi, configurando una partecipazione stabile e consapevole al programma criminoso del sodalizio.

Esigenze Cautelari e il ‘Tempo Silente’

La difesa aveva insistito sull’assenza di esigenze cautelari attuali, evidenziando che i reati-fine contestati risalivano principalmente al 2019 e che non vi erano prove di attività illecite negli anni successivi. La Cassazione ha affrontato la questione del cosiddetto ‘tempo silente’, riconoscendo l’esistenza di diversi orientamenti giurisprudenziali.

Tuttavia, ha prevalso la tesi secondo cui, per reati gravi come l’associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico, opera una presunzione di pericolosità. La prognosi non riguarda solo la data dell’ultimo reato-fine, ma anche la possibile commissione di nuovi delitti espressione della medesima ‘professionalità’ criminale. La Corte ha sottolineato che l’attività del sodalizio era radicata nel tempo e si era protratta almeno fino al 2021. La semplice assenza di nuove contestazioni non è sufficiente a superare la presunzione di pericolosità, soprattutto se la difesa non fornisce elementi concreti che dimostrino un effettivo allontanamento dal contesto criminale.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto infondati tutti i motivi del ricorso. In primo luogo, ha stabilito che la valutazione del Tribunale del riesame sulla partecipazione dell’indagata all’associazione era logica e ben motivata. Il numero, la frequenza e soprattutto il ruolo specifico ricoperto all’interno del gruppo escludevano l’ipotesi di un mero concorso di persone in singoli reati. La sua non era una presenza passiva, ma un contributo attivo e funzionale alla vita e all’operatività dell’organizzazione criminale.

In secondo luogo, riguardo alle esigenze cautelari, la Corte ha affermato che il Tribunale ha correttamente bilanciato i diversi fattori. Da un lato, la presunzione di pericolosità legata al reato di associazione; dall’altro, il decorso del tempo. La Corte ha ritenuto che la permanente operatività del gruppo criminale e i numerosi episodi contestati all’indagata fossero elementi sufficienti a giustificare la misura cautelare, non essendo stato provato un suo reale distacco dal sodalizio. Infine, la scelta degli arresti domiciliari è stata considerata adeguata, poiché teneva conto della condizione dell’indagata di madre di un figlio di età inferiore ai sei anni, contemperando le esigenze di cautela con il principio del ‘minimo sacrificio necessario’.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rafforza due principi fondamentali in materia di criminalità organizzata. Primo, la prova della partecipazione a un’associazione a delinquere può essere desunta dal ruolo operativo e continuativo svolto dal singolo all’interno del gruppo, anche attraverso la commissione di una serie di reati-fine. Secondo, il semplice trascorrere del tempo non è, di per sé, sufficiente a escludere la pericolosità sociale e le esigenze cautelari, specialmente quando si tratta di sodalizi criminali strutturati e operativi. La presunzione di pericolosità può essere superata solo con la prova di un concreto e definitivo allontanamento dal contesto illecito.

Quando la commissione di più reati si trasforma in partecipazione ad un’associazione a delinquere?
Secondo la sentenza, ciò avviene quando il coinvolgimento non è estemporaneo ma dimostra l’assunzione di un ruolo specifico, continuativo e funzionale all’interno della struttura criminale. Il numero elevato, la frequenza dei reati e la natura dei compiti svolti (gestionali, logistici, strategici) sono indizi che provano l’adesione stabile al programma del sodalizio.

Il trascorrere del tempo senza commettere nuovi reati è sufficiente per annullare una misura cautelare?
No. Per reati gravi come l’associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico, vige una presunzione di pericolosità. Il cosiddetto ‘tempo silente’ può essere un elemento di valutazione, ma non è di per sé decisivo se non è accompagnato da prove concrete che dimostrino un effettivo e irreversibile allontanamento dell’indagato dal contesto criminale di appartenenza.

I legami familiari con i vertici di un’organizzazione criminale costituiscono prova di partecipazione all’associazione?
La sentenza chiarisce che i legami familiari, da soli, non sono sufficienti a provare la partecipazione. Tuttavia, il coinvolgimento attivo e operativo dell’indagata, provato dalle intercettazioni e dai ruoli ricoperti, è stato l’elemento decisivo, a prescindere dalla sua parentela con altri membri del gruppo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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