Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 10624 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 10624 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nata a Catanzaro il DATA_NASCITA;
avverso l’ordinanza emessa in data 25.05.2023 dal Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Catanzaro ha rigettato la
richiesta di riesame presentata da NOME COGNOME e ha confermato l’ordinanza emessa in data 3 aprile 2023 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, che ha applicato la misura degli arresti domiciliari nei confronti della ricorrente, in quanto ritenuta gravemente indiziata della commissione di ventisette delitti di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 e del delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
AVV_NOTAIO, nell’interesse della ricorrente, ha presentato ricorso avverso tale ordinanza e ne ha chiesto l’annullamento, deducendo tre motivi.
2.1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione in ordine al giudizio di gravità indiziaria relativa al delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Difetterebbe, infatti, la dimostrazione di un contributo continuativo, qualificato e sostanziale dell’indagata all’associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico; la prova dell’esistenza del reato associativo non potrebbe, infatti, essere desunta semplicemente dalla presunta commissione di delitti fine, peraltro circoscritti nell’anno 2019, in quanto gli elementi struttural dell’associazione devono essere dimostrati autonomamente.
La partecipazione della ricorrente all’associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico non potrebbe, inoltre, essere desunta solo dal rilievo che NOME COGNOME è figlia di NOME COGNOME e NOME COGNOME, presunti organizzatori dell’associazione contestata, convivente di NOME COGNOME e sorella di NOME COGNOME.
La mera convivenza in una medesima abitazione non potrebbe, infatti, comportare automaticamente la condivisione dei propositi criminosi altrui.
Il Tribunale del riesame, inoltre, non avrebbe argomentato in ordine alla consapevolezza dell’indagata di condividere il programma associativo del sodalizio criminoso; le intercettazioni riportate nell’ordinanza impugnata, infatti, dimostrerebbero al più il concorso di persone della ricorrente nel reato continuato di detenzione e di spaccio di stupefacenti, irrelato rispetto al contesto associativo.
2.2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari e alla mancata allegazione di elementi atti a superare la doppia presunzione enunciata dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Il Tribunale del riesame, infatti, avrebbe omesso di considerare l’insussistenza della commissione di reati fine negli anni 2018, 2020, 2021, 2022 e 2023 e avrebbe obliterato che il presunto sodalizio criminale negli anni dal 2020 al 2023 non avrebbe posto in essere alcuna attività illecita.
La misura cautelare, peraltro, sarebbe stata applicata a distanza di quattro anni dalla commissione delle condotte poste a fondamento del giudizio di gravità indiziaria.
2.3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta adeguatezza della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere.
Il Tribunale del riesame, infatti, in violazione dell’art. 275, comma 1, cod. proc. pen. e del principio costituzionalmente sancito del «minimo sacrificio necessario», non avrebbe applicato la misura coercitiva più adeguata alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto.
Non essendo stata richiesta la trattazione orale del procedimento, il ricorso è stato trattato con procedura scritta.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 27 novembre 2023, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, nella persona di NOME COGNOME, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
Con memoria depositata in data 6 dicembre 2023 l’AVV_NOTAIO ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato, in quanto i motivi proposti sono infondati.
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione in ordine al giudizio di gravità indiziaria relativa al delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, commesso dal 2018 con condotta in atto.
3. Il motivo è infondato.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, il delitto di associazione per delinquere si distingue dal concorso di persone nel reato disciplinato dagli artt. 110 e segg. cod. pen. poiché l’accordo criminoso è circoscritto alla commissione di uno o più reati singolarmente individuati, anche quando siano concepiti nell’ambito di un disegno criminoso unitario, si esaurisce dopo che questi sono stati commessi ed è caratterizzato dalla mancanza di una struttura organizzativa più o meno complessa e dei mezzi necessari all’attuazione del programma, a tutti comune (Sez. 1, n. 6204 del 11/03/1991, Controsceri, Rv. 188025; Sez. 1, n. 6684 del 12/05/1995, Cortinovis, Rv. 201541; Sez. 1, n. 10107 del 14/07/1998, Rossi, Rv. 211403).
La ripetuta commissione, in concorso con altri partecipi, di reati fine dell’associazione, può, tuttavia, integrare l’esistenza di indizi gravi, precisi concordanti in ordine alla partecipazione ai reato associativo, suscettibili di essere superati solo con la prova contraria dell’assenza di un vincolo preesistente con i correi, fermo restando che, stante la natura permanente del reato associativo, detta prova non può consistere nella limitata durata dei rapporti con costoro (ex plurimis: Sez. 3, n. 20003 del 10 gennaio 2020, COGNOME, Rv. 279505 – 02; Sez. 3, n. 42228 del 03/02/2015, Prota, Rv. 265346; Sez. 2, n. 5424 del 22/01/2010, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 246441; Sez. 5, n. 6026 del 25/03/1997, Puglia, Rv. 208088).
Il Tribunale del riesame ha, invero, fatto buon governo di tali consolidati principi, ritenendo dimostrata, nei limiti delibatori propri della fase cautelare, l partecipazione della ricorrente all’associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico in ragione del suo coinvolgimento in ventisetl:e reati-scopo del sodalizio.
Il Tribunale del riesame ha, infatti, non certo incongruamente rilevato che il numero e la frequenza di tali delitti, dimostrando l’attribuzione di uno specifico ruolo operativo all’interno del sodalizio, escludono l’ipotesi alternativa prospettata dal difensore di un reclutamento estemporaneo e precario dell’indagata per la commissione di singole cessioni di sostanza stupefacente.
Le intercettazioni telefoniche riportate nel provvedimento impugnato danno, infatti, conto del regolare coinvolgimento della ricorrente nelle dinamiche del gruppo, quale incaricata della riscossione dai pusher e del conteggio del denaro ricavato dalle vendite; del taglio della sostanza e del suo confezionamento in dosi; del controllo e del periodico approvvigionamento del fratello NOME; del suo suggerimento di effettuare nuovi acquisti al fine di rimpinguare le scorte in via di esaurimento; dei consigli orientati a consentire la prosecuzione dell’attività al riparo dai controlli di polizia (è suo il suggerimento, raccolto, di utilizzare la stalla di pertinenza dell’abitazione quale luogo di occultamento della sostanza stupefacente).
Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari e alla mancata allegazione di elementi atti a superare la doppia presunzione enunciata dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Il motivo è, infatti, infondato, in quanto la misura coercitiva è stata disposta in relazione a delitto per il quale opera la doppia presunzione – relativa di sussistenza delle esigenze e di adeguatezza della misura custodiale carceraria; la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., è, del
resto, prevalente, in quanto speciale, rispetto alle disposizioni generali stabilite dall’art. 274 cod. proc. pen.; ne consegue che, se il titolo cautelare riguarda i reati previsti dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., detta presunzione fa ritenere sussistente, salvo prova contraria, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo (Sez. 5, n. 4950 del 07/12/2021 dep. 2022, Andreano, Rv. 282865 – 01).
È vero che, come dedotto dal ricorrente, le condotte ascrivibili alla COGNOME per quanto riguarda i “reati fine” non sembrano esorbitare il 2019 (anche se la contestazione associativa è “aperta” e il Tribunale del riesame ha espressamente rilevato che «l’attività del sodalizio criminale è radicata nel tempo ed è continuata indisturbata anche in seguito all’arresto di alcuni acquirenti e corrieri e il sequestro dello stupefacente, con episodi attestanti il permanere di un canale di cessione della droga che sino protratti sino al 2021».
È noto che, sulla questione del “tempo silente”, si sono formati, anche nell’ambito della giurisprudenza di legittimità, orientamenti non completamente coincidenti.
In particolare, questa Sezione ha ritenuto che «in tema di misure cautelari, pur se per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. è prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 4 e di una esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra gli «elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari», cui si riferisce lo stesso art. 275, comma :3, cod. proc. pen.» (Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, Gargano, Rv. 285272 – 01).
In senso difforme, si è rilevato che «in tema di misure cautelari riguardanti il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, la prognosi d pericolosità non si rapporta solo all’operatività della stessa o alla data ultima dei reati-fine, ma ha ad oggetto anche la possibile commissione di reati costituenti espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento nei circuiti criminali che caratterizzano l’associazione di appartenenza e postula, pertanto, una valutazione complessiva, nell’ambito della quale il tempo trascorso è solo uno degli elementi rilevanti, sicchè la mera rescissione del vincolo non è di per sé idonea a far ritenere superata la presunzione relativa di attualità delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.» (Sez. 3, n. 16357 del 12/01/2021, PMT c. Amato, Rv. 281293 – 01).
Peraltro, pure aderendo al primo degli orientamenti indicati, nel caso di specie l’ordinanza impugnata risulta immune dalle censure dedotte dalla ricorrente, in quanto il Tribunale, in riferimento al decorso del tempo e alla
permanente attualità delle esigenze cautelari, ha non incongruamente valorizzato i numerosi episodi di illecita detenzione e cessione di stupefacenti ascrivibili all’indagata e la permanente operatività dell’associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti.
Il Tribunale ha, peraltro, non certo incongruamente rilevato che la ricorrente ha dedotto meramente la valenza asseritamente ostativa del “tempo silente” e non già elementi sintomatici di un possibile allontanamento effettivo dal contesto criminale nei quali è maturata la commissione di quei reati.
Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta adeguatezza della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere.
6. Il motivo è infondato.
Il Tribunale del riesame, infatti, applicando correttamente nel caso di specie la doppia presunzione enunciata dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., ha congruamente individuato la misura coercitiva adeguata alle esigenze cautelari ravvisabili nel caso di specie negli arresti domiciliari.
Nella valutazione non manifestamente illogica del Tribunale del riesame, infatti, pur avendo la ricorrente commesso un numero elevato di delitti-scopo e avendo dimostrato una intensa partecipazione all’operatività dell’associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico (anche ponendo in essere interventi per superare le difficoltà determinate dai controlli di polizia), la COGNOME è madre di prole inferiore ai sei anni e questo elemento, pur a fronte del grado e delle intensità delle esigenze cautelari ravvisate, impone l’applicazione di una misura cautelare da eseguirsi in ambito domiciliare.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere rigetto e la ricorrente deve essere condannata, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese i:processuali.
Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2023.