Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 23941 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 23941 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 14/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a COSENZA il 15/08/1995
avverso l’ordinanza del 07/01/2025 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso e l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. Letta la memoria dell’avv. NOME COGNOME del foro di COSENZA, difensore di COGNOME con la quale ha insistito nell’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 5 dicembre 2024 la Sesta sezione penale di questa Corte di legittimità ha annullato l’ordinanza emessa dal Tribunale di Catanzaro che aveva confermato l’ordinanza emessa dal Gip del Tribunale locale con la quale, in data 17 aprile 2024, era stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere, poi attenuata con quella degli arresti domiciliari, nei confronti di NOME COGNOME in relazione al reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990. Questa Corte aveva rinviato al Tribunale per un nuovo esame con riferimento alla ritenuta gravità indiziaria in quanto fondata solo sul rapporto di convivenza con il COGNOME, ritenuto al vertice del sodalizio dedito al narcotraffico, sulla conoscenza delle dinamiche associative e sulla collaborazione prestata nell’attività di cessione a terzi oltre che ritenendo mancante la motivazione relativamente alla circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis cod. pen.
Il Tribunale di Catanzaro, decidendo sul rinvio di questa Suprema Corte, ha confermato l’ordinanza impugnata e la misura attualmente in corso.
Avverso l’ordinanza è stato proposto ricorso nell’interesse della COGNOME / affidandolo ad un unico motivo con il quale si deduce vizio di motivazione sotto il profilo della illogicità della stessa tanto con riferimento ai gravi indizi di partecipazione al sodalizio quanto alla configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis cod. pen. Era stato contestato che, al di là della collaborazione nell’attività di cessione di stupefacenti del compagno NOME COGNOME, non era stato individuato il rapporto della COGNOME con altri associati o una attività di raccordo con altri componenti del gruppo sicché la pluralità di cessioni e le modalità seriali delle stesse non andavano oltre il concorso con il Marchiotti. Si era sottolineato, inoltre, che non era stato affrontato né il profilo della coscienza e volontà della ricorrente di far parte della associazione né l’intento di contribuire al suo mantenimento così favorendo la realizzazione del fine comune di trarre profitto dal commercio di droga. Il Tribunale, dopo avere motivato in merito all’esistenza dell’associazione dedita al traffico di stupefacenti e al suo inquadramento nel contesto di un controllo di tale mercato da parte dell’associazione mafiosa ndranghetista operante nel territorio di Cosenza, CZ1 ha riportato tre specifici colloqui sulla base Mjquali ha ritenuto che anche le vicende ascritte alla COGNOME per le cessioni alla medesima contestate
debbano essere ricondotte nell’ambito del c.d. Sistema di cui hanno parlato diversi collaboratori di giustizia le cui dichiarazioni sono state richiamate ma senza alcun riferimento alla ricorrente. Secondo la difesa / i dialoghi riportati non possono ritenersi rappresentativi di una disponibilità della ricorrente a contribuire al mantenimento dell’associazione e a favorire la realizzazione del fine comune. Nel primo colloquio la ricorrente si limita a ragguagliare lo COGNOME in merito ai rapporti criminosi del compagno COGNOME / non attribuendosi alcun profilo di colpa; lo stesso per il terzo colloquio che aveva ad oggetto le frizioni criminali del COGNOME con il gruppo di Rende e dal quale non emergono dichiarazioni autoaccusatorie della ricorrente per la asserita mera presenza di quest’ultima ad un summit avvenuto in tempo e luogo non precisato che non dà conto di un concreto inserimento della stessa nelle dinamiche associative non essendo chiaro né l’oggetto della riunione e, comunque, perché la ricorrente ; come pure il compagno ) era stata esclusa da talune riservate conversazioni. Dalle due conversazioni si ricava, al più, la consapevolezza da parte dell’indagata dell’esistenza dell’associazione, del ruolo ricoperto dal compagno e dei rapporti da costui intrattenuti con altri malavitosizil che non può reputarsi patrimonio conoscitivo esclusivo di un partecipe ove si considerino l’ambito territoriale circoscritto, la pervasiva penetrazione in esso del fenomeno del narcotraffico e il rapporto esistente con uno degli asseriti organizzatori. Né si può escludere che la COGNOME pure all’interno di relazioni tra malviventi sia stata mossa da ragioni di solidarietà familiare e non piuttosto dAiristabilire equilibri e gerarchie criminali.
Quanto al secondo colloquio tra COGNOME e COGNOME lo stesso non può essere fonte diretta del coinvolgimento della ricorrente perché non emergono elementi di accusa nei confronti dell’indagata. Il richiamo dunque non è pertinente.
Prive di pregnanza sono le altre emergenze quali l’arresto del Marchiotti e il sequestro dello stupefacente nonché l’attivazione per il pagamento delle spese legali da parte del COGNOME, circostanze che mettono in luce la sussistenza del gruppo ma non disvelano alcun contributo della ricorrente. D’altra parte, si tratta di circostanza gi vagliata dalla Sesta sezione di questa Corte che, a pagina 3, aveva affrontato tale aspetto della vicenda ritenendolo neutro. Ancora una volta, dunque, dalla partecipazione della donna all’attività di spaccio in esecuzione delle direttive del Marchiotti si fa discendere l’adesione all’associazione anziché il concorso nell’attività di cessione.
Quanto alla circostanza dell’aggravante mafiosa l la ricostruzione del fatto presenta aspetti di contraddittorietà /non avendo il Tribunale illustrato le ragioni per cui la partecipazione della COGNOME al gruppo criminale di cui
al capo 1 dovesse implicare l’intenzione per la ricorrente di contribuire alle , GLYPH {,4 esigenze di mantenimento della Cm GLYPH – . io GLYPH nrranghetista attraverso il versamento di parte dei proventi nella “bacinella” gestita dai vertici delle organizzazioni criminali; cassa comune che consentirebbe il pagamento degli stipendi agli affiliati, ai detenuti e alle famiglie. Tale aspetto n emerge dall’analisi dell’ordinanza, Nel caso in esame le due consorterie i quella ex art. 74 e quella ex art. 416 bis cod. pen., pur se collegate, agiscono su piani distinti / non essendo chiaro ai fini che qui rilevano se e in che misura la COGNOME abbia agito anche con la finalità di fornire un ausilio specifico alla consorteria i non essendo l’intreccio dei rispettivi affari argomenti9 di per sé decisivo al fine di radicare l’esistenza di un atteggiamento che richiede una precisa componente teleologica riferibile a un contesto nitidamente delimitato.
Il P.G., in persona della sostituta NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta, chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
L’avv. NOME COGNOME ha fatto pervenire memoria di replica alle conclusioni del P.G., insistendo nell’accoglimento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non merita accoglimento.
Il Tribunale di Catanzaro, dopo aver premesso che nel territorio di Cosenza e nel suo hinterland è stata individuata la base operativa di una articolata associazione dedita al narcotraffico, parallela nella struttura e funzionale nel ruolo alla confederazione criminale di tipo ‘ndranghetistico, facente capo a COGNOME NOME, ha descritto le modalità operative del sodalizio che si basa su due principi cardine, ossia: tutti contribuiscono alla “bacinella comune” in cui convergono i proventi dello spaccio e nessuno può operare sul territorio se non perché riconosciuto o autorizzato dopo avere delineato il contesto passato in rassegna. Ha anche precisato che il gruppo degli “italiani” con a capo il COGNOME, che dispone di cinque “colonnelli” tra i quali COGNOME Michele, COGNOME Salvatore, COGNOME Roberto, COGNOME NOME e COGNOME NOME,. si contrappone a quello degli “zingari” e gode di maggiore autonomia nella gestione degli affari. Il Tribunale, facendo propria l’impostazione accusatoria condivisa dal Gip, ha delineato la figura del COGNOME, compagno della odierna ricorrente / come organizzatore dell’associazione che fornisce un contributo indispensabile all’attuazione del
programma criminoso del narcotraffico in collaborazione,( dapprima con NOME COGNOME e poi con NOME COGNOME acquista per il gruppo cospicui quantitativi di sostanza stupefacente e provvede alla commercializzazione e alla riscossione dei proventi.
Il Tribunale, in sede di rinvio, ha ritenuto l’apporto della ricorrente al consolidamento e al rafforzamento del sottogruppo guidato dal compagno, anche nelle dinamiche che rivelavano il transito di quest’ultimo dalla reggenza del COGNOME, referente del sodalizio DI Puppok a quella dell’emergente NOME COGNOME.
Il Tribunale ha preso le mosse dai plurimi episodi di detenzione e spaccio contestati alla COGNOME e sui quali si è formato il giudicato cautelare, alcuni dei quali non costituiscono meri episodi di cessione a terzi acquirenti ma consegne per il tramite di una terza persona di sostanza stupefacente che veniva richiesta espressamente da NOME, compagna dello COGNOME, sotto l’egida del quale il compagno COGNOME si era “spostato” dopo il contrasto con il COGNOME. Detti condotte sono state ritenute inserite nel più ampio contesto associativo non solo noto alla ricorrente ma condiviso ritenendo che le stesse fossero finalizzate al rafforzamento della operatività del sodalizio dedito al narcotraffico e adeguatamente sorrette dalla relativa affectio societatis.
Le conversazioni riportate dal Tribunale, contrariamente a quanto sostiene la difesa, non sono affatto neutre rispetto alla partecipazione della COGNOME. Quella dell’11.11.2022 ore 22,11 intercorre tra la COGNOME e NOME COGNOME e il Tribunale non ha solo messo in luce che la COGNOME “ragguagliava” lo COGNOME in merito ai rapporti criminosi del compagno, con ricchezza di riferimenti personali e cronologici, ma lo accreditava agli occhi dello COGNOME, garantendogli che si era allontanato definitivamente dalla cerchia precedente che era composta da “gentaglia”. Riportava in parte motiva il Tribunale i passaggi in cui la COGNOME, rassicurando COGNOME dell’allontanamento da quelli “là ad Arcavacata” che chiamava per nome, gli confermava che il compagno aveva ripreso il controllo dell’attività /avviando una nuova attività di spaccio nel quartiere del centro storico di Cosenza.
La seconda telefonata, quella del 18 febbraio 2023 tra COGNOME e COGNOME è stata richiamata a riscontro di quanto la COGNOME aveva qualche mese prima “confidato” allo COGNOME cioè dWril’allontanamento da quel gruppo e dava contezza che ormai COGNOME “se la faceva qui” il che aveva scatenato una certa “invidia”. E poiché COGNOME era stato piuttosto brusco con i latori dei messaggi inviatigli dal vertice dell’altro gruppo COGNOME, si attendeva una qualche ritorsione (“che vengono”) ma COGNOME lo rassicurava dicendogli di stare tranquillo che poteva “dormire su sette cuscini” e che ormai “le famiglie sono finite” a riprova che dopo
l’operazione Reset gli equilibri storicamente consolidati erano messi in discussione.
Il Tribunale ha poi valorizzato la terza conversazione intercorsa dopo qualche giorno tra NOME, compagna dello COGNOME e NOME COGNOME / avente ad oggetto ancora le frizioni criminali del Marchiotti con il gruppo di Rende. E’ stato messo in luce come nel dialogo tra le due donne sarebbe emerso che la COGNOME era molto preoccupata per il proprio compagno / dato che aveva un debito con il clan COGNOME e in particolare con “COGNOME“/ referente di quel gruppo. La COGNOME, inoltre, mostrava delusione per il comportamento tenuto dal compagno durante la detenzione patita da COGNOME l rimproverandogli di avere in quel periodo collaborato con gli affiliati al clan COGNOME. Evidenzia in proposito il Tribunale che l COGNOME, volendo sfumare la portata dei commenti negativi espressi sul contegno del compagno, lo descriveva come persona di assoluta lealtà e dedizione, accreditandolo come soggetto assolutamente affidabile nella gestione dei traffici illeciti e assai legato allo COGNOME al punto da riferir alla compagna di costui che il COGNOME, in una occasione avrebbe detto “la mia vita rimane sempre NOME“.
La valutazione offerta dal Tribunale rispetto al contegno della COGNOME, affatto illogica / è quella di una donna astuta che tramite la compagna di quello COGNOME, al quale il COGNOME si era avvicinato, lo tinteggiava come un uomo legato allo COGNOME, leale e comunque capace di creare un nuovo mercato nella zona Vecchia di Cosenza. E non solo per garantire la fedeltà del proprio compagno poneva l’accento sulla rescissione di qualunque legame con il gruppo capeggiato da COGNOME ma aggiungeva che anche lei, in occasione di un incontro al quale erano presenti lei e COGNOME insieme a COGNOME e a NOME COGNOME si trovavatés,- in n posizione un po’ più defilata dal resto della “tavolata”. Nell’occasione COGNOME esaltava la figura di COGNOME /definendolo “una sola cosa con il Di Puppo” e che “loro le avevano detto che NOME e NOME erano una cosa sola e NOME era implicato”.
A prescindere dal fatto che i vertici del clan non li facessero partecipare alle conversazioni più riservate /ciò che secondo il Tribunale è emerso è che la COGNOME ha partecipato a una riunione alla presenza del boss COGNOME in cui si erano discusse le dinamiche criminali in cui era inserito il compagno COGNOME e di cui la donna dimostrava una approfondita conoscenza e in seno al quale costei, anche attraverso i singoli reati di detenzione e di cessione a lei ascritti, aveva aderito per l’esecuzione di un programma associativo indeterminato e non in termini meramente concorsuali con il proprio compagno. Il Tribunale ha collocato la COGNOME nel contesto delineato accanto al compagno non solo con il ruolo
di pusher ma anche di custode -si pensi agli episodi di cui ai capi 385) e 389) dove la donna opera non su richiesta del compagno ma della compagna dello COGNOME, a riprova che la donna fosse inserita nella fase esecutiva del programma criminoso secondo modalità di pianificazione dettate dai vertici, al cospetto dei quali ha avvalorato l’affidabilità n traffici illeciti del compagno, in una interlocuzione diretta determinata proprio dal ruolo assunto.
3. E’ stato evidenziato come dal tenore delle conversazioni intercorse tra la COGNOME e la COGNOME e lo stesso COGNOME, già condannato per associazione mafiosa, ritenuto a capo di un gruppo operativo nel quartiere San Vito di Cosenza con mire espansionistiche, dedicandosi al narcotraffico e alle attività estorsive, gravitando nella confederazione di 4 ndrangheta riconducibile a NOME COGNOME, insieme alla compagna NOME COGNOME che curava i rapporti tra lo stesso COGNOME e i sodali, avvalendosi della collaborazione anche di NOME COGNOME cognato del RAGIONE_SOCIALE tramite il quale procurava schede e telefoni per consentire al compagno di eludere i controlli di p.g., sia emersa la volontà della COGNOME di operare in un contesto criminoso di più ampio respiro. Un contesto in cui l’attività di narcotraffico era inserita in una suddivisione del territorio tra gruppi criminali tutti riconducibili ad un’unica confederazione di ndrangheta.
Con opportuni richiami giurisprudenziali il Tribunale ha spiegato che l’art. 59 cod. pen. richiede ai fini della imputazione delle circostanze aggravanti il presupposto costituito dalla conoscenza o conoscibilità delle stesse attraverso l’ordinaria diligenza ( operando la dovuta differenza tra l’aggravante contestata e quella dell’utilizzo del metodo mafioso che è caratterizzata dalla natura oggettiva in quanto riconducibile ontologicamente alle modalità dell’azione.
Ha ritenuto il Tribunale, sul richiamo dei principi espressi della Suprema Corte nel suo massimo consesso (n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020), la non invocabilità della mancata estendibilità dell’aggravante in parola ritenendo che le indagini abbiano dimostrato che la COGNOME COGNOME ha agito nella piena e perdurante consapevolezza delle final-ità agevolatrici perseguite dai coindagati specificando che l’associazione dedita al narcotraffico nel quale si inseriva aveva natura ancillare alla compagine criminosa di cui al capo 401 in quanto tesa i attraverso la devoluzione dei proventi dello spaccio, al rafforzamento e all’operatività della prima sul territorio cosentino. In particolare il sodalizio ex art. 74 d.P.R. n. 309/90 costituiva estrinsecazione delle cosche in cui si articolavano i vari sottogruppi appartenenti al cd. Sistema Cosenza al fine di conseguire i vantaggi illeciti e assicurare al sodalizio di ‘ndrangheta i proventi
dell’attività / accrescendone la forza economica, il prestigio criminale, il controllo del territorio e quindi la capacità operativa.
Dunque, non solo la consapevolezza ma la volontà di finalizzare la propria azione al rafforzamento e alla attuazione del programma criminoso del sodalizio di ‘ndrangheta r agevolando il transito del Marchiotti dal sottogruppo di NOME COGNOME a quello di NOME COGNOME.
Come pure il Tribunale non ha mancato di valorizzare la circostanza che il Marchiotti avesse trasferito la base operativa dell’attività di spaccio presso la propria abitazione, dove si avvaleva anche della collaborazione del cognato e della compagna.
Con tutti gli argomenti spesi dal Tribunale, sopra riportati, il ricorso non si confronta adeguatamente limitandosi a proporre una lettura alternativa delle conversazioni, operazione questa non consentita in questa sede di legittimità.
In proposito è qui sufficiente COGNOME rammentare l’insegnamento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, secondo cui, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715). La S.C. ha affermato altresì che, in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389).
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Deciso il 14 maggio 2025
I ra est.