Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1914 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1914 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Lamezia Terme il 3/4/1994
avverso l’ordinanza del 5/3/2024 del Tribunale di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 5 marzo 2024 il Tribunale di Catanzaro, in riforma del provvedimento impugnato, ha riqualificato le ipotesi di reato di cui ai capi 2), 9), 10) e 15) nella fattispecie ex art. 73, comma quattro, d.P.R. 309/90 e ha confermato per il resto, compresa la misura cautelare in atto, applicata a NOME COGNOME dal Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale in relazione alla
partecipazione al delitto associativo di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/90 e a vari reati fine di cui all’art. 73 d.P.R. cit.
Avverso l’anzidetta ordinanza del Tribunale ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, che ha dedotto i motivi di seguito indicati.
2.1. Erronea applicazione dell’art. 74 d.P.R. n. 309/90 nonché mancanza e illogicità della motivazione, tanto con riferimento alla sussistenza dell’associazione quanto riguardo alla partecipazione del ricorrente e al ruolo di capo e promotore assegnatogli. Richiamata la giurisprudenza di legittimità in merito agli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 74 cit. e alla possibilità di dedurne l’esiste dalla commissione dei reati fine, concernenti sostanze stupefacenti, il ricorrente ha affermato che le captazioni sarebbero inidonee a fondare un addebito in termini di reato associativo e difetterebbe la risposta alla richiesta di qualificare il reato a sensi dell’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309/90.
2.2. Insussistenza del fatto con riferimento ai singoli episodi di detenzione o cessione contestati ai capi 2), 9), 10), 15) e 12) dell’imputazione provvisoria, non essendo emersi elementi probatori idonei.
2.2. Insussistenza di esigenze cautelari attuali e proporzionate alla misura di massimo rigore, trattandosi di soggetto incensurato e di condotte risalenti nel tempo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato.
Il primo motivo del ricorso è nel complesso infondato.
2.1. Costituisce ius receptum il principio secondo cui «ai fini della configurabilità di un’associazione finalizzata al narcotraffico, è necessario: a) che almeno tre persone siano tra loro vincolate da un patto associativo (sorto anche in modo informale e non contestuale), avente ad oggetto un programma criminoso nel settore degli stupefacenti, da realizzare attraverso il coordinamento degli apporti personali; b) che il sodalizio abbia a disposizione, con sufficiente stabilità, risorse umane e materiali adeguate per una credibile attuazione del programma associativo; c) che ciascun associato, a conoscenza quantomeno dei tratti essenziali del sodalizio, si metta stabilmente a disposizione di quest’ultimo» (tra le altre: Sez. 6, n. 7387 del 3/12/2013, dep. nel 2014, Pompei, Rv. 258796 – 01; Sez. 4, n. 44183 del 2/10/2013, COGNOME, Rv. 257582 – 01).
D’altro canto, «l’elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato
continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti va individuato nel carattere dell’accordo criminoso, contemplante la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti, con permanenza del vincolo associativo tra i partecipanti, i quali, anche al di fuori dei singoli reati programmati, assicurino la propria disponibilità, duratura e indefinita nel tempo, al perseguimento del programma criminoso del sodalizio» (Sez. 6, n. 28252 del 6/04/2017, COGNOME, Rv. 270564 – 01; Sez. 4, n. 51716 del 16/10/2013, COGNOME Rv. 257906 – 01).
Sul piano probatorio, oltre all’ovvia considerazione della valorizzabilità delle intercettazioni telefoniche, pur rigorosamente valutate (Sez. 4, n. 20129 del 25/06/2020, COGNOME, Rv. 279251 – 01; Sez. 6, n. 27434 del 14/02/2017, Albano, Rv. 270299 – 01; Sez. 3, n. 11655 del 11/2/2015, COGNOME e altri, Rv. 262981 – 01), si afferma condivisibilmente che «in tema di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, la prova del vincolo permanente, nascente dall’accordo associativo, può essere data anche per mezzo dell’accertamento di facta concludentia, quali i contatti continui tra gli spacciatori, i beni necessari per le operazioni delittuose, le forme organizzative utilizzate, sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra gli associati, la commissione di reati rientranti nel programma criminoso e le loro specifiche modalità esecutive» (Sez. 3, n. 47291 dell’11/06/2021, COGNOME, Rv. 282610 01; Sez. 5, n. 8033 del 15/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255207 – 01; Sez. 6, n. 9061 del 24/9/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255312 – 01).
Peraltro, occorre pur sempre «la prova della stabile adesione dell’agente ad un sodalizio riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, ovvero della consapevolezza e volontà di partecipare, assieme ad altre due persone aventi la stessa consapevolezza e volontà, ad una società criminosa strutturata e finalizzata secondo lo schema legale» (Sez. 6, n. 50133 del 21/11/2013, Casoria, Rv. 258645 – 01).
A fronte di tali premesse ricostruttive, deve rilevarsi, nel caso in disamina, che il Tribunale ha affermato che le intercettazioni telefoniche ambientali e telematiche, i servizi di osservazione e controllo, l’attività di perquisizione e sequestro avevano disvelato l’esistenza, la perduranza e l’operatività di un’associazione per delinquere, finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, con centro nevralgico operativo in Lamezia Terme, per quanto concerne la distribuzione del narcotico, e con rapporti stabili di approvvigionamento con diversi fornitori anche localizzati al di fuori del territorio calabrese. Si era accertato che i vertici del sodalizio, in particolare NOME COGNOME e NOME COGNOME, attendevano personalmente alle operazioni di custodia, preparazione e confezionamento del narcotico secondo le specifiche richieste provenienti dai vari pusher, disponendo di buste sigillate, macchine per sottovuoto, escavatori, fusti, bidoni, tutti mezzi
idonei al confezionamento e alla custodia anche in spazi esterni dello stupefacente trattato.
Il Tribunale ha precisato che dall’analisi del compendio emergevano gli indici sintomatici della struttura associativa, evincendosi l’accordo criminoso tra i sodali, il perseguimento dello scopo comune tra gli indagati ovverosia quello di creare, operare e mantenere nascosta una solida filiera di approvvigionamento e distribuzione di sostanze stupefacenti con esigenze lucrative. Emergevano, inoltre, la previsione e l’assegnazione a ciascun associato di un ruolo ben preciso in seno a una struttura gerarchica tanto elementare quanto efficace. Accanto ai promotori si collocava una fitta rete di fornitori, custodi, intermediatori e spacciatori al dettaglio, oltre che la disponibilità dei luoghi deputati alla custodia delle sostanze da cui attingere periodicamente, posti al servizio della struttura operativa finalizzata al narcotraffico, radicata nel territorio e stabilmente operante nel tempo. Risultavano anche, quali circostanze rivelatrice della stabilità e della funzionalità dell’associazione rispetto allo scopo, la sintonia operativa tra i sodali e la capacità della stessa associazione di fronteggiare tempestivamente ed utilmente situazioni emergenziali (arresti e sequestri) ovvero frizioni interne contingenti.
Ulteriore conferma della stabilità del sodalizio era il corposo numero di reati satellite contestati ai sodali, la cui serialità e ripetitività è stata ritenuta indice de continuatività dell’adesione all’associazione dedita al narcotraffico.
Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, l’assiduità dei contatti, il reciproco rapporto di conoscenza tra gli associati, per alcuni a carattere familiare, e la solidarietà, tra gli stessi esistente, denotavano in modo inequivoco la piena consapevolezza da parte di tutti gli indagati di fornire il proprio apporto ad una vera e propria struttura associativa con partecipazione agli utili.
Alla luce di quanto precede è evidente che il Collegio della cautela ha dato rilievo sul piano probatorio ad elementi effettivamente idonei a dimostrare l’esistenza di uno stabile sodalizio dedito al narcotraffico.
Nell’evidenziare i dati sopra indicati, quali l’utilizzo di modalità operative e di tecniche condivise e consolidate, il ripetersi di condotte consimili di spaccio, l’esistenza di profili organizzativi, la capacità di fronteggiare situazioni di crisi, Tribunale ha valorizzato elementi legittimamente intesi come rappresentativi dell’operatività di un gruppo di soggetti, che agiva per il perseguimento non occasionale ed episodico ma stabile di un programma delittuoso, avente ad oggetto un numero indeterminato di reati in materia di stupefacenti.
Ciò equivale alla puntuale rappresentazione di un’associazione per delinquere di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90.
2.2. Va aggiunto che, nel qualificare il delitto associativo ai sensi dell’art. 74 d.P.R. n. 309/94, il Tribunale ha escluso la sussumibilità dei fatti nell’alveo dell’art. 74, comma 6, d.P.R. cit.
Al riguardo giova ricordare che questa Corte è ferma nel ritenere che la fattispecie associativa prevista dall’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309/90 è configurabile a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entità, predisponendo modalità strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravità e che, in concreto, l’attività associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. cit. (così: Sez. 6, n. 1642 del 09/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278098 – 01).
Alla luce di tale criterio ermeneutico deve ritenersi corretta la decisione del Tribunale, che ha disatteso implicitamente la richiesta difensiva di riqualificare il reato associativo ai sensi del comma 6 del suddetto art. 74, laddove ha evidenziato che si era in presenza di un’organizzazione ben strutturata, a forte caratterizzazione locale, dotata di elevate disponibilità economiche e che si occupava dell’approvvigionamento di notevoli quantità di sostanze stupefacenti e del successivo spaccio diffuso sul territorio.
In tal modo il Collegio della cautela ha escluso che il sodalizio criminale in esame potesse essere considerato come globalmente costituito per la commissione di fatti tutti di lieve entità.
2.3. Con specifico riferimento al ricorrente il Tribunale ha affermato che dalle operazioni di intercettazioni e dai servizi di o.c.p. erano emersi il ruolo centrale di dirigente o capo-organizzatore del gruppo dell’indagato e il suo pieno coinvolgimento nell’attività di preparazione e confezionamento del narcotico, destinato allo spaccio. In particolare, la condotta partecipativa di COGNOME era evincibile «dalla particolare gravità del reato fine di cui capo 12) e dal forte attivismo manifestato dallo stesso in ordine alla gestione del traffico degli stupefacenti, che consentiva al gruppo di riferimento l’afflusso di notevoli introiti».
Nel porre in evidenza il ruolo di gestore del traffico degli stupefacenti e la rilevanza che rivestiva per il sodalizio criminale, anche quale capo, il Tribunale ha posto in luce elementi atti a dimostrare la partecipazione del ricorrente al gruppo criminale con un ruolo qualificato e con la consapevolezza di adoperarsi per realizzarne i fini.
A fronte di siffatte argomentazioni il ricorrente, invece, si è limitato a svilire la portata degli elementi valorizzati e a proporre il compimento di un’operazione estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (così, tra le tante, Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, COGNOME, Rv. 244623).
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3. Il secondo motivo è privo di specificità.
Secondo il Tribunale, la prova dei reati fine era emersa dalle intercettazioni dei dialoghi e dagli accordi telefonici con cui il ricorrente fissava gli appuntamenti per la consegna della merce. «Condotta che veniva inizialmente riscontrata dalle riprese degli impianti di videosorveglianza, che mostravano il ricorrente recuperare involucri da un terreno limitrofo nella disponibilità del coindagato NOME, suo vicino di casa, in cui una successiva perquisizione permetteva di rinvenire fusti interrati contenenti marijuana e cocaina».
Va osservato che le doglianze difensive, oltre ad essere generiche, risultano chiaramente finalizzate a sollecitare un’inammissibile rilettura delle emergenze processuali, avendo la Corte territoriale adeguatamente giustificato e logicamente approfondito le ragioni per le quali l’indagato dovesse ritenersi responsabile dei reati fine ascrittigli.
Il terzo motivo, relativo alle esigenze cautelari, è infondato.
Il Collegio territoriale ha rimarcato che l’importanza delle funzioni, svolte dal ricorrente, il contributo di coordinazione e anche operativo dallo stesso offerto, il suo rapportarsi con altri esponenti apicali, la cui caratura criminale risultava ben nota a tutti i sodali, denotavano un particolare spessore criminale, che corroborava la prognosi del pericolo di reiterazione di reati.
Anche a prescindere dalle presunzioni di legge, che reca con sé l’addebito associativo, secondo il Tribunale, sussistevano concreti e specifici profili cautelari che imponevano il mantenimento del presidio cautelare, al fine di impedire che il ricorrente potesse riprendere i contatti con l’associazione o riorganizzare la stessa. L’ampia rete di rapporti personali ed economici, intessuta con i vertici e sodali dell’associazione, l’intensità del dolo di adesione criminosa, l’assenza di elementi idonei a provare l’effettivo allontanamento dall’ambiente criminale, in cui erano maturate le vicende illecite, e dai fattori causali dei suoi comportamenti concorrevano a delineare un concreto e attuale pericolo di recidiva specifica.
A fronte di tali rilievi, immuni da vizi sindacabili in questa sede, il ricorrente non ha evidenziato profili di effettiva illogicità della motivazione del provvedimento impugnato.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, secondo quanto previsto dall’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
L’esito del giudizio onera la Cancelleria degli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
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Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 3 dicembre 2024.