Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 35351 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 35351 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 27/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMENOME nato a Cassano allo Jonio (INDIRIZZO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 19/02/2024 del Tribunale della Libertà di Napoli udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO COGNOME letta la memoria di replica del difensore, AVV_NOTAIO,
RITENUTO IN FATTO
1. Con la ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale del Riesame di Napoli ha confermato la misura degli arresti domiciliari, applicata dal GIP del Tribunale di
Napoli il 30.01.2024, nei confronti di COGNOME NOME per i reati di cui agli art 416 comma 1, 2 e 3 cod. pen., 615-ter, comma 1, 2 e 3, cod. pen., 497-bis, comma 1 e 2 640 ter cod. pen., 640 ter cod. pen. e 624 e 625 comma 1 n. 4 cod. pen., con l’esclusione dell’aggravante di cui al terzo comma dell’art. 615 ter cod. pen. e previa riqualificazione dei fatti contestati ex art. 640 ter cod. pen. in corrispondenti delitti ex art. 640 commi 1 e 2 cod. pen.
Contro l’anzidetta ordinanza, NOME COGNOME propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, affidato a due motivi.
2.1 Il primo motivo lamenta violazione dell’art 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. per mancanza o contraddittorietà della motivazione sotto vari aspetti ed erronea interpretazione di legge deducendo la erroneità della qualificazione della sua partecipazione al reato di cui al capo n 1), piuttosto che come concorso nei singoli reati fine.
2.2 II secondo motivo di ricorso deduce errata interpretazione dell’art. 274 cod. proc. pen. e contraddittorietà della motivazione in punto di ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari.
2.3 Con la memoria di replica, il difensore di COGNOME deduce che il Tribunale del Riesame non avrebbe tenuto conto della comunicazione da parte di poste RAGIONE_SOCIALE della sospensione dal servizio del COGNOME quale fondamento del diniego della revoca della misura cautelare applicata.
Il ricorso è stato trattato, ai sensi dell”art.23, commi 8 e 9, dl. n. 137 del 2020, senza l’intervento delle parti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME
Il ricorso è infondato.
2.1 II primo motivo di ricorso che lamenta violazione dell’art 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen. per mancanza o contraddittorietà della motivazione ed erronea interpretazione di legge deducendo la erroneità della qualificazione della sua partecipazione al reato di cui al capo n 1), piuttosto che come concorso nei singoli reati fine, è infondato.
Il motivo fonda la critica sulla mancata conoscenza tra il COGNOME e gli NOME associati e sulla mancanza di un accordo diretto all’attuazione di un più ampio programma criminoso. Il primo aspetto è irrilevante.
Il ricorso si limita a reiterare deduzioni già formulate dinanzi al Tribunale del riesame e da questo valutate con motivazione precisa, puntuale, corretta ed immune da vizi logico-giuridici. In particolare, il COGNOME avanza critiche che, oltre ad opporsi, con argomentazioni di merito, alla conclusione del Tribunale, si presentano aspecifiche rispetto al ragionamento giustificativo che la sorregge e che si snodano secondo un metodo valutativo non consentito, nella misura in cui isolano, parcellizzandoli, gli elementi indiziari valorizzati sinergicamente dai Giudici della cautela. Costituisce, infatti, principio di diritto consolidato che, ai f della configurabilità dei gravi indizi di colpevolezza necessari per l’applicazione di misure cautelari personali, è illegittima una valutazione frazionata ed atomistica dei singoli dati acquisiti, dovendo invece seguire, alla verifica della gravità e precisione dei singoli elementi indiziari, il loro esame globale ed unitario, che ne chiarisca l’effettiva portata dimostrativa del fatto e la congruenza rispetto al tema di indagine (tra tante, Sez. F, n. 38881 del 30/07/2015, COGNOME, Rv. 264515; in tema di prova indiziaria, Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231678). È appena il caso di rilevare che lo stesso Tribunale aveva censurato la erronea valutazione prospettica della linea difensiva contenuta anche nella memoria prodotta in sede di riesame. Quanto poi al significato indiziario degli elementi indiziari, è principio pacifico che in sede di legittimità anche nella materia cautelare è consentita la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828; tra le tante conformi, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Quel che è sufficiente evidenziare è che l’ordinanza indiziaria, nella valutazione dei gravi indizi con riferimento alla partecipazione del ricorrente ai reati contestati, non presenta alcun vizio censurabile in questa sede, avendo reso il Tribunale una motivazione adeguata, coerente alle evidenze esposte, priva di manifeste illogicità o errori di diritto. Il Tribunale non si è limitat basare la piattaforma indiziaria della partecipazione del ricorrente al sodalizio sui soli reati-fine commessi (che pur manifestavano un estremo attivismo del COGNOME nelle frodi), ma ha valorizzato tutta una serie di elementi indiziari convergenti nella dimostrazione che non solo tale attività fosse riconducibile al
sodalizio, ma che lo stesso ricorrente si rapportasse direttamente con il capo del sodalizio criminoso, NOME COGNOME.
Il Tribunale ha dato atto delle ragioni per cui sono state ritenuti sussistenti i gravi indizi di colpevolezza per il delitto associativo che il ricorrente si limita contestare.
Tali censure risultano infondate, già solo se si considera che sono ben 92 i reati – fine commessi dagli associati, nell’ambito di 22 distinti episodi di frode commessi dall’aprile 2019 al novembre 2020.
In presenza di una condotta criminosa così pervicace, l’onere motivazionale espresso in capo al Tribunale del riesame sarebbe stato davvero minimo, essendo in re ipsa che una simile impresa delittuosa richiedesse un’organizzazione stabile e, al contempo, che era materialmente impossibile per gli associati, prevedere in anticipo tutti i singoli delitti che sarebbero andati compiere.
Ed invece il Tribunale si fa carico di ampia e approfondita motivazione in ordine alla sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’associazione per delinquere.
L’ordinanza ben chiarisce che la esistenza e la partecipazione ad un’associazione a delinquere non necessita di un accordo specifico e formale, essendo sufficiente un’organizzazione strutturale anche rudimentale e minima di uomini e mezzi, per il compimento di una serie indeterminata di reati con la consapevolezza da parte dei singoli associati di far parte di un sodalizio durevole e di essere disponibili ad operare nel tempo per l’attuazione del programma criminoso comune. La partecipazione all’associazione è data dalla conoscenza di un generico programma associativo e di un ruolo da svolgere per la realizzazione del programma.
L’esistenza del vincolo può desumersi anche da facta concludentia, quali la continuità, la frequenza dei rapporti tra i soggetti, l’interdipendenza della loro condotte, la predisposizione di mezzi e la stessa efficienza dell’organizzazione.
L’ordinanza impugnata ha ritenuto l’esistenza e l’operatività di una associazione a delinquere capeggiata da NOME COGNOME, con ruoli ed apporti ben delineati in riferimento agli NOME sodali, finalizzata alla commissione di un numero indeterminato di delitti di truffa della medesima specie in danno dei titolari di polizze vita di RAGIONE_SOCIALE, muovendo dal procacciamento (accessi abusivi a sistemi informatici) dei dati di plurime vittime, attraverso sodali (c.d. insiders) interni a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, fra cui il ricorrent utilizzando tali dati e, predisponendo documentazione contraffatta necessaria per avanzare le richieste di liquidazione dei prodotti finanziari aggrediti nonché adoperando, unitamente ai dipendenti infedeli di RAGIONE_SOCIALE, strategie
ed accorgimenti volti ad aggirare le segnalazioni sospette ovvero le restrizioni alle politiche di sicurezza diramate dalla società ed ancora costituendo rapporti finanziari (conti correnti, carte prepagate), anche all’estero, in capo ad occasionali intestatari (prestanome o money mules) sui quali far confluire il prodotto delle frodi, riscuoteva abusivamente polizze all’insaputa dei legittimi titolari, per poi suddividere e smistare il denaro ricavato su NOME rapporti finanziari ad essa riconducibili.
Tale motivazione risulta immune da vizi logici e giuridici, dovendosi concordare sul fatto che la gestione di un numero così elevato di polizze vita della società RAGIONE_SOCIALE non può essere ricondotta ad una partecipazione “occasionale” ai singoli fatti delittuosi, non potendo non essere ben presente, nella rappresentazione del COGNOME, uno dei dipendenti postali, come peraltro emerge sia dalla chiamata in correità del COGNOME che dalle ammissioni rese dal ricorrente, di fornire un contributo essenziale al sodalizio criminoso che operava come una struttura organizzata per porre in essere frodi nei confronti di titolari di polizze vita di RAGIONE_SOCIALE
Immune da vizi è l’affermazione del Tribunale circa la stabilità del vincolo associativo, trascendente la commissione dei singoli reati – fine, l’indeterminatezza del programma criminoso, costituita da una pluralità di soggetti che ponevano in via continuativa a disposizione degli obiettivi del sodalizio il proprio operato con una perfetta ed articolata organizzazione di mezzi e risorse e con la previsione e suddivisione dei compiti, con il coordinamento, reclutamento e guida di NOME COGNOME che dava disposizioni, rassicurava, sollecitava, curando sapientemente la regia dell’intera attività truffaldina, per poi spartire gli utili secondo le percentuali confessate dal COGNOME.
Non è necessario, anzi, nei casi più gravi è la regola, che si conoscano le identità di tutti gli NOME associati. Esattamente ciò che è avvenuto nel caso di specie in cui i singoli associati sono stati reclutati da NOME COGNOME COGNOME ragione delle competenze e del ruolo che erano in grado di svolgere, alcuni addetti a fornire le informazioni indispensabili dagli Uffici Postali, altr predisponevano falsi documenti per poi aprire conti correnti falsamente intestati, NOME prestavano la loro immagine per le falsificazioni, NOME si recavano presso gli uffici postali o le banche per le attività materiali di sportello all’uopo necessarie.
Il ruolo del ricorrente, di organizzatore, che curava in autonomia il coordinamento e l’impiego delle strutture e delle risorse associative nonché di reperire i mezzi necessari alla realizzazione del programma criminoso, ponendo in essere un’attività essenziale ed infungibile, è stato adeguatamente ponderato dal Tribunale.
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A riprova della gravità indiziaria della stabile compartecipazione del ricorrente al sodalizio criminoso, il Tribunale evidenzia in modo analitico numerosi passaggi delle sue stesse dichiarazioni, rese nel corso delle indagini, nonché le dichiarazioni di chiamata in correità del COGNOME di tutti i dipendenti di RAGIONE_SOCIALE, i ruoli dei complici, la ripartizione degli introi confermando che i “postali” avevano una parte cospicua, pari al 20%, l’esito degli accertamenti telematici, dei tabulati telefonici, il contenuto dei messaggi whatsapp e gli screenshots di consultazioni delle posizioni assicurative, dalle quali emerge la partecipazione alle attività illecite del ricorrente in misura ancora maggiore di quella ammessa dallo stesso, da cui si ricava la continuità del rapporto riconducibile non già al concorso nella commissione occasionale di reati, come invece sostiene il ricorrente, bensì ad un apporto stabile e durevole al sodalizio.
Venendo, infine, alla questione più generale dell’esistenza dell’associazione per delinquere, censurata dal ricorrente con particolare riferimento all’elemento soggettivo, si deve richiamare il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, in presenza di un accordo tra più soggetti di realizzare uno o più reati il discrimine tra la fattispecie plurisoggettiva di tipo associativo e quella meramente concorsuale risiede nella necessaria consapevolezza, in capo agli associati, dell’esistenza di una struttura permanente finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di delitti (Sez. 6, n. 7957 del 05/12/2003 – COGNOME ed NOME, Rv. 228482); laddove il semplice concorso di persone nel reato consta di un accordo funzionale alla realizzazione di uno o più reati, consumati i quali lo stesso si esaurisce o si dissolve (Sez. 6, n. 9320 del 12/05/1995 – COGNOME, Rv. 202036).
Uniformandosi ai principi di questa Corte, l’ordinanza impugnata individua l’elemento distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e il concorso di persone nel reato continuato, nel carattere dell’accordo criminoso, che nel concorso si concretizza in via meramente occasionale, accidentale e limitato, essendo diretto alla commissione di uno o più reati – anche nell’ambito di un medesimo disegno criminoso – con la realizzazione dei quali si esaurisce l’accordo e cessa ogni motivo di allarme sociale, mentre nel reato associativo risulta diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo stabile tra i partecipanti, anche indipendentemente e al di fuori dell’effettiva commissione dei singoli reati programmati, elementi che possono essere provati anche attraverso la valutazione dei reati – scopo, ove indicativi di un’organizzazione stabile e autonoma, nonché di una capacità progettuale che si aggiunge e persiste oltre la consumazione dei medesimi,
quando valga ad inquadrarli nelle finalità o nel modus dell’associazione (Sez. 2, Sentenza n. 22906 del 08/03/2023, Rv. 284724 – 01 Sez. 5; Sentenza n. 1964 del 07/12/2018, Rv. 274442 – 01).
In particolare, il COGNOME, quale dipendente di RAGIONE_SOCIALE, forniva un contributo essenziale al sodalizio, consistente nel reperire tutte le informazioni e/o le documentazioni indispensabili per individuare le posizioni previdenziali da aggredire, accedendo alle posizioni dei clienti, monitorando le pratiche dall’interno, sovraintendendo a tutte le tecniche di dissimulazione della frode, per fornire ai sodali dati, suggerimenti e indicazioni necessari nel corso dell’iter criminoso, trasmettendo al COGNOME le informazioni sull’aggiornamento delle relative liquidazioni delle polizze al fine di realizzare le truffe. La genericità del programma criminoso, evidente nella narrazione dello stesso COGNOME, è esattamente ciò che distingue l’adesione all’associazione rispetto al concorso nei reati – fine.
Va dunque ribadito, con riferimento alla censura in esame, che la particolare organizzazione della struttura associativa e la continuità e l’intensa frequenza della commissione delle frodi in danno di titolari di polizze vita non potevano lasciare alcun dubbio, in capo all’indagato, circa la consapevolezza del proprio fattivo apporto al perseguimento dei fini illeciti del sodalizio in un rapporto di stabile collaborazione tra i vari componenti. Anche sotto questo profilo, pertanto, l’ordinanza impugnata si sottrae alle censure rappresentate dal ricorrente.
2.2 Il secondo motivo di ricorso che deduce errata interpretazione dell’art. 274 cod. proc. pen. e contraddittorietà della motivazione in punto di ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, è inammissibile e generico.
Va osservato che in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza e di esigenze cautelari consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze ed esigenze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, Sentenza n. 27866 del 17/06/2019 Rv. 276976 – 01).
In tema di ricorso per cassazione, il controllo di legittimità, anche nel giudizio cautelare personale, non comprende il potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi,
né quello di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, trattandosi di apprezzamenti rientranti nelle valutazioni del Gip e del tribunale del riesame, essendo, invece, circoscritto all’esame dell’atto impugnato al fine di verificare la sussistenza dell’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, Sentenza n. 9212 del 02/02/2017 Rv. 269438 – 01).
Tanto premesso, la motivazione non presenta nessuno dei suddetti vizi. Giova qui mettere inevidenza che l’ordinanza del Tribunale sul punto costituisce conferma di quella cautelare del GIP e, trattandosi di cd “doppia conforme”, il ricorrente avrebbe avuto l’onere di confrontarsi anche con la motivazione resa al riguardo nel primo provvedimento.
In ogni caso, deve considerarsi che l’ordinanza impugnata espressamente richiama la motivazione, conforme sul punto, del GIP, che ha arricchito di considerazioni tutt’altro che illogiche o contraddittorie, valorizzando la pericolosità delle condotte tenute che denotavano una complessa organizzazione, una capacità di penetrazione in sistemi difensivi ed un’alta offensività, per il numero di reati commessi e per la dannosità degli stessi, perché il risultato delle truffe giungeva a vanificare le aspettative previdenziali, ovvero relative alla fase più delicata e debole della vita, delle vittime.
I giudici, infatti, hanno richiamato il comportamento in concreto tenuto dall’indagato e la sua particolare personalità per sostenere il pericolo di reiterazione della condotta e l’adeguatezza del regime cautelare disposto, adottando una motivazione non suscettibile di censura in questa sede.
Il Tribunale ha anche adeguatamente valorizzato la circostanza che dagli atti di indagine a sorpresa erano emersi numerosi elementi quali le modalità delle condotte tenute, la professionalità dimostrata dagli associati, la meticolosità dell’organizzazione con cui si operava, la temibile ampiezza del fenomeno criminoso intercettato riuscendo a raggiungere ed impiegare informazioni riservate all’interno di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che consentivano, mediante ulteriori professionalità delinquenziali, di utilizzare tecniche di frode di assoluto allarme sociale, del numero di soggetti coinvolti (soggetti intranei alle RAGIONE_SOCIALE, solo in parte emersi, falsificatori professionali di documenti, una rete di soggetti pronti a prestare la loro identità per le contraffazioni, ulteriori complici che si presentavano agli sportelli per apertura dei conti o per le riscossioni) di una conoscenza analitica delle modalità di gestione dei prodotti finanziari, di mezzi e strumenti e deputati alle frodi (schede, sim, cellulari), di sapienti abilità informatiche (accessi agli account, fittizie mail o pec, ingressi al portale poste.it ), evidenziando un quadro di tale capacità criminale desumibile anche dalla
spregiudicatezza nella ricerca del denaro, ai danni di persone anziane e/o indifese, da essere di conclamato pericolo, a fronte di incassi per centinaia di migliaia di euro, che inducevano a ritenere che l’attività, anche se i fatti accertati erano risalenti nel tempo, era destinata ad ulteriormente protrarsi ritenendo indispensabile recidere con un minimo di efficacia relazioni associative potenzialmente in corso e/o riattivabili così da impedire nuove collusioni truffaldine nelle quali l’indagato potesse ancora sfruttare il suo know How nella tipologia di frodi già sapientemente condotte e proseguire modificando e/o migliorando le tecniche di aggressione patrimoniale.
Il Tribunale ha inoltre valorizzato la pericolosità sociale della condotta nella particolare insidiosità delle truffe considerato che il titolare della polizza, una volta riscossa in suo danno, poteva accorgersi dell’illecito solo dopo decenni dall’incasso (a reati ampiamente prescritti), una volta recatosi alle RAGIONE_SOCIALE per la vera riscossione.
Il Tribunale desumeva, inoltre, ulteriori indici della reiterazione della condotta dalla circostanza dalle risultanze acquisite in sede di esecuzione della misura nei confronti del COGNOME e di NOME COGNOME, contatti e messaggi whattsapp del telefono cellulare del COGNOME, dati e documenti identificativi di ulteriori vittime, che mostravano la prosecuzione dell’attività illecita nelle frodi de quibus da parte del sodalizio criminoso sino al 29 gennaio 2024 e che il COGNOME era ancora in contatto con ambienti delle RAGIONE_SOCIALE e che gli associati continuavano a monitorare nuove vittime alle RAGIONE_SOCIALE.
D’altra parte, l’orientamento richiamato dal ricorrente, secondo il quale invece quanto più distante è l’arco temporale che intercorre tra la commissione dei reati e l’applicazione della cautela, tanto più andrà valorizzato il parametro della gravità della condotta per sostenere la permanenza del pericolo cautelare inteso come sua attualità, si riferisce a situazioni in cui lo iato temporale tra il reato e l’emissione dell’ordinanza cautelare era ben più ampio rispetto a quello che interessa il ricorrente (25 anni nel caso esaminato da Sez. 5, n. 31614 del 13/10/2020, COGNOME, Rv. 279720 – 01; 5 anni nella decisione della Terza Sezione, n. 6284 del 16/01/2019, COGNOME, Rv. 274861 – 01; 7 anni nella fattispecie oggetto di Sez. 6, n. 25517 del 11/05/2017, COGNOME, Rv. 270342 – 01).
In tema di misure coercitive, l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari non deve essere concettualmente confusa con l’attualità e la concretezza delle condotte criminose, onde il pericolo di reiterazione di cui all’art. 274, comma primo, lett. c) cod. proc. pen., può essere legittimamente desunto dalle modalità delle condotte contestate, anche nel caso in cui esse siano risalenti nel tempo, ove persistano atteggiamenti sintomaticamente proclivi al delitto e collegamenti con l’ambiente in cui il fatto illecito contestato è maturato.
(Conf. Sez. 2, sent. n. 9500 del 2016; Sez. 2, Sentenza n. 9501 del 23/02/2016, Rv. 267785 – 01).
Anche la scelta della misura domestica è, correttamente, giustificata, non potendo immaginarsi l’efficacia special preventiva di misure non detentive al fine di recidere con un minimo di efficacia relazioni associative potenzialmente in corso e/o riattivabili, così da impedire nuove collusioni truffaldine nelle quali l’indagato potesse sfruttare il suo Know How nella tipologia delle frodi condotte anche indipendentemente dall’avvenuta sospensione dal servizio del ricorrente.
In ogni caso, deve considerarsi che l’ordinanza impugnata espressamente richiama la motivazione, conforme sul punto, del GIP, che ha arricchito di considerazioni tutt’altro che illogiche o contraddittorie, valorizzando la pericolosità delle condotte tenute che denotavano una complessa organizzazione, una capacità di penetrazione in sistemi difensivi ed un’alta offensività, per numero di reati commessi e per la dannosità degli stessi, perché il risultato delle truffe giungeva a vanificare le aspettative previdenziali, ovvero relative alla fase più delicata e debole della vita, delle vittime.
Per quanto concerne la deduzione che il Tribunale, in punto di diniego della revoca della misura cautelare applicata, non avrebbe tenuto conto della comunicazione da parte di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE della sospensione dal servizio del COGNOME è generica ed a specifica.
La doglianza non si confronta, con la necessaria specificità, con le puntuali argomentazioni dell’ordinanza impugnata in punto di ritenuta persistenza delle esigenze cautelari e non adempie l’onere di esporre le ragioni in base alle quali la mancanza di valutazione della circostanza avrebbe avuto una incidenza sulle determinazioni cautelari, sì che, ove essa fosse stata compiuta, il risultato sarebbe stato diverso. La nullità che la legge pone a presidio del corretto adempimento del dovere di valutazione critica non può essere infatti relegata in una dimensione squisitamente formalistica, e non può quindi essere dedotta facendo leva esclusivamente sulla rilevazione di particolari tecniche di redazione che al più possono valere quali indici sintomatici ma non sono esse stesse ragioni del vizio. La parte interessata deve invece indicare gli aspetti della motivazione in relazione ai quali l’asserita accettazione acritica avrebbe impedito apprezzamenti di segno contrario e di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate. La previsione del dovere di autonoma valutazione, con la sanzione di nullità per il caso di mancata osservanza, mira infatti ad evitare il rischio – e a reprimere i comportamenti violativi comunque posti in essere – che l’assenza di una considerazione critica della richiesta del pubblico ministero esponga il bene della libertà personale ad aggressioni ingiustificate, impedendo peraltro al giudice dell’impugnazione cautelare di porvi
(
successivamente rimedio con lo svolgimento, per la prima volta in quella sede, del necessario esame critico.
Occorre allora, pena la genericità della doglianza, che sia delineata la rilevanza causale dell’omissione che si denuncia. Ciò non è stato fatto nel caso in esame, sicché si rileva la genericità del motivo (Sez. 1, Sentenza n. 46447 del 16/10/2019, Rv. 277496 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 333 del 28/11/2018, Rv. 274760 – 01).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 27/06/2024.