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Associazione a delinquere: prova e custodia cautelare

La Corte di Cassazione conferma la custodia cautelare in carcere per un individuo accusato di far parte di un’associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico. La sentenza chiarisce che, per provare la partecipazione, sono decisivi gli indizi che dimostrano un ruolo stabile all’interno della struttura, anche se le condotte osservate coprono un breve arco temporale. La Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso, confermando la validità della presunzione legale che impone la massima misura cautelare per questo tipo di reato.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione a delinquere e Narcotraffico: Quando Pochi Episodi Bastano per la Prova

Affrontare la distinzione tra singoli reati di spaccio e la partecipazione a una vera e propria associazione a delinquere è una delle sfide più complesse nel diritto penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 2763/2024) ha fornito chiarimenti cruciali su quali elementi probatori siano sufficienti a configurare l’appartenenza a un sodalizio criminale e a giustificare la massima misura cautelare, la custodia in carcere. Il caso analizza la posizione di un soggetto il cui contributo all’organizzazione è stato osservato per un periodo limitato, sollevando importanti questioni sulla prova del vincolo associativo.

I Fatti del Caso: La Decisione del Tribunale del Riesame

La vicenda ha origine da un’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, che applicava la custodia cautelare in carcere a un individuo per il reato di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (art. 74 d.P.R. 309/1990) e per diversi episodi di spaccio.

Contro tale provvedimento, la difesa proponeva richiesta di riesame. Il Tribunale del riesame di Napoli, tuttavia, rigettava la richiesta, confermando la misura detentiva. Secondo i giudici, nonostante le doglianze difensive, gli elementi raccolti erano sintomatici della piena consapevolezza dell’indagato di essere inserito in un contesto associativo stabile e organizzato.

Il Ricorso in Cassazione e l’impostazione difensiva

La difesa ha quindi presentato ricorso in Cassazione, basandolo su due motivi principali:

1. Violazione di legge sulla configurabilità dell’associazione a delinquere: Si sosteneva la mancanza di prove idonee a dimostrare la consapevolezza dell’indagato di far parte di un sodalizio. Secondo il ricorrente, le condotte contestate erano episodiche, limitate a un breve arco temporale e riconducibili a singoli reati di spaccio, non a un contributo stabile all’associazione.
2. Violazione sulla valutazione delle esigenze cautelari: Si contestava la mancata valutazione dell’attualità e concretezza del pericolo di recidiva, specialmente alla luce del breve periodo in cui si sarebbero svolti i fatti.

La Prova dell’Associazione a Delinquere secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. Secondo i giudici, il Tribunale del riesame aveva correttamente valorizzato elementi che andavano ben oltre la semplice commissione di reati di spaccio. L’appartenenza dell’indagato alla struttura criminale era stata desunta da conversazioni con esponenti di spicco dell’organizzazione. Tali dialoghi non solo provavano singoli episodi di cessione, ma delineavano un ruolo ben preciso dell’indagato, che si occupava del rifornimento della droga, della rendicontazione dell’attività e conosceva le modalità di occultamento della sostanza. Questo dimostrava un inserimento stabile e consapevole nel sodalizio.

La Durata dell’Osservazione e le Esigenze Cautelari

Un punto chiave della sentenza riguarda la durata delle condotte. La Corte ha ribadito un principio consolidato: anche un breve periodo di osservazione è sufficiente se gli elementi acquisiti permettono di inferire l’esistenza di un “sistema collaudato” a cui gli agenti fanno riferimento, anche implicitamente. Ciò che conta non è la durata, ma la qualità della prova che dimostra l’inserimento stabile nell’organigramma criminale. Inoltre, la Corte ha respinto il secondo motivo relativo alle esigenze cautelari, richiamando la presunzione di adeguatezza della massima misura custodiale prevista dall’art. 275, comma 3, c.p.p. per il reato di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico. Tale presunzione, sebbene relativa, non era stata superata dalle generiche eccezioni della difesa.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha concluso che il ricorso era inammissibile perché le argomentazioni della difesa erano generiche e non si confrontavano specificamente con la logica e completa motivazione dell’ordinanza impugnata. I giudici del riesame avevano correttamente spiegato come la professionalità criminale dell’indagato, il suo inserimento nella struttura e i contatti con figure apicali dimostrassero un concreto e attuale pericolo di reiterazione dei reati. L’insieme degli elementi probatori, in particolare le conversazioni, delineava in modo inequivocabile l’apporto dell’indagato al programma associativo e la sua volontà di farne parte (affectio societatis), rendendo irrilevante che non fosse stato formalmente “invitato” a partecipare o che non conoscesse il momento esatto della nascita dell’organizzazione.

Conclusioni

Questa sentenza riafferma principi fondamentali in materia di reati associativi. In primo luogo, la prova della partecipazione a un’associazione a delinquere non dipende dalla durata delle condotte osservate, ma dalla capacità degli elementi probatori di dimostrare un inserimento stabile e funzionale dell’individuo all’interno della struttura. In secondo luogo, per reati di tale gravità, la legge pone una forte presunzione a favore della custodia in carcere, che può essere vinta solo con allegazioni difensive specifiche e concrete, capaci di dimostrare l’assenza di esigenze cautelari. Per gli operatori del diritto, la decisione sottolinea l’importanza di analizzare la qualità degli indizi (come il contenuto delle intercettazioni) che possono trasformare una serie di reati-fine nella prova di un più grave vincolo associativo.

La commissione di pochi reati di spaccio è sufficiente per provare la partecipazione a un’associazione a delinquere?
No, di per sé non è sufficiente. Tuttavia, se questi episodi si inseriscono in un contesto più ampio, provato da altri elementi (come conversazioni con i vertici, conoscenza delle modalità operative, rendicontazione dell’attività), possono diventare prova dell’inserimento stabile nell’organizzazione.

Quanto deve durare il periodo di osservazione delle condotte criminali per poter configurare un’associazione?
La sentenza chiarisce che la durata può essere anche breve. L’elemento cruciale non è il tempo, ma che dagli elementi raccolti si possa desumere l’esistenza di un “sistema collaudato” e di un contributo stabile dell’indagato a tale sistema.

È sempre necessaria la custodia in carcere per chi è accusato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti?
La legge (art. 275, comma 3, c.p.p.) prevede una presunzione di adeguatezza della massima misura cautelare. Questa presunzione è “relativa”, cioè può essere superata, ma la difesa deve fornire allegazioni specifiche e concrete che dimostrino l’assenza di un effettivo pericolo, cosa che nel caso di specie non è stata ritenuta sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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