Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2832 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2832 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da Ostuni NOMECOGNOME nato a Brindisi il 13/11/1991; COGNOME NOME, nato a Brindisi il 4/5/1982; COGNOME NOME, nato a Brindisi il 22/3/1974; COGNOME NOME, nato a Brindisi 1’1/8/1978
avverso la sentenza del 17/1/2024 emessa dalla Corte di appello di Lecce visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi; udita l’Avvocatessa NOME COGNOME difensore di fiducia di NOME COGNOME e NOME COGNOME la quale chiede l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Lecce, riformando parzialmente la sentenza di primo
grado, confermava la condanna per il reato associativo e per i reati fine contestati a Ostuni (con proscioglimento dai capi 2, 3 e 8) e COGNOME (capi 1 e 10), rideterminando la pena nei confronti di COGNOME (capo 19) e COGNOME (capi 37 e 38) per effetto del riconoscimento delle attenuanti generiche.
I ricorsi proposti nell’interesse di Ostuni e Raia, proponendo plurime questioni comuni, possono essere congiuntamente sintetizzati.
2.1. Con il primo motivo, entrambi i ricorrenti deducono violazione di legge in relazione agli artt. 192 e 546 cod. proc. pen. e 416 cod. pen., nonché vizio di motivazione. Si assume che la Corte di appello avrebbe ritenuto la sussistenza di un’associazione a delinquere finalizzata a commettere furti di autovetture, nonchè ricettazione e riciclaggio di pezzi di ricambio. Il reato associativo sarebbe stato ritenuto provato sulla base della mera verifica della commissione di alcuni peraltro numericamente limitati – reati scopo, senza che fosse emersa una reale affectio societatis, potendosi al più individuare rapporti individuali tra i singoli soggetti coinvolti.
Si sarebbe dovuto, pertanto, ritenere il concorso di persone nel reato e non già la partecipazione ad una non meglio individuata associazione, tanto più che non era stato neppure individuato un programma criminoso ulteriore e diverso rispetto all’accordo relativo al compimento dei singoli reati accertati.
In particolare, entrambi i ricorrenti si dolgono della erronea valutazione delle intercettazioni ambientali, dalle quali non emergerebbe in alcun modo l’adesione all’associazione.
Il solo NOME deduce la violazione dell’art. 648-bis cod. pen., rappresentando di non aver fornito alcun contributo rispetto al riciclaggio delle parti di autovetture, provento di furto, rivenute nel locale a lui intestato, posto che la mera detenzione dei beni non avrebbe in alcun modo realizzato la condotta tipica richiesta dalla norma incriminatrice.
2.2. Con il secondo motivo, entrambi i ricorrenti deducono l’insussistenza della recidiva loro rispettivamente contestata e il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
2.3. Con il terzo motivo, deducono la violazione dell’art. 599-bis, comma 3, cod. proc. pen., posto che a fronte della richiesta di concordato in appello, la Corte di appello non la accoglieva, senza fornire alcuna motivazione e limitandosi, evidentemente, a prendere atto del mancato consenso espresso dal Procuratore Generale, nonostante questi avesse acconsentito a tale forma di definizione con riguardo ad altri imputati aventi identiche posizioni processuali.
I Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati formulati quattro motivi di ricorso.
3.1. Con il primo motivo, deduce violazione di legge in relazione all’art. 648 cod. pen., con riguardo al reato contestato al capo 37). Rappresenta il ricorrente che la sua responsabilità era stata desunta esclusivamente dal ruolo di legale rappresentante e socio di maggioranza della RAGIONE_SOCIALE omettendosi di considerare che l’azienda – nella quale risultavano impiegati pezzi di ricambio di provenienza illecita – era di fatto gestita dal fratello, COGNOME NOME, il quale era pienamente coinvolto nell’attività illecita, risultando anche imputato per il reato associativo.
Il ricorrente risulterebbe del tutto estraneo alle condotte illecite realizzate, ma la Corte di appello – pur riconoscendo la gestione di fatto della società da parte del fratello – aveva affermato la penale responsabilità dell’imputato valorizzando il dato formale del ruolo ricoperto nella società.
3.2.Con il secondo motivo, deduce violazione di legge in relazione all’art. 483 cod. pen., con riguardo al reato contestato al capo 38), commesso mediante la falsa attestazione dell’avvenuta rottamazione di alcune auto che, invece, venivano rinvenute in un’area adiacente a quella della società RAGIONE_SOCIALE
Sostiene il ricorrente che, dall’esame della documentazione acquisita, risulterebbe che l’indicazione dell’avvenuta rottamazione attestava unicamente la “presa in carico” dell’autovettura destinata a tale operazione, tant’è che non veniva indicata la data di esecuzione, fin quando la rottamazione non veniva effettivamente eseguita.
3.3. Con il terzo motivo, sempre relativo al reato di cui al capo 38), il ricorrente contesta la sussistenza del dolo richiesto dal reato di falso contestato, potendosi al più ipotizzare una colposa indicazione non veritiera del dato relativo alla rottamazione delle autovetture.
3.3. Con il quarto motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al reato di gestione illecita di rifiuti, posto che la società disponeva delle necessarie autorizzazione per lo smaltimento dei rifiuto e che le autovetture, rinvenute nell’area adiacente la sede della società, erano ivi collocate in via temporanea e in attesa che si procedesse alla rottamazione.
4.Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati formulati tre motivi di impugnazione.
4.1. Con il primo motivo, deduce il travisamento della prova in relazione all’identificazione del ricorrente quale uno degli interlocutori che aveva partecipato alla conversazione di cui al progr. n. 97 RIT n. 282/2020. Evidenzia il ricorrente
che la consulenza fonica affidata ai RIS di Roma, nonché quella di parte svolta dal dott.COGNOME davano atto che il passo della conversazione ritenuto di interesse probatorio non era attribuibile a COGNOME NOME, bensì a COGNOME NOME. Tale dato, pur incontrovertibilmente accertato, veniva travisato dalla Corte di appello che, invece, affermava che era COGNOME NOME ad aver partecipato al colloquio intercettato, pronunciando la frase con la quale si concordava l’orario della consegna dello stupefacente da parte di NOME COGNOME Peraltro, in fase cautelare la misura disposta a carico del ricorrente era stata revocata proprio in considerazione dell’accertata non riconducibilità al ricorrente della voce dell’interlocutore che dialogava con il fornitore dello stupefacente.
4.2. Con il secondo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del concorso del ricorrente nell’acquisto di stupefacente da parte del fratello NOME. Posto che dalle intercettazioni emergeva che il valore complessivo dello stupefacente fornito da NOME COGNOME a NOME COGNOME era pari ad €4.500 e che il ricorrente aveva dato al fratello la somma di €800,00, siccchè, poteva al più desumersi che il ricorrente avesse aiutato il fratello ad acquistare un quantitativo inferiore al totale e pari a quello da destinare al proprio consumo personale.
4.3. Con il terzo motivo, contesta l’avvenuto riconoscimento della recidiva, in difetto di idonea motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono infondati.
I ricorsi proposti nell’interesse di Ostuni e COGNOME sono volti a contestare la ricostruzione in fatto cui sono concordemente pervenuti i giudici di merito.
Invero, la sentenza impugnata fornisce un’esposizione ragionata delle intercettazioni sulle quali si fonda, in maniera preponderante, l’accertamento dell’esistenza dell’associazione, sottolineando la stabilità del rapporto tra i vari compartecipi e l’inserimento delle condotte in un’attività, stabile e svolta professionalmente, volta alla ricettazione e riciclaggio di autovetture provento di furto, i cui componenti venivano successivamente reinnmessi sul mercato dei pezzi di ricambio.
Si sostiene che le prove non consentirebbero di ritenere sussistente un accordo volto alla commissione di una serie indeterminata di reati, bensì emergerebbe al più il concorso in condotte delittuose scisse tra di loro e non rientranti in un programma unitario.
La tesi non può essere recepita e, peraltro, sottopone al giudice di legittimità una non consentita rilettura nel merito delle intercettazioni.
Né vi sono elementi, in punto di diritto, che possano condurre ad una qualificazione della condotta in termini di concorso nelle singole ipotesi di reati fine, piuttosto che di partecipazione alla contestata associazione per delinquere. Invero, la sentenza dà atto dell’esistenza di una struttura organizzativa, collaudata e basata sulla ripartizione di ruoli e funzioni, potenzialmente idonea alla commissione di una pluralità di reati. Si tratta di elementi tutti compatibili con l’ipotesi associativa e non già con il concorso di persone, dal quale si distingue proprio in considerazione dell’esistenza dell’organizzazione stabile e non limitata al compimento di singoli reati (si veda pg.38 e seg. sentenza appello).
2.1. In relazione alla dedotta insussistenza della recidiva e al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, deve rilevarsi l’inammissibilità del motivo proposto da entrambi gli imputati.
La censura, infatti, è formulata in modo generico, omettendo di considerare che la Corte di appello, richiamando anche la sentenza di primo grado, ha sottolineato come i reati per i quali è stata confermata la condanna sono dimostrativi di una particolare propensione a delinquere, desunta dal confronto con i precedenti penali di cui i ricorrenti sono gravati,
In relazione al mancato riconoscimento delle generiche, invece, è sufficiente sottolineare come, a fronte di una motivazione volta a sottolineare la particolare capacità criminale, non è stato indicato alcun elemento effettivamente idoneo a far ritenere la minore offensività della condotta.
2.2. È infondato anche l’ulteriore motivo comune, concernente la mancanza di motivazione relativa all’omesso accoglimento del concordato in appello.
Invero, gli stessi ricorrenti riconoscono che il Procuratore generale non aveva prestato il proprio necessario consenso, il che impediva alla Corte di appello di accogliere la richiesta, non occorrendo alcuna specifica motivazione.
Il diniego del consenso, rientrando nelle valutazioni discrezionali della parte pubblica, non richiede alcun ulteriore vaglio da parte del giudice di appello, tanto più che non è previsto, come per il patteggiamento, una forma di controllo postumo da parte del giudice in ordine alla legittimità del diniego.
2.3. Il motivo di ricorso formulato dal solo COGNOME, relativo al vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di riciclaggio, è manifestamente infondato.
Il ricorrente sostiene che la sua responsabilità sarebbe stata desunta dal solo fatto che, presso il locale di cui era intestatario, erano stati rinvenuti prezzi autovetture provento di furto.
La Corte di appello ha reso una motivazione esaustiva sul punto, sottolineando come la responsabilità dell’imputato derivava dalla sua sistematica partecipazione all’attività associativa che, per l’appunto, prevedeva proprio lo smontaggio e il recupero dei pezzi di ricambio che, una volta separati dall’autovettura, non erano più individuabili come provento di furto.
La motivazione resa sul punto è immune da vizi di manifesta illogicità o contraddittorietà e, quindi, non è sindacabile in sede di legittimità.
3. Il ricorso proposto da NOME COGNOME è infondato.
Il primo motivo concerne il reato di ricettazione (capo 37) ed è volto a sostenere che la responsabilità dell’imputato sarebbe stata desunta dal mero dato formale dell’essere lo stesso il legale rappresentante e socio di maggioranza della RAGIONE_SOCIALE, società utilizzata per la commissione dei reati oggetto del programma criminoso del sodalizio.
Sottolinea il ricorrente la sua estraneità all’associazione, tant’è che nei suoi confronti non veniva proposta l’imputazione per il reato ex art. 416 cod. pen., il che osterebbe a ritenere la responsabilità per uno dei reati fine.
La tesi difensiva è versata in fatto e non si confronta con la motivazione resa dai giudici di merito che, pur riconoscendo che l’attività era prevalentemente svolta dal fratello, non affermano affatto l’estraneità dell’imputato alla stessa.
La Corte di appello, inoltre, ha sottolineato come le modalità di acquisizione delle autovetture e di parti di esse erano tali da far ritenere sussistente quanto meno il dolo eventuale del reato di ricettazione.
Rispetto a tali elementi, il ricorrente sollecita una non consentita rivalutazione nel merito del compendio probatorio.
3.1. Parimenti infondato sono il secondo e terzo motivo formulati in relazione al reato di falso (capo 38).
La tesi difensiva si limita a prospettare una prassi secondo cui l’attestazione dell’avvenuta demolizione, in mancanza dell’annotazione della data, indicava la sola destinazione alla rottamazione.
Si tratta di una impostazione che non supera il dato oggettivo verificato dai giudici di merito e, cioè, che l’imputato attestava un fatto come avvenuto (la rottamazione), quanto i veicoli si trovavano ancora presso la propria azienda.
L’eventuale sussistenza di una prassi fondata sull’attestazione della rottamazione nel momento in cui l’autovettura veniva acquisita a tali fini non può condurre all’esclusione del reato, neppure sotto il profilo dell’elemento soggettivo, costituito dalla consapevolezza della diversità tra quanto attestato e la realtà fattuale.
3.2. Il quarto motivo, concernente la gestione illecita di rifiuti è infondato.
Il ricorrente si limita a sostenere di essere in possesso dell’autorizzazione perla gestione dei rifiuti, omettendo di considerare che tale titolo abilativo riguardava un’area diversa da quella in cui sono state rinvenute le autovetture da rottamare (pg.69).
I primi due motivi di ricorso proposti nell’interesse di NOME COGNOME sono infondati.
Il ricorrente contesta la ricostruzione in fatto operata sulla base dell’intercettazione dalla quale emergerebbe il suo coinvolgimento negli accordi preliminari alla cessione di stupefacente.
In particolare, si assume che un passaggio dell’interlocuzione (nella quale si concorda l’orario e la richiesta di “un regalino”) sarebbe stata pronunciata non dal ricorrente, bensì dal fratello NOME
Le doglianze difensive non superano la prova di resistenza, posto che a fronte del denunciato vizio, il ricorrente si sarebbe dovuto confrontare con la complessiva motivazione posta a fondamento della sentenza di condanna. In particolare, non si contesta l’attribuzione al ricorrente della precedente frase in cui indica al fornitore il luogo della consegna, tanto meno si confuta la complessiva ricostruzione in fatto dalla quale risulta l’interessamento e la contribuzione in denaro all’acquisto di stupefacente (si veda, a tal proposito, pg.237 primo grado).
La tesi secondo cui l’imputato avrebbe contribuito economicamente all’acquisto di droga per l’uso personale da parte del fratello è una mera ipotesi alternativa, peraltro sconfessata dalla circostanza che, nei confronti del fratello dell’imputato, è stata confermata la condanna per la detenzione a fini di spaccio.
4.1. Parimenti infondato è il terzo motivo di ricorso, relativo alla carenza di motivazione in ordine alla riconosciuta recidiva. Dalla congiunta lettura della sentenza di appello e di quella di primo grado (in particolare pg.340), emerge che i requisiti per la valutazione della recidiva sono stati espressamente considerati.
Peraltro, il motivo formulato in appello con riguardo al riconoscimento della recidiva era di per sé generico, il che esonerava il giudice di secondo grado dal rendere una compiuta motivazione sul punto.
Alla luce di tali considerazioni, i ricorsi devono essere rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
PQM
resider
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 28 novembre 2024
Il Consigliere estensore