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Associazione a delinquere: inammissibile il ricorso

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto contro l’ordinanza che applicava la custodia cautelare in carcere per reati di spaccio e associazione a delinquere. La Corte ha confermato la valutazione del Tribunale sulla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, basati sul ruolo stabile e non occasionale dell’indagato all’interno del sodalizio criminale a base familiare, e ha ritenuto le censure del ricorrente generiche e basate su questioni di fatto non riesaminabili in sede di legittimità.

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Pubblicato il 13 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione a delinquere: quando il ruolo è stabile e non occasionale

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, offre un’importante analisi sui criteri per determinare la partecipazione a un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro l’applicazione della custodia cautelare in carcere, ribadendo la solidità del quadro indiziario che delineava un suo ruolo attivo e continuativo all’interno di un’organizzazione criminale a base familiare.

I Fatti del Caso

Il procedimento trae origine da un’ordinanza del Tribunale di Catania che, in sede di appello cautelare proposto dal Pubblico Ministero, applicava la massima misura custodiale a un soggetto per i reati di cui agli artt. 73 e 74 del d.P.R. 309/90 (traffico di droga e associazione finalizzata a tale scopo). La difesa dell’indagato ha proposto ricorso per cassazione, contestando la decisione su due fronti principali.

I Motivi del Ricorso

Il ricorrente sosteneva, in primo luogo, la carenza e l’illogicità della motivazione riguardo alla sua partecipazione all’associazione a delinquere. A suo dire, il suo coinvolgimento si limitava a un singolo episodio, già giudicato con sentenza passata in giudicato, e i suoi contatti erano esclusivamente con il fratello, uno dei vertici del sodalizio. Il modus operandi condiviso non sarebbe stato, secondo la difesa, un indice di partecipazione stabile, ma una mera prassi funzionale alla riuscita di singole operazioni.

In secondo luogo, veniva lamentata la violazione degli artt. 274 e 275 c.p.p., per mancanza di motivazione sulla sussistenza delle esigenze cautelari e sull’adeguatezza della misura. La difesa evidenziava il notevole tempo trascorso dai fatti e lo smantellamento dell’organizzazione, sostenendo che tali elementi avrebbero dovuto portare a una valutazione diversa.

L’Analisi della Corte: la Gravità Indiziaria nell’Associazione a Delinquere

La Cassazione ha rigettato le argomentazioni difensive, ritenendole generiche e orientate a una rivalutazione dei fatti, inammissibile in sede di legittimità. La Corte ha confermato la correttezza del ragionamento del Tribunale, che aveva individuato con precisione il ruolo del ricorrente. Egli non era un partecipante occasionale, ma un elemento di congiunzione tra i vertici dell’organizzazione e la base operativa. Svolgeva compiti cruciali come corriere, vedetta e intermediario con gli acquirenti. Le prove a sostegno di questa tesi erano solide: captazioni telefoniche (che rivelavano ordini, anche impliciti, tramite codici come squilli telefonici), immagini di videosorveglianza della piazza di spaccio e, infine, il suo arresto in flagranza con un ingente quantitativo di stupefacenti. Fondamentale, inoltre, la constatazione che l’attività illecita era proseguita anche durante il periodo in cui l’indagato era sottoposto agli arresti domiciliari per un’altra causa.

Le Esigenze Cautelari e la Scelta della Massima Misura

Anche il secondo motivo di ricorso è stato giudicato manifestamente infondato. Il Tribunale aveva correttamente ponderato la gravità dei fatti, la spregiudicatezza del ricorrente, i suoi precedenti specifici e, soprattutto, la prosecuzione dell’attività criminosa nonostante il regime domiciliare. Quest’ultimo elemento, in particolare, dimostrava l’inadeguatezza di qualsiasi misura meno afflittiva del carcere per contenere la sua pericolosità sociale. La Corte ha precisato che la precedente concessione della detenzione domiciliare era legata a una pena residua inferiore ai due anni e non poteva inficiare la valutazione sulle attuali esigenze cautelari.

Le Motivazioni

La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile perché le censure mosse dalla difesa erano generiche e si limitavano a proporre una lettura alternativa dei fatti, senza evidenziare vizi logici o giuridici nell’ordinanza impugnata. La motivazione del Tribunale è stata ritenuta completa e coerente nel delineare sia la gravità indiziaria a carico del ricorrente per la sua stabile partecipazione all’associazione, sia le concrete e attuali esigenze cautelari che giustificavano la misura della custodia in carcere. L’analisi del giudice di merito è risultata fondata su elementi probatori specifici e non su mere congetture.

Le Conclusioni

La sentenza riafferma un principio cardine in materia di misure cautelari per i reati associativi: la distinzione tra coinvolgimento occasionale e partecipazione stabile si basa su una valutazione complessiva di elementi concreti, come la natura dei compiti svolti, la frequenza dei contatti e la continuità del comportamento illecito. La perseveranza nell’attività criminale, anche in costanza di misure restrittive meno severe, costituisce un indice di elevata pericolosità sociale che legittima pienamente l’applicazione della massima misura custodiale.

Come si distingue la partecipazione stabile a un’associazione criminale da un coinvolgimento occasionale?
Secondo la sentenza, la partecipazione stabile è provata non da un singolo episodio, ma da un insieme di elementi concreti come lo svolgimento di ruoli definiti (corriere, vedetta), la ricezione di ordini dai vertici, l’uso di codici di comunicazione e la continuità dell’attività illecita nel tempo.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché le argomentazioni della difesa erano generiche e si limitavano a proporre una diversa interpretazione dei fatti, senza individuare specifici vizi di legge o di logica nella motivazione del provvedimento impugnato, compito che esula dalle competenze della Corte di Cassazione.

La prosecuzione dell’attività illecita durante gli arresti domiciliari è rilevante per la scelta della misura cautelare?
Sì, la sentenza sottolinea che la continuazione dell’attività criminale nonostante una misura restrittiva già in atto (come gli arresti domiciliari) è un elemento decisivo che dimostra l’elevata pericolosità del soggetto e l’inadeguatezza di misure meno afflittive della custodia in carcere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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