Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 21542 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 21542 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CARMIANO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 25/11/2023 del TRIB. LIBERTA’ di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Lecce, quale giudice del riesame, ha confermato l’ordinanza emessa il 16/10/2023 dal GIP presso lo stesso Tribunale nei confronti di NOME COGNOME, in quanto gravemente indiziato in ordine al reato previsto dall’art.74, commi 2-5 e 80, comma 2 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, contestato al capo 1) dell’imputazione provvisoria nonché a quello previsto dall’art.73, comma 1, dello stesso d.P.R., contestato al capo 42) e a quello previsto dall’art.73, comma 4, contestato al capo 46).
In ordine ai gravi indizi di colpevolezza, il Tribunale ha premesso che non sussistendo motivi di riesame inerenti alla sussistenza oggettiva dell’associazione contestata ai sensi dell’art.74, T.U. stup. – poteva farsi integrale rinvio a quanto argomentato in sede di ordinanza applicativa, a propria volta fondata su un’estesa attività di intercettazione telefonica e ambientale nonché su servizi di osservazione, pedinamento e controllo oltre che sui numerosi sequestri di sostanza stupefacente e comunque desunta sulla scorta: della suddivisione dei compiti tra gli associati; del numero di episodi di acquisto e cessione accertati; della disponibilità di ingenti somme di denaro; della disponibilità di apparecchi cellulari di ultima generazione non intercettabili; della ricorrenza del modus operandi.
In relazione alla specifica posizione del ricorrente, il Collegio ha fatto riferimento al compendio indiziario attinente ai reati fine; specificamente, in relazione al capo 42) – relativo al concorso nella coltivazione di una piantagione di cannabis – ha fatto riferimento ad alcuni dialoghi intercorsi tra NOME COGNOME, individuato come il capo del sodalizio, e NOME COGNOME, dai quali emergeva che il primo aveva dato al COGNOME l’incarico di controllare NOME COGNOME, ovvero uno dei responsabili della piantagione; ha rilevato che, dalle conversazioni, emergeva che il COGNOME si occupava dell’allestimento e della coltivazione della piantagione illegale, rendicontando anche il COGNOME sulla quantità di stupefacente ricavata.
In ordine al capo 46) – nel quale era stato ascritto al COGNOME di avere ricevuto, ai fini della vendita al dettaglio, due chilogrammi di marijuana – il Tribunale ha richiamato due dialoghi intercorsi tra il COGNOME e NOME COGNOME, dal quale sarebbe emersa la consegna di due chili di stupefacente all’odierno ricorrente; rilevando altresì, in relazione alle deduzioni difensive, che non sussisteva dubbio in ordine all’identificazione del soggetto citato nelle predette conversazioni come l’indagato.
In riferimento alla partecipazione del COGNOME al sodalizio criminoso, il Tribunale ha ritenuto non accoglibili le osservazioni difensiva tese a sostenere la mancanza dell’adesione all’associazione in relazione alla richiesta di denaro fatta dal ricorrente nei confronti del COGNOME e da questi non accolta, atteso che da altra conversazione emergeva come lo stesso COGNOME fosse mensilmente finanziato dal COGNOME con C 500,00; ha altresì rilevato come emergesse che il COGNOME, in collegamento con la sua qualità di controllore delle piantagioni, si recava a casa del COGNOME per rendicontarlo sul relativo andamento, aveva rapporti continui con altri sodali, cercava di diventare uomo di fiducia del COGNOME, si occupasse anche del recupero dei crediti.
In punto di esigenze cautelari, il Tribunale – alla luce del pericolo di reiterazione desumibile dalla gravità dei fatti contestati, della presenza specifici precedenti in materia di traffico di stupefacenti e della pendenza di un procedimento per il reato previsto dall’art.416bis cod.pen. – ha ritenuto non superabile la doppia presunzione prevista dall’art.275, comma 3, cod.proc.pen., anche alla luce del coinvolgimento dell’indagato in un successivo fatto della stessa oggettività rispetto a quello contestato nella presente sede, confermando il giudizio del GIP in ordine all’adeguatezza della sola misura maggiormente afflittiva e ritenendo comunque non adeguata la misura degli arresti domiciliari, anche se accompagnati da modalità elettroniche di controllo.
Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, tramite il proprio difensore, articolando sei motivi di impugnazione.
Con il primo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art.309, comma 9, cod.proc.pen..
Sul punto, ha dedotto che il Tribunale avrebbe acriticamente condiviso la valutazione del GIP, fornendo quindi una motivazione – di fatto – solo apparente, obliterando il confronto con i motivi di impugnazione.
Con il secondo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – il vizio di motivazione apparente in ordine al profilo di fatto relativo all’esatta identificazione dell’odierno ricorrente; esponeva che, sul punto, il Tribunale avesse omesso di motivare sulla conversazione di cui allegato 408, da cui sarebbe emersa la sussistenza di due soggetti di nome “NOME“, uno dei quali – identificabile nell’odierno indagato – ritenuto dal COGNOME come non affidabile mentre l’altro si identificava in NOME COGNOME,
soggetto già destinatario di richiesta di rinvio a giudizio in un parallelo procedimento costituente l’antecedente logico di quello in questione e nell’ambito del quale la richiesta di custodia cautelare formulata nei confronti del COGNOME era stata rigettata per essere stato questi ritenuto estraneo rispetto al sodalizio criminoso.
Con il terzo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – l’inosservanza della legge penale in relazione all’art.74, T.U. stup.; con il quarto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – l’illogicità della motivazione in riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine alla predetta fattispecie associativa.
In relazione ai predetti motivi, ha dedotto che il Tribunale avrebbe affermato la sussistenza degli elementi connotativi della partecipazione al sodalizio sulla base di alcuni stralci di conversazioni, omettendo di confrontarsi con la rilettura critica fornita dalla difesa ed evidenziante l’opinione “negativa” che sul ricorrente aveva il COGNOME, quale capo dell’associazione; sul punto evocando il contenuto di una conversazione nell’ambito della quale il COGNOME aveva richiesto al COGNOME una modesta somma di denaro (C 100) per le proprie necessità personali, ricevendone un rifiuto; ha altresì evidenziato che il Tribunale non aveva argomentato sulle deduzioni difensive inerenti all’assenza di qualsivoglia profilo associativo in capo al ricorrente atteso il differente e peggiore trattamento allo stesso riservato rispetto ad altri sodali; argomentando altresì come la sola partecipazione ai contestati reati scopo non potesse assurgere a elemento fondante della partecipazione al sodalizio.
Con il quinto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – l’illogicità della motivazione in riferimento alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati scopo.
Ha dedotto che il Tribunale avrebbe apoditticamente smentito le argomentazioni difensive – in relazione alla consegna di sostanza contestata al capo 46) – con le quali era stata dedotta la cattiva qualità della stessa, atteso che dalle conversazioni emergeva il prezzo particolarmente basso della cessione; ha altresì dedotto, in relazione alla condotta ascritta al capo 42), che dagli atti non emergeva alcun conferimento di un mandato da parte del COGNOME finalizzato alla supervisione sulla piantagione di cannabis; sottolineando altresì che nei confronti del prevenuto non erano emersi elementi idonei a provare alcun episodio di spaccio o di detenzione di stupefacente.
Con il sesto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – la carenza della motivazione in punto di attualità e concretezza delle esigenze cautelari.
Ha dedotto sul punto che gli episodi ascritti risalivano a circa tre anni prima rispetto all’applicazione della misura e che il Tribunale aveva, di fatto, giustificato la proporzionalità e adeguatezza della sola misura di maggior rigore sulla sola base della dedotta gravità dei fatti ascritti.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, nelle quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
La difesa del ricorrente ha depositato successiva memoria scritta nella quale ha contestato le suddette conclusioni e ha insistito per l’accoglimento dell’impugnazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Con il primo motivo di impugnazione, la difesa del ricorrente ha dedotto – in relazione al disposto dell’art.309, comma 9, cod.proc.pen. – il difetto di autonoma valutazione, in capo al provvedimento del Tribunale, in ordine ai gravi indizi di colpevolezza e alle esigenze cautelari.
Il motivo è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.
Va premesso che, a seguito delle modifiche apportate dalla I. 16 aprile 2015, n.47, è stata prevista – nell’ambito del contenuto necessario dell’ordinanza applicativa di misure cautelari – «l’esposizione e l’autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta…»; mentre l’art.309, comma 9, ultimo periodo, cod.proc.pen., stabilisce, sempre per effetto della modifica apportata dalla L. 47/2015, che «il Tribunale annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene l’autonoma valutazione, a norma dell’articolo 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa».
In relazione agli effetti derivanti dalle predette modifiche – peraltro recettive di argomentazioni già espresse dalla giurisprudenza di legittimità che, sotto la vigenza del precedente quadro normativo, aveva ritenuto sussistente un vero e proprio obbligo di annullamento in capo al Tribunale del riesame in caso di motivazione meramente apparente (sulla scorta delle considerazioni espresse da Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, COGNOME, Rv.
216664 – 01 in punto di legittimità della motivazione operata per relationem) – ne consegue che il potere/dovere del Tribunale del riesame di integrare la motivazione del provvedimento applicativo non viene in considerazione, con conseguente obbligo di annullamento, nelle ipotesi di motivazione meramente apparente ovvero priva di autonoma valutazione rispetto alla richiesta del p.m., poiché in tali casi il legislatore ha individuato un vizio di motivazione del titolo cautelare genetico non emendabile, al quale deve seguire necessariamente l’annullamento del provvedimento impositivo della misura; a propria volta, il vizio di difetto di motivazione rilevante ai sensi della suddetta disposizione, ricorre sia in caso di motivazione inesistente – cui va equiparata quella di motivazione meramente apparente che si risolva in mere clausole di stile – sia in caso di motivazione non autonoma rispetto alla richiesta del Pubblico ministero, in ordine alle esigenze cautelari, agli indizi e agli elementi forniti dalla difesa (Sez. 5, n. 6230 del 15/10/2015, dep.2016, Rv. 266150; Sez. 2, n. 46136 del 28/10/2015, Campanella, Rv. 265212).
Peraltro, proprio in considerazione del chiaro disposto normativo, la giurisprudenza di questa Corte ha sottolineato che – invece – l’ordinanza cautelare adottata dal tribunale del riesame non richiede, a pena di nullità, l’autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, in quanto tale requisito è previsto dall’art.292, comma 2, cod.proc.pen. con riguardo alla sola decisione adottata dal giudice che emette la misura inaudita altera parte, essendo funzionale a garantire l’equidistanza tra l’organo requirente che ha formulato la richiesta e l’organo giudicante; conseguendone che, con riferimento ai provvedimenti cautelari diversi dall’ordinanza genetica ex art. 292, cod. proc. pen., possono farsi valere unicamente i vizi della motivazione o la motivazione assente o apparente (Sez. 6, n. 1016 del 22/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278122; Sez. 1, n. 8518 del 10/09/2020, dep. 2021, Galletta, Rv. 280603, tra le altre).
Ne consegue che il vizio denunciato non risulta neanche astrattamente ascrivibile nei confronti della motivazione adottata dal Tribunale del riesame, fatta salva la successiva valutazione in punto di dedotti vizi motivazionali in ordine ai profili attinenti ai gravi indizi di colpevolezza e alle esigenze cautelari.
Con il secondo motivo, la difesa del ricorrente ha contestato la motivazione del Tribunale del riesame in punto di corretta identificazione dell’indagato; richiamando, sotto tale profilo, gli esiti di una conversazione intercorsa tra il COGNOME e il coindagato COGNOME (progr. 3224 e 3274), dalla data non specificata, dalla quale sarebbe univocamente emersa la presenza
di due “NOME” nel contesto dei fatti oggetto del procedimento e la dedotta carenza di fiducia nei confronti dell’odierno indagato (detto “NOME COGNOME“) da parte del capo del sodalizio.
Il motivo è infondato.
Sul punto il Tribunale ha dato atto – con motivazione congrua e non palesemente illogica – degli elementi di fatto idonei a comprovare che il “NOME” al quale si facevano ripetuti riferimenti, da parte del COGNOME, nel corso delle conversazioni intercettate, non potesse che identificarsi nel COGNOME.
In particolare, come sottolineato dal Tribunale, deve ritenersi univoco il riferimento a “NOME” (soprannome dell’indagato, elemento non contestato dalla difesa come dato atto a pag.4 dell’ordinanza gravata) nella conversazione del 06/03/2021 tra il COGNOME e il COGNOME (a11.306) e riguardante la gestione della piantagione di cannabis menzionata al capo 42) dell’imputazione provvisoria, conseguendone la sicura identificazione dell’indagato come l’interlocutore delle conversazioni con il COGNOME aventi tale oggetto (quale quella dell’a11.218 del 06/03/2021, menzionata a pag.6 dell’ordinanza e quella del 10/06/2021, al1.450, menzionata alle pagg.7-8).
Così come deve ritenersi che il Tribunale – con motivazione immune da vizi di illogicità – abbia identificato il COGNOME nel soggetto menzionato nelle conversazioni intercorse tra il COGNOME e il COGNOME e riguardanti la fornitura di due chilogrammi di sostanza stupefacente (a11.443 del 05/06/2021 e al1.445 del 07/06/2021, pagg.8-10 dell’ordinanza), atteso che – nel contesto dei dialoghi – si faceva chiaro riferimento all’incarico conferito a “NOME” di sorvegliare la coltivazione della piantagione di cannabis.
D’altra parte, con argomentazione non fatta oggetto di specifica censura da parte della difesa, il Tribunale ha sottolineato l’elemento desumibile dalla conversazione del 10/06/2021 (a11.451, pag. 10 dell’ordinanza) intercorsa tra il COGNOME e il COGNOME, in cui si faceva riferimento a un “NOMENOME che era appena venuto presso l’abitazione di quest’ultimo; e ciò in presenza del riscontro rappresentato dal filmato estratto dalle videocamere collocate presso l’abitazione dello stesso COGNOME e nel quale il COGNOME era stato visto recarsi presso la stessa circa un’ora prima.
Ne consegue che non sussiste alcun vizio di apparenza della motivazione in ordine alla valutazione del Tribunale relativamente all’identificazione dell’odierno indagato, a fronte della quale la difesa ha opposto argomentazioni che – alla luce del materiale di indagine richiamato nell’esposizione del motivo – appaiono congetturali e autoevidenti.
Con il terzo e il quarto motivo, la difesa del ricorrente ha contestato la sussistenza di un idoneo compendio indiziario in ordine alla dedotta condotta di partecipazione al sodalizio contestato ai sensi dell’art.74, T.U. stup..
Sul punto, la difesa ha argomentato che – da una serie di elementi ricavabili dalle conversazioni intercettate – sarebbe emerso un atteggiamento di “sfiducia” da parte del COGNOME nei confronti del COGNOME, in quanto tale idoneo a escludere il necessario elemento della affectio societatis, richiamando altresì una conversazione della quale sarebbe emerso che il ricorrente era stato costretto a pagare una dose di cocaina destinata a uso personale nonché a pagare preventivamente il prezzo dello stupefacente destinato allo spaccio.
Il motivo è infondato.
4.1 Va quindi premesso che questa Corte è ferma nel ritenere che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione con il quale si lamenti l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 6, n. 11194 dell’8/3/2012, COGNOME, Rv. 252178; Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628); rilevando che, nel caso in cui si censuri la motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Rv. 255460; Sez. 4, n. 37878 del 06/07/2007, COGNOME, Rv. 237475); spettando dunque a questa Corte di legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai
canoni della logica e ai principi del diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.
Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere interno al provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate; in altri termini, è consentito in questa sede esclusivamente verificare se le argomentazioni spese sono congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugnato; se, cioè, in quest’ultimo, siano o meno presenti due requisiti, l’uno di carattere positivo e l’altro negativo, e cioè l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative su cui si fonda e l’assenza di illogicità evidenti, risultanti cioè prima facie dal testo del provvedimento impugnato.
4.2 Operata tale premessa, va rilevato che il Tribunale distrettuale dopo aver dato conto dei convergenti elementi indiziari confluenti al fine di dimostrare l’esistenza dell’associazione – ha, con argomentazioni congrue e da ritenere esenti dai denunciati vizi di violazione della legge e di illogicità della motivazione – dato analiticamente conto della sussistenza della posizione di intraneità dell’odierno ricorrente rispetto al sodalizio criminoso.
Sul punto va premesso che la partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti è un reato a forma libera, la cui condotta costitutiva può realizzarsi in forme diverse, purché si traduca in un apprezzabile contributo alla realizzazione degli scopi dell’organismo, posto che in tal modo si verifica la lesione degli interessi salvaguardati dalla norma incriminatrice (Sez. 3, n. 35975 del 26/05/2021, Caterino, Rv. 282139); dovendosi altresì richiamare il principio in base al quale, ai fini della verifica degli elementi costitutivi della partecipazione al sodalizio, ed in particolare dell’affectio di ciascun aderente ad esso, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che può essere anche breve, purché dagli elementi acquisiti possa inferirsi l’esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benché per un periodo di tempo limitato (Sez. 4, n. 50570 del 26/11/2019, Amarante, Rv. 278440 – 02; Sez. 6, n. 42937 del 23/09/2021, Sermone, Rv. 282122).
Ricordando altresì che, per la configurabilità della condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti, non è richiesto un atto di investitura formale, ma è necessario che il contributo dell’agente risulti funzionale per l’esistenza stessa dell’associazione in un dato momento storico (Sez. 4, n. 51716 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 257905; Sez. 3, n. 22124 del 29/04/2015, COGNOME, Rv. 263662).
4.3 Ciò posto, il Tribunale distrettuale ha valorizzato – con motivazione congrua con i predetti principi e immune dai denunciati vizi di violazione di legge e di illogicità – una serie di elementi indiziari convergenti nel senso dell’appartenenza del ricorrente al sodalizio criminoso e specificamente desunti dal complesso delle conversazioni intercettate.
Dovendosi richiamare, sul punto, il consolidato orientamento di questa Corte in base al quale, in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, Rv. 282337).
In tal senso, il Collegio ha valorizzato gli elementi indiziari desumibili dai reati fine e – in particolare – da quello ascritto al capo 42), denotante il continuativo esercizio di un’attività di controllo sull’andamento della piantagione di cannabis, in relazione alla quale risulta che l’indagato si sia ripetutamente tenuto in contatto con il COGNOME per relazionarlo sul relativo andamento.
Mentre pure, con passaggio congruo e non illogico, il Tribunale ha valorizzato gli esiti della conversazione intercorsa tra il COGNOME e il COGNOME il 16/05/2021 (all.410), dalla quale emerge univocamente che l’odierno ricorrente era stato incaricato dal secondo di gestire l’esazione di un cospicuo credito scaturito dalla fornitura di sostanza stupefacente; dato tale da fornire importanti elementi in ordine al pieno inserimento del COGNOME all’interno del sodalizio.
A fronte di tali univoci elementi di fatto, la difesa si è quindi limitata ad illustrare i contenuti dì alcune conversazioni intercettate, le quali appaiono peraltro espressione di circostanze parcellizzate e non idonee a riverberarsi sull’univocità del compendio indiziario.
In particolare, del tutto neutro – come rilevato dal Tribunale – è il dato, emergente da una conversazione (del 23/08/2021, all.567), dal quale si ricavava che il COGNOME aveva acquistato e pagato da NOME COGNOME, marito della COGNOME, una dose di cocaina destinata a uso personale, desumendone apoditticamente che il ricorrente fosse l’unico associato a dovere pagare anticipatamente la sostanza stupefacente destinata alla vendita; circostanza peraltro analiticamente smentita dal Tribunale attraverso il riferimento ad alcune conversazioni dalle quali sarebbe emerso che il COGNOME aveva dato direttive affinché lo stupefacente non potesse essere
acquistato nemmeno dai sodali senza il suo assenso (pag.9 dell’ordinanza impugnata).
Mentre non può attribuirsi alcun rilievo, ai fini che qui interessano, alla circostanza rappresentata dal fatto che il COGNOME – in una occasione avesse chiesto dei soldi al COGNOME, emergendo dalla conversazione del 10/06/2021 (a11.450), che il sodalizio corrispondeva un mensile di C 500,00 all’odierno indagato tramite un terzo associato (identificato come NOME COGNOME); dialogo in relazione al quale non appare sostenuto da alcun elemento intrinsecamente logico l’argomento difensivo in base alla quale tale passaggio di denaro sarebbe stato da attribuire a un’iniziativa dello stesso COGNOME.
Deve quindi ritenersi – in relazione al complesso degli elementi posti alla base dei motivi di ricorso – che il Collegio si sia adeguatamente confrontato con le argomentazioni spiegate dalla difesa in sede di procedimento di riesame e che abbia congruamente rappresentato la loro inidoneità a compromettere la solidità del quadro indiziario in specifico riferimento all’aspetto rappresentato dall’affectio societatis.
5. Con il quinto motivo, la difesa ha dedotto la carenza dei gravi indizi di colpevolezza rispetto ai due reati scopo ascritti all’indagato, dapprima con argomentazioni specificamente riferite alla fattispecie contestata al capo 46) e relativa alla contestata consegna di due chilogrammi di sostanza del tipo marijuana per la successiva immissione nelle piazze di spaccio e poi in relazione al reato ascritto al capo 42).
Il motivo è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.
Le deduzioni difensive, difatti, appaiono evidentemente generiche e del tutto avulse dal tessuto motivazionale espresso nell’ordinanza del Tribunale; nella quale si è dato atto che, sulla base dell’univoco tenore delle conversazioni intercettate (quella del 05/06/2021 tra NOME e COGNOME, in cui si fa riferimento a “NOME” come del destinatario di “un chilo di nero e un chilo di quella verde”; quella del 07/06/2021 nella quale ancora il COGNOME riferiva che “NOME se né preso una verde scura e una verde chiara”) emergevano elementi indiziari del tutto univoci in relazione al capo 46) dell’imputazione provvisoria.
Elementi di fatto in relazione ai quali la difesa ha riproposto il tema – da ritenere, per quanto sopra detto, non fondato – relativo alla corretta identificazione del “NOME” menzionato nelle conversazioni nell’odierno indagato oltre a fare riferimento a circostanze, quale quella della dedotta cattiva qualità dello stupefacente, del tutto neutre ai fini che qui interessano.
Del tutto generiche sono altresì le contestazioni riferite al reato contestato al capo 42) e facenti mero riferimento alla dedotta assenza di un mandato da parte del COGNOME a provvedere alla supervisione della coltivazione della piantagione di cannabis, elemento che il Tribunale ha invece congruamente ricavato dalle conversazioni prima citate.
Con il sesto motivo di impugnazione, il difensore ha contestato la valutazione del Tribunale in punto di attualità e concretezze delle esigenze cautela ri.
Il motivo è infondato.
Sul punto, vige in materia la c.d. doppia presunzione dettata dall’art.275, comma 3, cod.proc.pen., il quale prevede che – quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati elencati nell’art.51, comma 3 -bis, cod.proc.pen. (tra cui rientra quello contestato nella presente sede) – «è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure».
Deve quindi rilevarsi che il solo elemento rappresentato dal dato temporale – in ogni caso contenuto nella misura di circa due anni e mezzo tra le condotte ravvisate nell’ordinanza e l’applicazione della misura – non sia idoneo a superare la suddetta presunzione normativa;
Difatti, la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., è prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma generale stabilita dall’art. 274 cod. proc. pen.; ne consegue che, se il titolo cautelare riguarda i reati previsti dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., detta presunzione fa ritenere sussistente, salvo prova contraria, non desumibile dalla sola circostanza relativa al mero decorso del tempo, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo; dovendosi rilevare che, nella materia cautelare, il decorso del tempo, in quanto tale, possiede una valenza neutra ove non accompagnato da altri elementi circostanziali idonei a determinare un’attenuazione del giudizio di pericolosità (Sez. 1, n. 21900 del 07/05/2021, COGNOME, Rv. 282004; Sez. 2, n. 6592 del 25/01/2022, Ferri Rv. 282766 – 02).
Sul punto, deve prendersi atto che la giurisprudenza di legittimità ha comunque rilevato che, pur in presenza della suddetta presunzione, qualora intercorra un considerevole lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati in via provvisoria all’indagato, il giudice ha l’obbligo di
motivare puntualmente, su impulso di parte o d’ufficio, in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull’esistenza e sull’attualità delle esigenze cautelari, anche nel caso in cui, trattandosi di reati associativi non risulti la dissociazione dell’indagato dal sodalizio criminale (Sez. 6, n. 19863 del 4/5/2022, COGNOME, Rv. 281273 – 02).
Nel caso di specie, peraltro, deve ritenersi che l’ordinanza impugnata abbia adeguatamente adempiuto al suddetto onere motivazionale rilevando come la presunzione relativa, anche in riferimento al tempo trascorso dalla commissione delle condotte, non fosse superabile alla luce degli elementi rappresentati dal volume di affari dell’associazione, dal numero delle transazioni, dalla quantità e qualità dei compartecipi e dalla provata disponibilità di armi.
D’altra parte, va ricordato che – pure per giurisprudenza consolidata -, la prognosi di pericolosità non si rapporta solo all’operatività dell’associazione ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, né alla data ultima dei reati fine dell’associazione stessa, ma ha ad oggetto la possibile commissione di delitti che siano espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento in circuiti criminali che caratterizzano l’associazione di appartenenza (Sez. 2, n. 19341 del 21/12/2017, COGNOME, Rv. 273435; Sez. 3, n. 16357 del 12/01/2021, Amato, Rv. 281293).
Del tutto congruo, in tal senso, deve quindi ritenersi il riferimento operato dal Tribunale – al giudizio sulla personalità dell’indagato, gravato da numerosi precedenti penali, analiticamente elencati in sede di ordinanza applicativi e relativi anche a reati in materia di armi e di stupefacenti.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e la trasmissione degli atti alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma lter disp. att. cod. proc. pen..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 19 marzo 2024