Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 44064 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 44064 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nata a Napoli il 08/07/1975
avverso la sentenza del 01/12/2023 della Corte d’appello di Napoli letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; lette la memoria di replica e le conclusioni del difensore avv. NOME COGNOME
COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il difensore di NOME COGNOME ha proposto ricorso avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Corte d’appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato in data 14 marzo 2022 dal GUP del Tribunale di Napoli, esclusa l’aggravante di cui al comma 3 dell’art. 615ter cod. pen., ha assolto l’imputata dai reati di cui ai capi B),C),D),E) ed F) perché il fatto non sussiste e, risolta la continuazione, ha rideterminato la pena per il reato di cui al capo A) in anni due di reclusione, riconosciute le attenuanti
generiche, operata la diminuente di rito e concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena.
La sentenza impugnata ha, quindi, confermato il giudizio di responsabilità dell’imputata per il reato associativo con ruolo di organizzatrice di un’associazione a delinquere, finalizzata alla sottrazione fraudolenta di somme di denaro da depositi bancari presso la Cariparma e la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza, cui l’esecutore aveva accesso utilizzando le chiavi di accesso al conto on line, procurate dalla COGNOME, dipendente della Cariparma, e, dopo aver effettuato una chiamata al numero verde tramite utenza, in precedenza clonata, della persona offesa otteneva l’autorizzazione al bonifico e successivamente trasferiva l’importo prelevato su una carta di credito emessa dalla Cariparma e assegnata ad un prestanome compiacente.
Se ne chiede l’annullamento per i motivi di seguito illustrati.
1.1. Con il primo motivo si eccepisce l’inutilizzabilità delle conversazioni intercettate per violazione degli artt. 266, 271, e 191 cod. proc. pen. e l’erronea valutazione delle prove nonché vizi della motivazione.
In GLYPH particolare, GLYPH si GLYPH eccepisce GLYPH l’inutilizzabilità GLYPH delle GLYPH risultanze GLYPH delle intercettazioni autorizzate con RIT 2730/2015 e RIT 568/2015, uniche fonti di prova a carico dell’imputata per il delitto di cui al capo A), poste a base del giudizio di responsabilità e riportate nella sentenza di primo grado, in quanto i decreti autorizzativi erano stati emessi nel proc. n. 30277/14 per l’accertamento dei reati di cui agli artt. 416, 110, 81 e 640 cod. pen. e in detto procedimento la COGNOME era indagata in qualità di partecipe dell’organizzazione. Con motivazione contraddittoria la Corte di appello ha dichiarato inutilizzabili i risultati de intercettazioni relativamente ai reati fine, ma non al reato associativo, nonostante l’imputata risultasse partecipe e non organizzatrice sin dalla fase delle indagini preliminari. Si precisa che, se i decreti autorizzativi nella fase iniziale erano legittimi, non essendo ancora specificati i ruoli dei singoli all’interno del sodalizio, il giudice avrebbe dovuto effettuare un controllo successivo in base al ruolo in seguito rivestito dall’indagata, che non ha mai avuto il ruolo di organizzatore con conseguente inutilizzabilità delle conversazioni intercettate perché non rispettano i limiti di ammissibilità ex art. 266 cod. proc. pen..
1.2. Con il secondo motivo si deducono la violazione dell’art. 416 cod. pen. e plurimi vizi della motivazione per insussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi integranti il reato associativo, ma solo una fattispecie concorsuale.
La motivazione è errata in quanto non vi è prova del pactum sceleris; i reati fine contestati sono solo tre e risultano commessi in un breve arco temporale, sicché l’accordo criminoso è occasionale e limitato ed è cessato con la commissione dell’ultimo reato; non vi è prova della permanenza dell’associazione
per la realizzazione di altri reati né di un accordo durevole tra la ricorrente e gli altri associati. L’affermata protrazione della operatività del gruppo oltre la commissione dell’ultima frode informatica si basa su elementi presuntivi, non oggetto di contestazione, quali l’utilizzo di uno skimmer e di strumenti di donazione, emergenti da conversazioni tra i sodali, che non coinvolgono la ricorrente; le conversazioni telefoniche dimostrano che i rapporti tra i sodali erano già conclusi a fine agosto 2015.
La motivazione sul dolo è viziata, mancando la prova di contatti tra la ricorrente e gli esecutori delle truffe informatiche; è assertiva nell’affermare che i rapporti con gli esecutori materiali erano tenuti dai sodali d’intesa con la COGNOME, non essendovi prova in tal senso né vi è prova circa il ruolo di procacciatrice dei codici di accesso al portale home banking delle vittime, non avendo ella mai dato informazioni tecniche a terzi. Neppure può ricavarsi la sussistenza del dolo dalla lettera di scuse redatta dall’imputata, che non ha mai ammesso l’addebito.
1.3. Con il terzo motivo si denunciano la violazione di legge e vizi della motivazione nonché il travisamento del fatto e della prova in relazione alla qualifica di organizzatrice attribuita all’imputata.
La Corte di appello ha omesso di considerare il ruolo di partecipe attribuito all’imputata dagli investigatori e la mancanza di prova del ruolo di coordinamento e di gestione autonomo ed essenziale per l’associazione, non risultando dalle conversazioni riportate nelle sentenze di merito che avesse fornito a terzi dati tecnici per clonare i profili home banking delle vittime delle truffe informatiche o che avesse messo a disposizione dei sodali le proprie competenze finanziarie. Non è, quindi, spiegato su quali elementi si fondi il ruolo di organizzatrice attribuito alla ricorrente,
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito illustrate.
1.1. È infondato il primo motivo, meramente reiterativo, al quale la Corte di appello ha fornito corretta risposta, escludendo l’inutilizzabilità dei risultati del intercettazioni autorizzate in relazione al reato associativo, per il quale sussistono i limiti di ammissibilità fissati dall’art. 266 cod. proc. pen. ed essendo irrilevante la mancata specificazione del ruolo svolto dall’indagato in una fase inziale e fluida come quella delle indagini preliminari.
E ciò in linea con il risalente orientamento di questa Corte, secondo il quale “qualora nel decreto autorizzativo delle intercettazioni sia ipotizzato il delitto d cui all’art. 416 cod. pen. che, tenuto conto dei limiti della pena edittale, consente le intercettazioni, il fatto che non sia precisato se si tratti del primo comma o del secondo dell’art. 416 cod. pen. non è rilevante, poiché, nella fase iniziale delle
indagini, quando la situazione non è del tutto chiara e vengono disposte intercettazioni proprio allo scopo di chiarire anche il ruolo che i vari indagati ricoprano nella associazione, la contestazione non può che avere un carattere per così dire “indistinto”, che ricopra, quindi, anche la ipotesi più grave dell’art 416 cod. pen., carattere che sarà superato proprio all’esito delle disposte intercettazioni (Sez. 5, n. 784 del 15/02/2000, COGNOME e altro, Rv. 215730; conforme Sez. 2, n. 685 del 20/11/2009, dep. 2010, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 246038, ove si afferma che non assume rilievo, ai fini della legittimità del decreto autorizzativo delle operazioni di intercettazione telefonica l’omessa precisazione, in riferimento al fatto criminoso di associazione per delinquere per cui si procede, del ruolo associativo dei vari sottoposti ad indagine, se meri partecipi o partecipi qualificati).
In realtà, la censura difensiva verte sull’omessa verifica successiva dell’effettivo ruolo assunto dalla ricorrente, di mera partecipe e non di organizzatrice, nella prospettazione difensiva, a differenza di quanto ritenuto in sentenza, sicché l’eccezione di inutilizzabilità finisce per investire il merit dell’accusa e la riqualificazione del ruolo della ricorrente, che costituisce il nucleo centrale del ricorso, trascurando, peraltro, che il compendio probatorio è costituito anche dalle querele sporte dalle vittime delle truffe informatiche e dalla documentazione acquisita, comprensiva dei documenti falsi utilizzati per aprire strumenti di credito (v. pag. 14 sentenza di primo grado).
Anche il secondo motivo è infondato a fronte della motivazione resa dai giudici di merito, concordi nel respingere la prospettazione riduttiva della difesa, che confina le condotte del gruppo in una fattispecie concorsuale, limitata nel tempo e negli obiettivi, facendo leva sulla accertata consumazione di sole tre truffe informatiche.
2.1. La ricostruzione proposta nuovamente nel ricorso contrasta con quella ritenuta in sentenza, laddove si attribuisce rilievo alla natura durevole dell’accordo criminoso, non limitato alla commissione dei reati scoperti, ma con proiezione futura, coerentemente desunta dai colloqui intercettati, dai quali emerge, anche dopo la fine di agosto 2015, l’attivismo dei sodali per procurarsi uno skimnner o altre carte di credito, all’evidenza per continuare a realizzare il programma predatorio ideato (pag. 12-13 sentenza impugnata).
Correttamente è stato posto l’accento sul blocco necessitato – non spontaneo- dell’attività fraudolenta a causa dei sospetti e della decisione di Cariparma di sospendere l’emissione di nuove carte di credito, indicativo della temporanea sospensione e della progettualità illecita ancora coltivata.
E’ noto che il delitto di associazione per delinquere presuppone la realizzazione di un accordo criminoso tendenzialmente permanente o comunque
stabile tra i partecipi, finalizzato al compimento di una serie indeterminata di delitti e che ai fini della configurabilità del reato di associazione per delinquere, è necessaria la predisposizione di un programma criminoso, che ben può consistere nella commissione di una serie indeterminata di delitti identici o di analoga natura, non costituendo il carattere eterogeneo dei reati-fine un elemento strutturale della fattispecie (Sez.3, n. 2039 del 02/02/2018, dep.2019 PG c/ Papini, Rv. 274816).
Di tali principi è stata fatta corretta applicazione nel caso di specie. E’ stato, infatti, attribuito rilievo decisivo alle modalità seriali dei reati, attes l’affiatamento e il modus operandi collaudato del gruppo, emergente dalle conversazioni intercettate, dimostrative del ruolo centrale ed essenziale della ricorrente in grado di procacciare, in qualità di dipendente di Cariparma, i codici di accesso al portale home banking delle vittime da depredare, a nulla rilevando l’assenza di contatti con gli esecutori materiali delle truffe, reperiti e controlla dai sodali.
2.2. Inconsistente è la censura relativa al rilievo attribuito in sentenza alla dichiarazione depositata dalla ricorrente, non essendo affatto equivoca l’affermazione di “riconoscere tutti i miei errori” (pag. 14 sentenza impugnata). Né pare contestabile la sussistenza del dolo alla luce dei colloqui intercettati, attestanti la piena consapevolezza di agire in un contesto organizzato e con un preciso programma destinato ad essere replicato nel tempo. Particolarmente significativo, in quanto dimostrativo del metodo collaudato e della consolidata operatività nel tempo del gruppo è il colloquio riportato nella sentenza di primo grado (pag.15) dal quale emerge la prudenza della ricorrente e il metodo utilizzato per azzerare la provvista caricata sulle carte, prelevando, “come le altre volte” la somma di 500 euro al giorno per non farle bloccare.
Premesso che il dolo del delitto di associazione a delinquere è integrato dalla coscienza e volontà di partecipare attivamente alla realizzazione del programma delinquenziale in modo stabile e permanente e, sebbene la commissione di uno o più delitti programmati dall’associazione non dimostri automaticamente l’adesione alla stessa, questa può desumersi in modo fortemente indiziante dalla stessa realizzazione dell’attività delittuosa in termini conformi al piano associativo (Sez. 2, n. 35141 del 13/06/2019, COGNOME, Rv. 276740).
La Corte di appello ha dato atto della consapevolezza dell’imputata e dei rimanenti associati ciascuno dell’operato degli altri e ha evidenziato come, in particolare, l’attività della ricorrente avesse una portata organizzativa generale e di predisposizione degli strumenti indispensabili per lo svolgimento successivo di una pluralità ipoteticamente infinita di condotte proprio per effetto dell’accordo preesistente con i correi. Risulta, peraltro, chiaramente dai colloqui intercettati la
consapevolezza della ricorrente dell’ingaggio di complici stranieri e della percentuale loro dovuta.
3.Analoga sorte spetta all’ultimo motivo.
Secondo l’orientamento di questa Corte in tema di associazione per delinquere, la qualifica di organizzatore spetta a colui che, in autonomia, cura il coordinamento e l’impiego delle strutture e delle risorse associative nonché reperisce i mezzi necessari alla realizzazione del programma criminoso, ponendo in essere un’attività che assume i caratteri dell’essenzialità e dell’infungibilità non essendo, invece, necessario che lo stesso soggetto sia anche investito di compiti di coordinamento e di direzione dell’attività di altri soggetti (Sez. 3 , n. 2039 del 02/02/2018, dep.2019, PG c/ Papini, Rv. 274816 – 03).
Nel caso di specie il ruolo di organizzatrice della ricorrente risulta correttamente ancorato all’infungibilità della sua posizione qualificata e autonoma, indispensabile, quale soggetto intraneo all’istituto bancario, in grado di offrire un input insostituibile per la realizzazione del programma illecito, come attestato dalle conversazioni intercettate, riportate nella sentenza di primo grado. Né a tal fine va trascurato il disappunto espresso dalla ricorrente in merito alle operazioni di azzeramento delle carte, contestando al COGNOME che “questa organizzazione così non va bene”, evidentemente indicativo del ruolo e del fatto che era titolata a redarguire i sodali; neppure va trascurata l’ammissione di avere in precedenza recuperato carte a Napoli (pag. 23-24 sentenza di primo grado), confermativa del ruolo attivo svolto da tempo, o ancora, l’iniziativa assunta per contattare due persone provenienti da Londra in grado di attivare nuovi sistemi fraudolenti e la partecipazione agli incontri con i sodali per la ricezione degli strumenti necessari a clonare carte di credito e persino a provarle.
Alla luce di tale ricostruzione risulta ampiamente giustificata l’affermazione di responsabilità dell’imputata.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
r- 52 GLYPH
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.