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Associazione a delinquere: prova del ruolo stabile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un indagato accusato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. La Corte ha confermato la validità della misura cautelare in carcere, stabilendo che la prova della partecipazione stabile all’organizzazione criminale può essere desunta da elementi fattuali concludenti, come l’uso sistematico della propria abitazione come base logistica per il gruppo, a prescindere dal solo legame di parentela con il capo dell’associazione.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione a Delinquere: Quando l’Uso della Propria Casa Diventa Prova

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30481/2025, offre importanti chiarimenti sui criteri per dimostrare la partecipazione a un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Il caso analizzato riguarda un individuo il cui ruolo stabile all’interno del sodalizio è stato provato non solo dal legame di parentela con il vertice, ma da una serie di comportamenti concludenti, primo fra tutti l’uso sistematico della sua abitazione come base logistica.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di un uomo, indagato per il reato di cui all’art. 74 del D.P.R. 309/90. L’accusa era quella di far parte di un’associazione criminale, capeggiata da un suo stretto parente, dedita al traffico di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti, principalmente cocaina, provenienti dalla Calabria.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, confermata dal Tribunale del Riesame, l’indagato non era una figura marginale. Al contrario, ricopriva un ruolo di rilievo come stretto collaboratore e uomo di fiducia del capo. La sua abitazione veniva utilizzata come un vero e proprio hub logistico per la ricezione e lo smistamento della droga. Egli si occupava, inoltre, della successiva distribuzione sul mercato locale e della riscossione dei proventi illeciti.

I Motivi del Ricorso e l’associazione a delinquere

La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la solidità del quadro indiziario. I principali argomenti difensivi si basavano su:

1. Violazione di legge: Secondo il ricorrente, mancava la prova di una partecipazione consapevole e stabile all’associazione. Il legame di parentela con il capo non poteva, da solo, costituire un elemento d’accusa.
2. Carenza di motivazione: La difesa sosteneva che l’ordinanza impugnata fosse generica e non avesse specificato il contributo effettivo dell’indagato all’associazione, limitandosi a menzionare l’uso della sua abitazione senza dimostrare un’adesione stabile al patto criminale.
3. Insussistenza del requisito numerico: Si eccepiva che l’associazione non poteva esistere con soli due soggetti (l’indagato e suo zio), essendo richiesto un minimo di tre persone per configurare il reato.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la decisione del Tribunale del Riesame. I giudici di legittimità hanno preliminarmente ribadito un principio fondamentale: il ricorso per cassazione in materia di misure cautelari non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito. Il controllo della Corte è limitato alla verifica di eventuali violazioni di legge o di vizi logici manifesti nella motivazione, non potendo riesaminare le prove e proporre una ricostruzione alternativa dei fatti.

Le Motivazioni

Nel respingere le censure, la Corte ha sviluppato un ragionamento articolato, sottolineando come la decisione dei giudici di merito fosse tutt’altro che illogica o carente. La motivazione si fondava su un quadro probatorio complesso e convergente, che andava ben oltre il semplice legame di parentela.

Il fulcro della prova era costituito dall’ uso sistematico e ripetuto dell’abitazione del ricorrente come base logistica. Le operazioni di scarico dello stupefacente, documentate da video-sorveglianza in più occasioni (17, 23, 29 novembre e 5, 12 dicembre 2023), avvenivano sempre con le stesse modalità operative, denotando una prassi consolidata e un ruolo strutturato dell’indagato all’interno dell’organizzazione. Questo, per la Corte, non è un indizio di una partecipazione occasionale, ma di un inserimento stabile nel sodalizio.

Gli elementi probatori valorizzati includevano:

* Prove dirette e riscontri oggettivi: Intercettazioni, video-riprese e sequestri, come quello di oltre 17 kg di cocaina e di un trolley contenente quasi 600.000 euro, ritenuti provento del traffico.
* Dichiarazioni dei collaboratori di giustizia: Utilizzate come elementi di contesto, hanno trovato piena conferma negli altri dati probatori.
* Serialità comportamentale: La ripetizione delle stesse procedure operative in diverse occasioni è stata interpretata come un chiaro sintomo di un protocollo consolidato, tipico di una struttura organizzata.

La Corte ha quindi concluso che il Tribunale del Riesame aveva correttamente dedotto la partecipazione stabile del ricorrente da una pluralità di facta concludentia, ovvero da comportamenti concreti che, letti insieme, dimostravano in modo inequivocabile il suo pieno inserimento nelle dinamiche del traffico.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio cruciale nella lotta alla criminalità organizzata: per provare l’esistenza di un’associazione a delinquere e la partecipazione di un singolo, non è sempre necessaria la prova di un accordo esplicito. La dimostrazione può validamente fondarsi sull’analisi coordinata di elementi fattuali e comportamenti che, nel loro complesso, rivelano l’esistenza di una struttura stabile e il ruolo funzionale svolto da ciascun membro. L’aver messo a disposizione in modo continuativo una risorsa strategica come la propria abitazione per le attività del gruppo è stato ritenuto un indice gravissimo, preciso e concordante di piena appartenenza al sodalizio criminale.

Che tipo di prova è necessaria per dimostrare la partecipazione a un’associazione a delinquere?
La prova può essere fornita attraverso ‘facta concludentia’ (fatti concludenti), ovvero una serie di comportamenti concreti e ripetuti nel tempo che dimostrano un ruolo stabile e funzionale all’interno del gruppo. Come evidenziato dalla sentenza, l’uso sistematico della propria abitazione come base logistica è un elemento probatorio di grande peso.

Un legame di parentela con il capo di un’organizzazione criminale è sufficiente per essere accusati di farne parte?
No. La sentenza chiarisce che il legame di parentela, da solo, non è sufficiente. La decisione di colpevolezza deve basarsi su un complesso di prove oggettive che dimostrino un contributo attivo, consapevole e non occasionale alla vita e agli scopi dell’associazione.

In quali casi la Corte di Cassazione può annullare una misura di custodia cautelare in carcere?
La Corte di Cassazione può intervenire solo se rileva una violazione di norme di legge o una manifesta illogicità o contraddittorietà nella motivazione del provvedimento impugnato. Non può riesaminare le prove nel merito o sostituire la propria valutazione a quella dei giudici delle fasi precedenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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