Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20355 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20355 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOMECOGNOME nato a Potenza il 22/10/1965 COGNOME NOMECOGNOME nato a Potenza il 10/01/1958 COGNOME NOMECOGNOME nato a Bova Marina il 21/05/1963 COGNOME RaffaeleCOGNOME nato a Potenza il 02/10/1976 COGNOME NOMECOGNOME nato a Potenza il 10/01/1973 COGNOME NOMECOGNOME nato a Nocera Inferiore il 31/07/1970 COGNOME NOMECOGNOME nato a Rionero in Vulture ii 30/04/1963
avverso la sentenza del 19/04;202.4 della Corte d’appello di Potenza visti gli atti, i! provvedimento impugnata : ricorsi; udita la relazione svolta dai c . :orisigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, n persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso clii7-:denco Vinanimissibilità dei ricorsi di NOME COGNOME, NOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per NOME COGNOME limitatamente ai reati di cui al capo 1-bis) ad oggi prescritti con trasmissione
degli atti alla Corte di appello di Potenza per la ndeterminazione della pena, il rigetto del ricorso nel resto; l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per NOME COGNOME limitatamente al capo 67), l’inammissibilità del ricorso nel resto; l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per NOME COGNOME limitatamente ai reati di cui al capo 1-bis) ad oggi prescritti con trasmissione degli atti alla Corte di appello di Potenza per la rideterminazione della pena, il rigetto del ricorso nel resto; uditi i difensori, avv. NOME COGNOME del foro di Potenza per NOME COGNOME, avv. NOME COGNOME dei foro di Roma per NOME COGNOME avv. NOME COGNOME del foro di Salerno per NOME COGNOME avv. NOME COGNOME del foro di Potenza per NOME NOME COGNOME avv. NOME COGNOME del foro di Potenza per NOME COGNOME avv. NOME COGNOME del foro di Nocera Inferiore per NOME COGNOME avv. NOME COGNOME del foro di Potenza per NOME COGNOME avv. NOME COGNOME del foro di Roma per NOME COGNOME che insistono per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, in parziale riforma della decisione emessa dal Tribunale di Potenza e appellata dagli imputati, ai fini che qui rilevano, la Corte di appello di Potenza:
ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da NOME COGNOME
ha assolto NOME COGNOME dal reato di cui al capo 67) per non aver commesso in fatto, rideterminando la pena, nei suoi confronti, in cinque anni, otto mesi di reclusione e 28.000 euro di multa;
ha assolto NOME COGNOME dal reato di cui al capo 1) per non avere commesso il fatto, rideterminando la pena, nei suoi confronti, in otto anni di reclusione;
ha ridotto a cinque anni e sei mesi di reclusione la pena inflitta nei confronti di NOME COGNOME
previa applicazione della circostante attenuanti generiche, ha ridotto a cinque anni di reclusione la pena inflitta nei confronti di NOME COGNOME
Nel resto, la Corte di appello ha confermato la sentenza impugnata, che aveva affermato la penale responsabilità degli imputati dinanzi indicati, nonché di NOME COGNOME e di NOME COGNOME per una serie di violazioni al d.P.R. n. 309 del 1990.
Avverso l’indicata sentenza, NOME COGNOME, NOME COGNOME,
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per il ministero dei rispettivi difensori di fiducia, hanno proposto ricorso per cassazione.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è affidato a cinque motivi, che deducono:
3.1. la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione all’applicazione dell’attenuante ex art. 74, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990 nella massima estensione, in considerazione dell’elevata quantità e qualità del contributo collaborativo fornito dal Cossidente;
3.2. la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 81 e 133 cod. pen. in quanto i fatti per cui è processo sono avvinti dal vincolo della continuazione con quelli giudicati con la sentenza irrevocabile allegata, posto che, in entrambi i casi, sussiste l’aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen. e avendo il Cossidente agito sempre quale capo e promotore del sodalizio criminoso “RAGIONE_SOCIALE“, la cui compagine è rimasta sempre immutata;
3.3. la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 62-bis cod. pen. in quando, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte d’appello, ai fini dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche il giudice può prendere in conSiderazione gli stessi elementi valutati per il riconoscimento di un’attenuante comune;
3.4. la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione all’art. 416-bis.1, comma 3, cod. pen., attenuante che era stata richiesta nella massima estensione in considerazione dell’importanza del contributivo collaborativo dell’imputato;
3.5. la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 179 cod. proc. pen., stante l’omessa notifica all’imputato dell’atto introduttivo del giudizio, in quanto la Corte di appello, come si legge nel ricorso “ha omesso la rigorosa e necessaria verifica circa l’impossibilità di disporre la citazione del collaboratore per l’udienza successiva a quella in cui veniva trasmessa la rinuncia a comparire”.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME si articola in quattro motivi, che eccepiscono:
4.1. la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, posto che l’imputato si è dovuto difendere dal delitto di cui all’art. 74, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, mentre è stato poi
condannato dal Tribunale quale mero partecipe, ciò che ha determinato la radicale trasformazione del fatto;
4.2. la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 192, comma 3, 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., in quanto le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, per lo più de relato, sono prive di riscontri, non sono collocabili in maniera precisa nel tempo e nello spazio, e sono smentite da quanti riferito dal Cossidente;
4.3. la violazione dell’art. art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto si è illogicamente ritenuta la penale responsabilità del COGNOME per il delitto associativo sebbene non gli siano stati contestati reati-fine, e considerando che il Cossidente ha riferito che l’imputato era andato a Boscoreale ad approvvigionarsi di sostanza stupefacente solo in un’occasione, elemento, quest’ultimo, insufficiente per la configurabilità di una condotta partecipativa;
4.4. la violazione dell’art. art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto, anche ammettendo la partecipazione dell’imputato al sodalizio criminoso, la sua condotta, anche alla luce del principio di offensività, è comunque modesta, il che imporrebbe la qualificazione del fatto nella meno grave ipotesi del comma 6 dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME in via preliminare, eccepisce la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, posto che la Corte d’appello ha condannato l’imputato per il delitto associativo ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 di cui al capo 1-bis, nel quale, invece, è invece contestata la violazione degli artt. 81 cpv. 110, 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
Il ricorso si articola in quattro motivi, che denunciano:
5.1. la violazione dell’art. art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. i relazione all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 con riguardo al capo 1-bis). Il difensore, in primo luogo, evidenzia l’illogicità della motivazione, laddove fa riferimento alla partecipazione del Morabito al delitto associativo, mentre nel capo 1-bis) si contesta la violazione degli artt. 81 cpv., 110, cod. pen. 73 d.P.R. n. 309 del 1990; in ogni caso, ad avviso del difensore, le prove in atti non sono sufficienti per ritenere integrato il delitto associativo, il quale non può esser automaticamente dedotto dalla commissione dei singoli episodi di spaccio, difettando comunque la prova dell’accordo criminoso e la dimostrazione di una stabile adesione del Morabito al sodalizio criminale;
5.2. la violazione dell’art. art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. i relazione all’art. 62-bis cod. pen., per non avere la Corte di appello esaminato il
motivo con cui si invocava l’applicazione delle attenuanti in esame, essendosi limitata a confermare la sentenza di primo grado;
5.3. la violazione dell’art. art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. i relazione al trattamento sanzionatorio, in quanto a pena avrebbe dovuto essere rideterminata tenendo con la sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019;
5.4. la violazione dell’art. art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. i relazione all’art. 133 cod. pen., in quanto la Corte di appello si è immotivatamente discostata dal minimo edittale.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME deduce tre motivi, che eccepiscono:
6.1. la violazione dell’art. art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen. per contrasto tra la motivazione della sentenza impugnata e il dispositivo, laddove nella prima si afferma che l’appello è fondato in relazione ai capi 67) e 72), mentre nel secondo l’assoluzione è limitata al solo capo 67).
6.2. la violazione dell’art. art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. per non aver la Corte di merito esaminato il motivo con cui si chiedeva la riqualificazione dei reati di cui ai capi 82) e 83) ai sensi dell’art. 73, comma 5 d.P.R. n. 309 del 1990, come peraltro già ritenuto dal Tribunale con riferimento al computato COGNOME;
6.3. la violazione la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, per avere la Corte di merito escluso la qualificazione dei fatti in termini di minore gravità” facendo leva unicamente sul numero degli episodi di spaccio, sulla sequenza temporale e sulla diversità degli assuntori, non considerando, come dedotto con l’appello, l’indeterminatezza della tipologia e della quantità di sostanza stupefacente contestata.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME deduce tre motivi, che censurano:
7.1. la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 192 e 546 cod. pen. per non essersi la Corte di merito confrontato che le specifiche doglianze dedotte con l’atto di appello. In primo luogo, la motivazione sarebbe illogica laddove afferma che lo COGNOME avrebbe aderito al sodalizio dopo il 2005, quando i rifornimenti di droga avvenivano in Campania, ciò che si pone in contrasto con quanto riferito dal Cossidente, secondo cui lo COGNOME si recava in Calabria, a COGNOME per ritirare lo stupefacente, ciò che attesta l’inattendibilità del collaboratore in ordine al ruolo dello COGNOME all’interno del sodalizio. In secondo luogo, rappresenta il difensore
che il teste COGNOME ha riferito di avere acquistato droga dal Cossidente, ma non anche dallo COGNOME, che nemmeno conosceva, il che smentisce quanto dichiarato dal collaboratore di giustizia. Ancore, la Corte di merito non ha esaminato il motivo di appello con cui si censurava l’inattendibilità del Cossidente, il quale aveva riferito, in maniera inverosimile, di non conoscere la generalità dei fornitori di Cirò Marina perché lo COGNOME non glieli aveva rivelati per ragioni di segretezza, né ha dato risposta al motivo con cui si contestava che da un semplice fruscio percepito nell’intercettazione ambientale 1459 del 23 novembre 2007 si potesse desumere una spartizione di denaro tra COGNOME, COGNOME e COGNOME. Infine, il difensore censura l’omessa motivazione in relazione al motivo di appello con cui si contestava l’attendibilità intrinseca del Cossidente.
7.2. la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 74 e 73 d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto la motivazione, per negare i presupposti della fattispecie di cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990, rinviando agli argomenti utilizzati per la posizione di NOME COGNOME che però riguardavano la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990. La motivazione, inoltre, sarebbe sostanzialmente apparente, laddove ha escluso l’ipotesi della minore gravità dei singoli episodi di spaccio facendo leva sul numero, sulla sequenza temporale e sulla diversità degli assuntori, in violazione di principi elaborati sul punto dalla giurisprudenza di legittimità;
7.3. la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 74 e 73 d.P.R. n. 309 del 1990 con riferimento all’art. 133 cod. pen., essendo la pena inflitta eccessiva, considerando la ristretta operatività del sodalizio, peraltro composto di tre soli associati.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen. con riferimento alla declaratoria di inammissibilità dell’appello per aspecificità dei motivi e dell’ar 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per mancanza di motivazione in ordine al secondo motivo di appello. Rileva il difensore, in primo luogo, che la Corte di merito, nel dichiarare l’inammissibilità ha confuso la sinteticità delle censure con l’aspecificità, posto che esse avevano ad oggetto l’unico elemento posto alla base dell’affermazione della penale responsabilità, ossia il contenuto di una sola telefonata intercorsa il 10 ottobre 2007, fornendone una lettura alternativa e ritenendo che gli elementi indicati dal Tribunale fossero idonei a configurare una condotta concorsuale. La motivazione, inoltre, sarebbe contraddittoria, posto che la Corte di merito, dopo aver contestato la genericità dei motivi, si è spesa per
confutare le argomentazioni difensive, così dimostrando che l’appello era ammissibile. In secondo luogo, la Corte di merito ha omesso di pronunciarsi in relazione al profilo dell’appello, in cui si evidenziava che la ritenut partecipazione del Salvato nella fase di ideazione della falsa denuncia di furto in danno della compagnia assicurativa (come emerge a p. 150 della sentenza del Tribunale) esclude la punibilità ex art. 648 cod. pen., posto che la partecipazione al reato presupposto neutralizza la configurabilità del delitto di ricettazione.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME deduce due articolati motivi, unitariamente trattati, che deducono:
9.1. la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione: a) alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del reato ex art. 81 cpv., 110 cod. pen., 73 d.P.R. n. 309 del 1990 con riferimento al presunto apporto partecipativo del Campanella, posto che le dichiarazioni rese dai collaboratori NOME COGNOME e NOME COGNOME non sono affatto sovrapponibili e sono sfornite di elementi di riscontro, e considerando una insanabile divergenza tra capo d’imputazione, in cui si contesta il concorso nel reato continuato ex art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, e motivazione, in cui vi è il costante riferimento all’ipotesi associativa, come emerge con riferimento alla posizione del COGNOME; b) alla mancata declaratoria di bis in idem dedotta con l’appello; c) al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche
9.2. la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. in relazione: a) all’attendibilità delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giusti NOME COGNOME e NOME COGNOME in ordine alla partecipazione del COGNOME ai fatti a lui contestati; b) all’apprezzamento delle testimonianze rese da NOME COGNOME e NOME COGNOME e degli ufficiali di p.g. COGNOME e COGNOME e all’omessa valutazione delle deposizioni dei testi COGNOME e COGNOME; c) alla esatta ricostruzione del fatto e alla determinazione del /ocus commissi delicti; d) alla ritenuta sussistenza dell’aggravante ex art. 7 I. n. 203 del 1991.
Rappresenta il difensore che, in relazione alla valutazione di attendibilità delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME la Corte di merito ha rinviato alla posizione del coimputato COGNOME in relazione alla quale, tuttavia, manca ogni considerazione, anche embrionale, in ordine alle propalazioni dei collaboratori, sicché, sul punto, la motivazione sarebbe apparente. Aggiunge, inoltre, il difensore che vi è una insanabile divergenza tra il capo dell’imputazione 1-bis) e la motivazione, che si riferisce, invece, a un’ipotesi di delitto associativo; se così non fosse, si verserebbe in un’ipotesi di ne bis in idem, posto che il COGNOME è stato già definitivamente condannato. In ogni caso, la Corte di merito non si sarebbe confrontata con i
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motivi di appello con cui si censurava la assoluta genericità e non coincidenza del contenuto delle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia, anche considerando che il Cossidente ha dichiarato di’ non aver mai assistito ad una consegna al Campanella di sostanza stupefacente, né è mai esistito un clan Cossidente, come certificato dalla sentenza n. 9897 del 2020 emessa dalla Prima sezione della Corte di Cassazione; in ogni caso, ad avviso del difensore non è dato comprendere il ruolo ricoperto dal COGNOME, né se costui si sia mai recato ad Africo Nuovo, e, in caso affermativo, in quale periodo, stante la genericità del capo di imputazione, né sui presunti quantitativi di droga trasportati, né sulla finalità di spaccio, come risulta dalle dichiarazioni dei tes COGNOME e COGNOME.
Espone il difensore che, a seguito dell’indicata sentenza n. 9897 del 2020, conseguentemente viene meno l’aggravante ex art. 7 I n. 203 del 1991 e che l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche è stata negata con motivazione insufficiente, rinviando alla sentenza di primo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
2. Il primo e il terzo sono inammissibili per mancanza di interesse.
Invero, come risulta dalla sentenza impugnata (p. 5), la Corte di merito, in accoglimento del motivo di appello relativo alla determinazione del complessivo trattamento punitivo, ha applicato le circostanze attenuanti di cui agli artt. 74 comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990 e 62-bis cod. pen. nella massima estensione, sicché, evidentemente, non vi è spazio per un’ulteriore riduzione di pena.
3. Il secondo motivo è inammissibile perché generico.
Invero, la Corte di appello ha escluso la sussistenza di un medesimo disegno criminoso che legasse i fatti oggetto del presente processo con quelli definitivamente giudicati con sentenza emessa dalla Corte di appello di Salerno nel proc. n. 368/16 sulla base sia dell’ampia distanza temporale, pari a quattro anni, che separa i fatti, sia la diversità dei soggetti componenti i due sodalizi criminosi.
A fronte di tale valutazione di fatto, certamente esente da vizi di illogicità manifesta, il ricorrente oppone contestazione del tutto generiche e assertive, che non superano il vaglio di ammissibilità.
Il quarto motivo è inammissibile perché la dedotta violazione di legge non era stata devoluta con l’atto di appello, sicché essa non è proponibile. per la prima volta, nel giudizio di legittimità, stante lo sbarramento posto dall’art. 606, comma 3, ultimo periodo, cod. proc. pen.
Il quinto motivo è inammissibile perché intrinsecamente generico.
Se è vero che la questione, pur non dedotta con l’atto di appello, concernente l’omessa notifica all’imputato della citazione a giudizio integra una nullità assoluta e insanabile ai sensi dell’art. 179 cod. proc. pen. (per tutti, cf Sez. U, n. 7697 del 24/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269028 – 01), nondimeno il motivo è del tutto generico, non precisando nemmeno quale sia l’atto in esame (se riguarda la citazione per il primo grado o per il giudizio di appello), anche considerando, come emerge dal ricorso, laddove si lamenta che la Corte di appello “ha omesso la rigorosa e necessaria verifica circa l’impossibilità di disporre la citazione del collaboratore per l’udienza successiva a quella in cui veniva trasmessa la rinuncia a comparire”, che tale affermazione logicamente presuppone che l’imputato abbia ricevuto regolare notifica della citazione a giudizio, non comprendendosi altrimenti come egli abbia potuto far pervenire la rinuncia a comparire.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
7.1. Va, infatti, ricordato come, da tempo, nella giurisprudenza di legittimità sia stato affermato il principio secondo cui, in tema di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale sia stata riassunta l’ipotesi astratta prevista dalla legge, così d determinare un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione, da cui scaturisca un reale pregiudizio per i diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione di tale principio non va esaurita nel mero confronto, puramente letterale, fra contestazione e oggetto della statuizione di sentenza, perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, si sia venuto a trovare nella condizione concreta di potersi difendere in ordine all’oggetto dell’imputazione così come ritenuta in sentenza (cfr. Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205619; Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051; conf., ex plurimis, Sez. 4, n. 16900 del 04/02/2004, COGNOME, Rv. 228042; Sez. 4, n. 41663 del 25/10/2005, COGNOME, Rv. 232423; Sez. 3, n. 35225 del 28/06/2007,
COGNOME, Rv. 237517; Sez. 3, n. 15655 del 27/02/2008, COGNOME, Rv. 239866; Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015, dep. 03/02/2016, Addio e altri, Rv. 265946).
Tali consolidati criteri ermeneutici sono stati ritenuti compatibili con la regola di sistema espressa dalla Corte EDU (sentenza 11 dicembre 2007, COGNOME c. Italia), secondo cui, ai sensi dell’art. 6, par. 3, lett. a) e b), CEDU sul “process equo”, la garanzia del contraddittorio deve essere assicurata all’imputato anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto operata dal giudice ex officio (cfr., al riguardo, Sez. 6, n. 45807 del 12/11/2008, COGNOME, Rv. 241754; conf. Sez. 5, n. 231 del 09/10/2012, COGNOME, Rv. 254521), quando la diversa qualificazione giuridica avvenga “a sorpresa”, determinando conseguenze negative per l’imputato (e, quindi, fondando un suo concreto interesse ad ottenerne la rimozione), che, per la prima volta, e senza mai avere avuto la possibilità di interloquire sul punto, si trovi di fronte ad un fatto stor radicalmente trasformato in sentenza nei suoi elementi essenziali, al punto tale, cioè, da imporre una diversa e nuova definizione giuridica del fatto medesimo, rispetto a quanto contestato, in punto di fatto e di diritto, nell’imputazione, di c rappresenta uno sviluppo inaspettato (cfr. Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012, COGNOME, Rv. 254649; conf. Sez. 5, n. 1697 del 25/09/2013, COGNOME, Rv. 258941; Sez. 5, n. 48677 del 06/06/2014, COGNOME, Rv. 261356; Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 264438).
Coerentemente con tale impostazione, si è affermato che non viola il principio di correlazione tra imputazione e sentenza, di cui all’art. 521 cod. proc. pen., la sentenza con cui l’imputato, rinviato a giudizio per aver preso parte in posizione verticistica ad un’associazione di tipo mafioso, sia condannato per aver semplicemente partecipato ad essa, in quanto la prima contestazione ricomprende di necessità la seconda (Sez. 2, n. 34147 del 30/04/2015, P.G. in c. Agostino e altri, Rv. 264631 – 01).
7.2. E’ proprio questo il caso di specie: non si è affatto in presenza di una radicale trasformazione del fatto, nei termini dinanzi indicati, proprio perché gli elementi portati dall’accusa, pur non sufficienti per dimostrare il ruolo apicale rivestivo dal COGNOME in seno all’associazione, sono stati tuttavia ritenuti idonei suffragare l’appartenenza dell’imputato a detto sodalizio, circostanza, questa, che, del resto, è necessariamente e logicamente implicata nella contestazione del ruolo di vertice, non potendo evidentemente un soggetto essere a capo di un’associazione criminale senza farne parte.
Va aggiunto, inoltre, che, come rilevato dalla Corte di merito, al COGNOME, al capo 1), è congiuntamente contestato sia il ruolo di organizzatore, sia quello di distributore della sostanza stupefacente, per avere trasportato, custodito e
ceduto la droga per conto dell’associazione, in linea con la condanna intervenuta con riferimento alla posizione di partecipe.
Il secondo e il terzo motivo, esaminabili congiuntamente essendo collegati, sono inammissibili perché deducono censure di contenuto fattuale, tese a contestare la valutazione delle prove concordemente operata dai giudici di merito.
Per inquadrare la vicenda, valgano le seguenti considerazioni a proposito dei caratteri della condotta di partecipazione all’associazione ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
9.1. La nozione di “partecipazione” a una data associazione criminosa, qualunque essa sia, ha una valenza dinamico-funzionalistica, che non solo implica un organico e stabile inserimento nella struttura organizzativa dell’associazione, ma comporta anche, all’interno di essa, l’assunzione di un ruolo effettivo e, in attuazione dei vincoli assunti, l’adempimento dei compiti funzionali al raggiungimento degli scopi perseguiti dal sodalizio e la disponibilità per le attività organizzate dal medesimo. Ne consegue che, sul piano della dimensione probatoria della partecipazione, rilevano tutti gli indicatori fattuali dai quali possa logicamente inferirsi il nucleo essenziale della condotta partecipativa, e cioè la stabile compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo del sodalizio (per tutti, cfr. Sez. U, n. 33748 del 12 luglio 2005; Sez. U, n. 22327 del 30 ottobre 2002; Sez. U, n. 30 del 27 settembre 1995; Sez. U., n. 16 del 5 ottobre 1994).
In altri termini, la condotta di partecipazione può estrinsecarsi in qualunque modalità, purché sia stabilmente collegata all’esistenza e al rafforzamento del sodalizio criminoso, di cui l’agente è pienamente consapevole.
9.2. Sul piano descrittivo, la condotta di partecipazione è a “forma libera”, essendo integrabile da un qualunque comportamento non tipizzato nel modo, purché causale rispetto all’evento tipico, in grado di apportare un contributo, ancorché minimo ma non insignificante, alla vita della struttura ed in vista del perseguimento del suo scopo (Sez. 1, n. 2111 del 27/01/1986, Scala, Rv. 172146; Sez. 1, n. 8064 del 24/06/1992, Alfano, Rv. 191309).
Ne è stata tratta la conseguenza, a fini dimostrativi della partecipazione ad un sodalizio criminale, della irrilevanza della mancanza di prova della consumazione del partecipe dei reati-fine (Sez. 2, 24194 del 16/03/2010, Bilancia, Rv. 247660; Sez. 1, n. 33033 del 11/07/2003, Vitello; Sez. 5, n. 18837 del 05/11/2013, Corso, Rv. 260920), e, per converso, del carattere non transitivo della prova della consumazione di più reati-fine a scopi
immediatamente dimostrativi dell’appartenenza al sodalizio (si veda, da ultimo, Sez. 1, n. 29959 del 05/06/2013, COGNOME, Rv. 256200).
La condotta di “partecipazione” è dunque strutturalmente impermeabile alla consumazione del “reato-fine”: come la commissione di uno o più reati scopo è un elemento non decisivo ai fini della prova dell’appartenenza del singolo al sodalizio criminoso, allo stesso modo – in replica al terzo motivo – la mancata esecuzione dei reati-fine non è circostanza che possa di per sé escludere la partecipazione dell’agente alla associazione per delinquere.
10. Venendo al caso in esame, nel ricollegarsi all’ampia disamina compiuta dalla sentenza di primo grado (p. 67 ss. quanto al delitto associativo in generale, e 81 ss. in relazione alla posizione del COGNOME), la Corte di merito ha ribadito la partecipazione del ricorrente al sodalizio per aver messo stabilmente a disposizione dell’organizzazione criminale, quale commercialista libero professionista, il proprio studio professionale, che era divenuto la base logistica dell’associazione, in cui, appunto, avvenivano gli incontri tra il Cossidente con altri sodali e, in alcuni casi, anche condotte di cessione di stupefacente.
Ciò è stato desunto dai giudici di merito sia dalle convergenti dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, COGNOME – il quale, tra l’altro, ha precisato aver partecipato stabilmente alle spese di gestione dello studio del COGNOME, che era per lui comodo da raggiungere in quanto posizionato nei pressi del maneggio ove andava a cavallo – e COGNOME, sia dall’inequivocabile tenore delle conversazioni delle intercettazioni effettuate nello studio del COGNOME – in cui erano presenti il COGNOME, lo COGNOME e, in un caso, anche il COGNOME, un fornitore per il canale campano -, colloqui da cui traspare anche la preoccupazione per i controlli di p.g. e il riferimento ai diversi acquirenti, sia dalle dichiarazioni m.11o COGNOME in ordine agli esiti della attività investigativa e di o.c.p. svol presso lo studio del COGNOME e al possesso di una copia delle chiavi da parte dello stesso COGNOME, che spesso accedeva in quel luogo anche in assenza del Fan izzi.
Su queste basi fattuali, la Corte di merito ha ribadito che l’apporto contributivo del COGNOME è risultato essere indispensabile al gruppo, essendo egli un soggetto incensurato ed insospettabile, che aveva messo stabilmente a disposizione del sodalizio il proprio studio professionale, ritenuto sicuro, per consentire la prosecuzione dell’attività dirigenziale del Cossidente con gli altri sodali.
La Corte di merito, inoltre, ha escluso la sussistenza di contraddizioni tra le dichiarazioni del Cossidente e del COGNOME circa le indubbie trasferte delegate dal gruppo al COGNOME in territorio campano, in una o due diverse circostanze, per
definire una pregressa situazione debitoria del Campanella ovvero per la sostituzione di una partita di stupefacente di cattiva qualità, dal momento che il Cossidente ha dichiarato di essere sicuro che il COGNOME “era andato a prenderla” ed “ancora più sicuro, che la dava allo COGNOME“, seppur non ricordando se si trattasse di un solo episodio ovvero due.
A fronte di tale apparto argomentativo, aderente alle risultanze processuali, adeguato, privo di aporie logiche e di errori di diritto, le censure mosse dal ricorrente si risolvono, a ben vedere, nella richiesta di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e nell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione de fatti, attività entrambe precluse nel giudizio di legittimità, non potendo la Corte di cassazione ripetere l’esperienza conoscitiva del giudice del merito, bensì esclusivamente riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.
11. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
11.1. Secondo il costante l’indirizzo espresso da questa Corte, ai fini della configurabilità del reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti d lieve entità, non è sufficiente considerare la natura dei singoli episodi di cessione accertati in concreto, ma occorre valutare il momento genetico dell’associazione, nel senso che essa deve essere stata costituita per commettere cessioni di stupefacente di lieve entità, e le potenzialità dell’organizzazione, con riferimento ai quantitativi di sostanze che il gruppo è in grado di procurarsi (Sez. 3, n. 44837 del 06/02/2018, COGNOME, Rv. 274696 – 01).
La fattispecie associativa prevista dall’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990, è perciò configurabile a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entità, predisponendo modalità strutturali ed operative incompatibili con fatti di maggiore gravità e che, in concreto, l’attività associativa si sia manifestata con condotte tutte rientrant nella previsione dell’art.73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 (Sez. 4, n. 53568 del 05/10/2017 7, P.G. in proc. Pardo, Rv. 271708; Sez. 6, n. 12537 del 19/01/2016, COGNOME e altri, Rv. 267267, in cui la Corte ha escluso la sussistenza dell’associazione minore valorizzando la concreta capacità operativa, il numero delle condotte, la diversa tipologia di sostanze trattate ed il quantitativo dell cessioni; Sez. 6, n. 37983 del 16/03/2004, COGNOME ed altri, Rv. 230372, la quale ha escluso che la cessione di semplici ‘campioni’ di stupefacente da parte degli associati fosse sufficiente ad integrare la suddetta fattispecie, posto che le
richieste e le offerte di stupefacenti si riferivano a quantitativi consistenti che associati dimostravano di potersi procacciare ed offrire in vendita).
Di conseguenza, pur se l’associazione sia finalizzata alla commissione di episodi di cessione di sostanze stupefacenti che, considerati singolarmente, presentano le caratteristiche dei fatti descritti dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, deve essere esclusa l’ipotesi di cui all’art. 74, comma 6, del medesimo decreto quando, per la complessiva attività in concreto esercitata, per la molteplicità degli episodi di spaccio, reiterati in un lungo arco di tempo, e per la predisposizione di un’idonea organizzazione che preveda uno stabile e continuativo approvvigionamento di quantitativi rilevanti di sostanze stupefacenti, quell’attività sia incompatibile con il carattere della lieve enti (Sez. 4, n. 34920 del 14/06/2017, B, Rv. 270803).
11.2. Alla luce di tale ricostruzione, è perciò manifestamente infondata la prospettazione difensiva, laddove fa dipendere la qualificazione dell’associazione ai sensi dell’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990 non dalle caratteristiche obiettive del sodalizio medesimo, nei termini dinanzi indicati, bensì in relazione all’asserito minore apporto del singolo all’attività comune, ciò che, semmai, può incidere sulla determinazione dell’entità della pena.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è fondato in relazione al primo motivo, con assorbimento dei motivi ulteriori.
12. Al proposito, si osserva quanto segue.
12.1. Si legge a p. 13 della sentenza impugnata: “L’imputato è stato condannato dal Tribunale per avere fatto parte, quale promotore ed organizzatore con il Cossidente, di due associazioni a delinquere finalizzate al traffico di sostanze stupefacenti che avrebbero agito tra la Calabria e la Basilicata in distinti periodi temporali con una variazione di organigramma: in particolare, l’associazione di cui al capo n. 1 sarebbe stata costituita dal Cossidente, il COGNOME, il COGNOME e lo COGNOME NOME (essendo stati prosciolti gli ulteriori imputati) con la precisazione (peraltro espressamente contenuta nella formulazione del precitato capo di accusa) che il COGNOME vi avrebbe fatto parte dal momento della sua costituzione nel 1998 sino al 2003, mentre il COGNOME e lo COGNOME solamente dal 2005; l’altra associazione ex art. 74 d.P.R. n. 309/90 (capo 1-bis), diversamente, sarebbe stata composta dal Cossidente, dal COGNOME, dal COGNOME, da COGNOME NOME, operando sempre tra la Calabria e la Basilicata dal 1998 al 2003.
Orbene, ciò precisato, il COGNOME deve ritenersi facente parte della sola associazione ex art. 74 di cui al capo 1-bis dal momento della sua costituzione
nel 1998 insieme al Cossidente sino al 2003, in linea con il tempus commissi delicti espressamente indicato; deve, invece, essere assolto per non aver commesso il fatto relativamente alla ipotesi accusatoria del capo n. 1″.
La Corte di appello ha perciò rideterminato la pena in otto anni di reclusione, pena che, si osserva incidentalmente, è illegale sia con riferimento alla fattispecie ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, posto che il minimo edittale, per il partecipe, è stabilito in dieci anni, sia con riferimento all’ipotesi ex art. 81 cpv., 110 cod. pen., 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, perché non è stata inflitta anche la pena della multa.
12.2. Orbene, è agevole osservare, come rilevato dal difensore, che nel capo 1-bis non è affatto contestato il delitto ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, bensì il delitto di cui agli artt. 81 cpv., 110 cod. pen. e 73 d.P.R. 309 del 1990 “perché, in concorso tra loro e in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, COGNOME NOME consegnava a COGNOME NOME, COGNOME NOME e soprattutto NOME – in diverse circostanze di tempo a partire dal 1999-2000 ingenti quantitativi di sostanza stupefacente del tipo cocaina, nell’ordine di 1-1,5 kg. al mese, che costoro ricevevano ad Africo Nuovo e che provvedevano a trasportare fino a Potenza per impiegarla nello spaccio ai consumatori clienti. Con l’aggravante di aver commesso il fatto per agevolare l’attività criminosa del clan diretto da NOME NOME. Reato consumato tra Africo Nuovo e Potenza a partire dal 1998 e fino al 2002-2003″.
12.3. Nel caso di specie, si è perciò presenza non di una condanna per un fatto diverso, posto che la penale responsabilità dell’imputato è stata affermata dal Tribunale per il delitto continuato di cui al capo 1-bis) con una motivazione del tutto congrua, bensì di una motivazione omessa, perché, riguardando un inesistente delitto associativo, è del tutto avulsa rispetto ai fatti di concor continuato di cessione di cocaina, fatti che erano stato oggetto di contestazione con l’atto di appello.
13. Deve peraltro rilevarsi che, alla data odierna, sono prescritti i fatt commessi sino al 22 febbraio 1999.
A tal proposito, si impongono alcune precisazioni.
13.1. Si osserva che, in ipotesi di successione di leggi nel tempo, l’individuazione del regime di maggior favore per il reo ai sensi dell’art. 2 cod. pen. deve essere operata in concreto, comparando le diverse discipline sostanziali succedutesi nel tempo (Sez. 3, n. 23904 del 13/03/2014, COGNOME, Rv. 259377 – 01); in particolare, laddove la successione di leggi penali abbia ad oggetto l’istituto della prescrizione, deve aversi riguardo non al solo tempo necessario a prescrivere, ma all’intera disciplina, così da verificare, nel caso
concreto, quale sia quella più favorevole, ossia quella dalla cui applicazione discendono conseguenze più vantaggiose per l’imputato.
13.2. Nel caso di specie, considerato che al capo 1-bis è contestato un’ipotesi di concorso nel reato continuato nella cessione di cocaina, che si estende dall’i gennaio 1998 fino al 1 gennaio 2003, la disciplina della prescrizione più favorevole è quella introdotta dalla I. 5 dicembre 2005 n. 251 (c.d. “ex-Cirielli), anziché quella previgente, e senza che possa rilevare, ex art. 2 cod. pen., la modifica dell’art. 158, comma 1, cod. pen. come novellato dalla I. 9 gennaio 2019, n. 3.
Se è vero, infatti, che il termine massimo di prescrizione è ora più lungo rispetto a quello precedente (ossia venticinque anni, pari a venti anni aumentati di un quarto, anziché ventidue anni e sei mesi, vale a dire quindici anni aumentati della metà), nel caso in esame è decisiva la disciplina prevista per il reato continuato: mentre, applicando la normativa previgente, la prescrizione inizia a decorrere dalla cessazione della continuazione (e quindi, nel caso qui al vaglio, dall’I. gennaio 2003, con la conseguenza che il reato continuato, aggiungendo i periodi di sospensione di cui si dirà appresso, non è prescritto), per la disciplina introdotta dalla I. n. 251 del 251 la prescrizione si calcola relazione ad ogni reato realizzato in esecuzione del medesimo disegno criminoso (e quindi, nella specie, decorre a far tempo dell’i gennaio 1998).
13.3. Ciò posto, considerando il termine di venticinque anni e aggiungendo i periodi di sospensione, pari a complessivi 421 giorni (dal 19 settembre 2021 all’i ottobre 2012 per astensione dei difensori, pari a 14 giorni, dall’8 novembre 2011 al 19 novembre 2012, per legittimo impedimento, pari a 11 giorni, dal 3 giugno 2013 al 7 ottobre 2013 per legittimo impedimento, pari a 60 giorni, dal 16 dicembre 2013 al 12 febbraio 2014 per legittimo impedimento, pari a 60 giorni, dal 17 giugno 2015 al 4 novembre 2025 per astensione dei difensori, pari a 140 giorni, dal 4 novembre 2015 al 2 marzo 2016 per legittimo impedimento, pari a 60 giorni, dal 12 giugno 2017 al 28 giugno 2017 per astensione dei difensori, pari a 16 giorni, dal 9 febbraio 2024 al 19 aprile 2024 per astensione dei difensori, pari a 60 giorni), alla data odierna risultano prescritti i f commessi fino al 22 febbraio 1999.
14. Rammentato che, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244275), con riferimento alla posizione di NOME COGNOME, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio
limitatamente ai fatti di cui al capo 1-bis) commessi sino al 22 febbraio 1999, perché i reati sono estinti per prescrizione e con rinvio per nuovo giudizio alla Corte appello di Salerno per i fatti successivi al 22 febbraio 1999.
In particolare, la Corte di appello dovrà verificare se, successivamente a tale data, il COGNOME si è reso responsabile dei fatti di cessione a lui ascritti al cap 1-bis), e, in caso affermativo, dovrà procedere della rideterminazione dell’intero trattamento punitivo, anche in relazione all’eventuale applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è fondato in relazione al primo motivo, essendo gli altri inammissibili.
Si osserva che, effettivamente, la Corte di merito è incorsa in un errore materiale in quanto, nel dispositivo, è indicata l’assoluzione del Pagano dal capo 67), mentre, come chiaramente risulta dalla motivazione (cfr. p. 15), l’imputato è stato assolto anche dal capo 72).
Rammentato che la Corte di cassazione pronuncia sentenza di annullamento senza rinvio se ritiene superfluo il rinvio e se, anche all’esito di valutazio discrezionali, può decidere la causa alla stregua degli elementi di fatto già accertati o sulla base delle statuizioni adottate dal giudice di merito, non risultando necessari ulteriori accertamenti (Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271831-01), seguendo il calcolo della Corte di appello, il trattamento sanzionatorio può essere così rideterminato: pena base, per il più grave reato di cui al capo 80), in anni quattro di reclusione e 20.000 di multa, aumentata di due mesi e 1.000 euro di multa per ciascuno dei restanti nove capi di imputazione avvinti dalla continuazione (ossia i capi 69, 70, 74, 75, 76, 78, 79, 82 e 83), per un totale di un anno e sei mesi di reclusione e 29.000 euro di multa.
La pena complessivamente inflitta deve perciò rideterminarsi, quanto alla pena detentiva, in cinque anni, sei mesi di reclusione, dovendo invece essere mantenuta la pena di 28.000 euro di multa, la quale, evidentemente, non può essere riformata in peius in assenza dell’appello del pubblico ministero.
Il secondo e il terzo motivo, esaminabili congiuntamente essendo sovrapponibili, sono manifestamente infondati.
17.1. Le caratteristiche del fatto ex art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 di “lieve entità” sono state via via precisate dalle Sezioni Unite di questa Corte in una serie di decisioni partire dal 2000.
17.1.1. Allorquando il fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 era previsto come circostanza attenuante speciale, si era affermato che essa può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove venga meno anche uno soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l’eventuale presenza degli altri (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216668 – 01: fattispecie nella quale è stato ritenuto sufficiente ad escludere l’attenuante in questione il dato quantitativo della sostanza stupefacente detenuta).
Si è successivamente chiarito che la fattispecie del fatto di “lieve entità” allorquando essa ancora integrava una circostanza attenuante – è ravvisabile in ipotesi connotate da una minima offensività, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911).
17.1.2. A dispetto della mutata configurazione giuridica dell’ipotesi di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, elevata da circostanza attenuante al rango di fattispecie autonoma di reato a seguito delle novelle di cui alle leggi n. 10 e n. 79 del 2014, non sono cambiati i presupposti per la sua applicabilità.
Con riferimento alla nuova fattispecie ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, le Sezioni Unite hanno ribadito che l’accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti da disposizione (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076 – 01).
17.2. Nel caso di specie, la Corte di merito ha fatto corretta applicazione dei principi ora richiamati, escludendo la qualificazione dei singoli fatti ai sens dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 all’esito di valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, vale a dire in riferimento al numero degli episodi di spaccio, alla sequenza temporale di tali episodi e alla diversità degli assuntori.
Si tratta di una motivazione immune da vizi logici e da errori di diritto, che supera il vaglio di legittimità.
18. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
19. Il primo motivo è inammissibile perche articola censure di contenuto fattuale, dirette a criticare la valutazione delle prove concordemente operata dai giudici di merito, che non evidenziano profili di illogicità manifesta dell motivazione.
Invero, la Corte di appello, nel solco tracciato dal Tribunale (p. 67 ss. e, quanto alla posizione di COGNOME, cfr. p. 78 ss.), ha ribadito la partecipazione dello COGNOME al delitto associativo, avendo l’imputato garantito l’attività di approvvigionamento al sodalizio per il periodo successivo al 2005, allorquando si recava nel territorio campano per l’acquisto di droga da cedere al minuto nel potentino nell’interesse dell’associazione, come concorrente riferito dal Cossidente e dal Telesca, le cui convergenti dichiarazioni risultano, oltretutto, ampiamente confermate sia dai tracciati g.p.s., sia, in particolare, dal contenuto delle intercettazioni telefoniche indicati da Tribunale (p. 78-79-80), a cui fa rinvio, sul punto, la sentenza impugnata; emblematiche, al proposito, le intercettazioni tra lo COGNOME e i clienti, che gli chiedevano la disponibilità d cocaina, ricevendo ampia assicurazione in merito, ovvero l’intercettazione del 26 settembre 2007, in cui NOME, nel commentare con l’interlocutore l’avvenuta ricezione di alcuni assegni utilizzati come pagamento, ribadisce il suo ruolo gerarchico e rappresenta che era lui a portare la contabilità.
Ancora, la Corte ha ribadito che la circostanza che tale attività di spaccio fosse svolta per conto dell’associazione facente capo al Cossidente e non solo limitata alla gestione di un parallelo mercato illecito facente capo al COGNOME, si ricava dalla circostanza riferita dalla p.g. secondo cui lo COGNOME si era recato più volte presso lo studio del COGNOME per ritirare lo stupefacente con una moto Liberty 550 (cfr. p. 81), nonché riscontrata dalla intercettazione ambientale nello studio professionale del COGNOME laddove i coimputati risultavano impegnati nell’operazione di conteggio dei proventi e ripartizione dei guadagni.
20. Il secondo motivo è inammissibile.
Invero, la Corte di merito ha ritenuto di escludere la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990 rinviando alle argomentazioni utilizzate per escludere la sussistenza della fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 1990.
Si tratta di una argomentazione giuridicamente corretta alla luce delle considerazioni espresse al par. 11 con riferimento alla posizione di COGNOME, cui si rinvia.
21. Il terzo motivo è inammissibile.
Si osserva che la pena per il più grave delitto associativo è stata inflitta nel minimo edittale, che sono state applicate le circostanze attenuanti generiche e che l’aumento di pena per la continuazione è stato giustificato in relazione al rilevante numero di cessioni di stupefacente effettuate.
La Corte di merito ha espressamente ritenuto tale pena “equa e già proporzionata alla reale gravità dei fatti contestai ed alla personalità dell’imputato proclive alla commissione di tali reati” (cfr. p. 17 della sentenza impugnata), locuzione che certamente soddisfa il prescritto onere motivazionale, dovendosi ribadire che il giudice ottempera all’obbligo di cui all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. ove adoperi espressioni come “pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”, laddove la pena inflitta non si discosti la pena dai minimi edittali (Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, COGNOME, Rv. 237402), come, appunto, nel caso qui al vaglio.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME non è manifestamente infondato, il che, consentendo l’instaurazione del rapporto processuale, permette a questa Corte di rilevare l’intervenuta prescrizione del reato.
23. Si osserva che, con l’atto di appello, il ricorrente aveva effettivamente devoluto una specifica questione – ossia che la partecipazione del Salvato nella fase di ideazione della falsa denuncia di furto in danno della compagnia assicurativa (come emerge a p. 150 della sentenza del Tribunale) escluderebbe la punibilità ex art. 648 cod. pen. – questione sulla quale la Corte ha omesso di fornire una risposta.
Posto che, come emerge dal capo di imputazione, la data di commissione del reato è indicata nel “periodo tra il 16 e il 26 ottobre 2007”, il termine massimo di prescrizione, pari a dieci anni, anche aggiungendo 421 giorni di sospensione risulta ampiamente decorso.
Rammentato che, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244275), ne segue che, nei confronti di NOME COGNOME la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione.
25. Il ricorso proposto da NOME COGNOME è fondato.
Valgono, anche per la posizione qui al vaglio, le medesime argomentazioni dinanzi illustrate con riferimento al ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME dovendosi censurare, anche in tal caso, il vizio di omessa motivazione, posto che la Corte di appello, come emerge dalla motivazione, ha ritenuto il COGNOME responsabile del delitto associativo ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, laddove, come si è detto, al capo 1-bis) è contestata un’ipotesi di concorso nel reato continuato ex art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
Ne segue, che, come per COGNOME, anche per il Campanella la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, limitatamente ai fatti di cui al capo 1-bis) commessi sino al 22 febbraio 1999, perché i reati sono estinti per prescrizione e con rinvio per nuovo giudizio alla Corte appello di Salerno per i fatti successivi a tale data.
Anche in tal caso, la Corte di appello dovrà verificare se, successivamente al 22 febbraio 1999, il COGNOME si è reso responsabile dei fatti di cessione a lui ascritti, e, in caso affermativo, dovrà procedere alla rideterminazione del complessivo trattamento punitivo.
Essendo inammissibili i ricorsi di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME perché il reato estinto per intervenuta prescrizione.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME limitatamente ai fatti di cui al capo 1-bis) commessi sino al 22 febbraio 1999, perché i reati sono estinti per prescrizione e con rinvio per nuovo giudizio alla Corte appello di Salerno per i fatti successivi al 22 febbraio 1999.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente al trattamento sanzionatorio, che ridetermina in anni cinque, mesi
sei di reclusione ed euro 28.000 di multa. Dichiara inammissibile nel resto il
ricorso di COGNOME NOME.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOMECOGNOME Aldo e
COGNOME NOMECOGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 18/04/2025.