Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 32943 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 32943 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 06/06/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a BIANCAVILLA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a BIANCAVILLA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a BIANCAVILLA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a BIANCAVILLA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ADRANO il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/05/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere AVV_NOTAIO COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilita per COGNOME e COGNOME. E rigetto per COGNOME
udito il difensore
L’avvocato COGNOME invia istanza di rinvio per legittimo impedimento.
La Corte considerato che non risulta sufficientemente comprovata e dedotta l’impossibilità di avvalersi di un sostituto processuale ai sensi dell’art. 102 cpp, rigett l’istanza e dispone procedersi oltre.
Il PG nulla oppone.
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di ROMA in difesa di:
COGNOME NOME
difensore presente chiede l’accoglimento del ricorso.
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di CATANIA in difesa di:
NOME
COGNOME NOME
Il difensore presente chiede l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME Avverso la sentenza della Corte di appello di Catania n. 2780 del 2023 presentano ricorso COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME condannati per i reati a ciascuno rispettivamente ascritti in materia di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti nonché di cessione e detenzione di sostanze stupefacenti, furto, estorsione, ricettazione e porto illegale di armi.
2. COGNOME In grado di appello è stata confermata la condanna per COGNOME, COGNOME e COGNOME e riformata la condanna per gli altri imputati con rideterminazione della pena che era stata stabilita dal giudice di primo grado di Catania.
Ricorso COGNOME NOME
Con il primo motivo di ricorso COGNOME NOME lamenta la violazione degli artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990. La difesa, in particolare, ritiene che la sentenza della Corte di appello abbia violato i principi giurisprudenziali in materia di prova della partecipazione al delitto associativo per cui si procede anche per il mancato riscontro di elementi organizzativi del gruppo, unitamente alla insignificanza del dato ponderale della sostanza. A parere della difesa, la Corte di appello si è attestata sulle medesime posizioni del giudice di primo grado, senza dar conto dei rilievi difensivi da cui invece si sarebbe dovuto desumere che nessuna stabilità di rapporti, nessun contatto equivoco con soggetto egualmente imputato in questo procedimento è emerso dal materiale probatorio.
La carenza di motivazione lamentata è incentrata soprattutto sulla mancata conoscenza di alcuni collaboranti – anche in termini di conoscenza diretta – delle vicende legate al mercato degli stupefacenti trattato dall’associazione ed alla sussistenza del preteso consesso contra legem, anche in ragione della considerazione che nessuna circostanza di tempo, di luogo, di quantità e qualità della sostanza, nessun sequestro e nessun elemento di riscontro abbia dato contezza della correttezza delle deduzioni investigative.
Con un secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 62bis cod. pen. per avere la motivazione della Corte di appello di Catania manifestato una lacunosità, contraddittorietà e manifesta illogicità nella parte in cui disattende la richiesta di concedere il beneficio della concessione delle
1 COGNOME
generiche sì da contenere la pena nel minimo assoluto previsto dalla legge. In particolare, il ricorrente aggredisce quanto esposto a pagina 54 della sentenza laddove ritiene non applicabile circa il trattamento sanzionatorio il mero succinto richiamo alla gravità dei fatti.
Ricorso di COGNOME NOME
Il primo motivo di ricorso presentato da COGNOME NOME si sovrappone quasi interamente, con i medesimi argomenti, al primo motivo di ricorso presentato da COGNOME NOME, cui pertanto si può fare rinvio, con la precisazione però che gli argomenti della motivazione aggrediti dal ricorso in relazione alla posizione del ricorrente COGNOME si riferiscono soprattutto al pregio attribuito dalle conformi sentenze di primo e secondo grado all’atteggiamento degli imputati circa l’ammissione delle proprie responsabilità e la partecipazione consapevole di COGNOME al consesso associativo , tema sul quale i giudici di appello avrebbero sostanzialmente glissato.
Con il secondo motivo di ricorso si chiede l’annullamento della sentenza ripercorrendo con i medesimi argomenti del secondo motivo del ricorso presentato da COGNOME NOME circa la concessione delle attenuanti generiche. Anche in tal caso la difesa eccepisce che la sentenza si limita ad un succinto richiamo alla gravità dei fatti che invece avrebbero dovuto portare ad una più approfondita attenzione.
Ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME
1. COGNOME Con un unico motivo sostanzialmente sovrapponibile, ricorrono NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME lamentando la violazione della legge in relazione agli artt. 62-bis e 69 cod. pen. per avere la Corte di appello di Catania esposto una motivazione mancante, contraddittoria e manifestamente illogica laddove disattende la richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche per contenere la pena nel minimo assoluto previsto dalla legge; in particolare, ritiene ciascun ricorrente che a pagine 53 e ss. della motivazione la Corte di appello, pur dando atto della rinuncia ai motivi da parte dell’imputato, tranne quelli relativi alla determinazione della pena, che ha ammesso i fatti, non abbia considerato l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche se non con giudizio di equivalenza con le altre di segno contrario anziché esprimere un giudizio di prevalenza rispetto alle aggravanti. La difesa si sofferma sul comportamento processuale che ha rinunciato ai motivi di gravame attinente alla responsabilità che avrebbe dovuto essere valorizzata in un’ottica deflattiva della stessa vicenda processuale, con particolare riferimento ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen. che avrebbe dovuto indurre
la Corte a una moderazione della sanzione e che, come tale, meriterebbe un supplemento di argomentazione che nel caso di specie è carente.
Ricorso di COGNOME NOME
Con un primo motivo di ricorso COGNOME NOME lamenta l’inosservanza o erronea applicazione della legge con riferimento all’art. 81, comma 2, cod. pen. nonché l’erronea motivazione circa gli elementi di fatto e di diritto relativamente al mancato riconoscimento della sussistenza del medesimo disegno criminoso tra i fatti trattati nella sentenza e quelli di cui alla sentenza n. 132 del 2010 passate in giudicato della Corte di appello di Catania relativa al reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso. In particolare, quest’ultima sentenza afferma la penale responsabilità dell’imputato con l’aggravante del metodo mafioso derivante dall’appartenenza ed al fine di favorire il clan RAGIONE_SOCIALE operante in Adrano, di cui il ricorrente faceva parte già all’epoca e per cui era stato condannato a seguito di rito abbreviato ad anni tre e mesi sei di reclusione.
La difesa lamenta che la motivazione della Corte d’appello succintamente ha rigettato la richiesta difensiva facendo riferimento all’elemento temporale, essendo il fatto antecedente di qualche anno, ma soprattutto al fatto erroneo di considerare il reato a sé stante rispetto al delitto associativo. In breve, la Corte avrebbe omesso di considerare le evidenze processuali che già partendo dalla lettura dello stesso capo di imputazione evidenziano come l’estorsione, di cui si chiedeva la valutazione del medesimo disegno criminoso in relazione ai fatti dell’odierno procedimento, fosse aggravata dal metodo mafioso essendosi avvalso il COGNOME della forza di intimidazione derivante dall’appartenenza al clan COGNOME di Adrano.
. 3. COGNOME Con un secondo motivo di ricorso la difesa lamenta la violazione di legge circa la determinazione della pena per la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. In particolare, si lamenta una laconica motivazione in relazione agli artt. 62-bis e 133 cod. pen. per le considerazioni esposte che non tengono conto della condotta processuale del COGNOME e che avrebbero dovuto indurre a una diversa considerazione oltre la speciale attenuante della collaborazione riconosciuta. In particolare il secondo motivo del ricorso aggredisce la valutazione operata dalla Corte circa la determinazione del COGNOME di collaborare con la giustizia in previsione di una condanna severa, ritenendo la Corte che null’altro sarebbe da annotare in suo favore per concedere le circostanze attenuanti generiche.
Ricorso di COGNOME NOME
NOME propone ricorso avverso la sentenza lamentando la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. per erronea valutazione della prova in ordine al reato contestato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 e all’art. 27 cost..
Con tale primo motivo aggredisce l’apparato logico a base della sentenza della Corte di appello che si è limitata ad osservare come l’COGNOME debba considerarsi un concorrente nel reato di spaccio di sostanza stupefacente secondo quanto emerge dalle intercettazioni. Da tali elementi si capirebbe che vi è stato uno scambio di sostanza stupefacente tra lo stesso COGNOME e i sodali di COGNOME NOME il quale però non è neanche imputato del medesimo capo di cui è chiamato a rispondere COGNOME.
A parere della difesa, dalle comunicazioni telefoniche intercettate si desumerebbe invece l’estraneità ai fatti e non già l’avvenuto accordo che, invece, sarebbe da escludere, atteso anche un preciso appuntamento fissato per la consegna di una quantità di stupefacente, non meglio specificata né dalla sentenza di primo grado né da quella di secondo grado. Le intercettazioni richiamate non trovano alcun riscontro estrinseco nel compendio probatorio in atti e danno, quindi, per affermata la cessione della sostanza stupefacente in ragione di una precisa intercettazione del 21/03/2021. A parere della difesa, la Corte d’appello è incorsa in un errore logico giuridico non valutando il tono goliardico assunto nella conversazione dagli interlocutori.
Altre circostanze che depongono per l’illogicità della motivazione, come prospettata dalla difesa di COGNOME, riguarda l’ipotetica cessione che sarebbe avvenuta in data 20/05/2018 accertata attraverso intercettazioni riferite a dialoghi a cui il ricorrente non partecipava. A ciò si aggiunga come l’odierno imputato non venga richiamato in nessuna delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia né tantomeno sia stato riconosciuto in foto dal coimputato COGNOME NOME, anch’egli collaboratore di giustizia. Pertanto, in definitiva, a parere della difesa la Corte di appello non fornisce alcuna motivazione in merito alla determinazione della quantità, qualità e tipologia di sostanze stupefacente oggetto della cessione contestata all’odierno ricorrente e, pertanto, complessivamente quanto affermato nella sentenza di primo grado ribadita in quella di secondo grado non supera la soglia del ragionevole dubbio. E ciò circa l’effettivo trasferimento della sostanza stupefacente e dell’effettivo possesso della stessa da parte di COGNOME. In definitiva, gli indizi di colpevolezza, a parere della difesa, non risultano essere precisi e concordanti
non permettendo di consentire al loro interprete di superare ogni dubbio circa la consapevolezza, volontà e rappresentazione di commettere un determinato reato.
Con un secondo motivo di ricorso COGNOME lamenta la violazione dell’art. 606 lett. b), e) in relazione all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 per manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato riconoscimento della fattispecie autonoma di cui sopra. Infatti, la Corte di appello ha ritenuto di escludere la fattispecie di lieve entità in virtù di una presunta consegna non dimostrata affermando che in un contesto simile non è possibile concedere tale fattispecie per l’alternanza della fornitura che l’COGNOME offre in sostituzione del COGNOME. A parere della difesa, non conoscendo né la cifra offerta, né la quantità, né la qualità non è possibile nemmeno affermare che non si versi nell’ambito della fattispecie autonoma dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990. Non avendo la Corte d’appello minima contezza del quantitativo di stupefacente oggetto del reato contestato al ricorrente, avrebbe dovuto riqualificare tale fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 62-bis, 81, 114 e 133 cod. pen.
In particolare, la difesa ritiene che l’imputato COGNOME NOME erroneamente non è stato ritenuto meritevole del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e sul punto difetterebbe la motivazione della sentenza impugnata; inoltre, nell’ambito del potere discrezionale conferito al giudice ai sensi dell’art. 133 cod. pen., la Corte di appello avrebbe dovuto tenere in considerazione, ai fini di una valutazione più mite del fatto e della conseguente pena da irrogare, sia la gravità del reato sia la capacità a delinquere dell’imputato. Risulta evidente al riguardo, a parere della difesa, la carenza motivazionale riscontrabile nella sentenza di secondo grado in quanto, essendo stata accertata la presenza dell’COGNOME solo presso la sua abitazione, naturalmente non possono essere considerate le modalità del fatto così gravi da non poter rideterminare la pena o non considerare come marginale la condotta dell’imputato.
In modo specifico il terzo motivo di ricorso aggredisce quanto motivato dalla Corte di appello a pagina 73 della sentenza laddove ritiene che con solo quattro intercettazioni l’imputato non può essere considerato un associato ma consentono di valutarne la qualifica di persona che in talune circostanze di necessità di approvvigionamento si presta ad aiutare membri dl sodalizio; a parere della difesa tale argomento avrebbe dovuto portare alla concessione
delle attenuanti generiche e all’applicazione di una riduzione di pena ai sensi dell’art. 114 cod pen.
Ricorso di COGNOME NOME
COGNOME La difesa di COGNOME NOME con un unico motivo di ricorso rappresenta l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 597, comma 4, cod. proc. pen. e 81, comma 2, cod. pen. in quanto la Corte di appello, su ricorso dell’imputato, ha stabilito l’aumento per la continuazione per il delitto di cui al capo B) in anni uno di reclusione, quindi in misura superiore rispetto a quello stabilito dal giudice di primo grado che aveva determinato tale aumento in mesi sei di reclusione. In particolare, per tale reato satellite il giudice di primo grado aveva ritenuto un aumento per la continuazione di mesi sei pervenendo complessivamente alla pena di anni sedici e mesi sei, ridotta per il rito alla pena finale. Successivamente la Corte di appello rideterminando la pena in anni sette e mesi quattro di reclusione stabiliva che dato che la confessione è avvenuta prima della discussione del difensore consentiva di muovere dal minimo edittale per il reato associativo. Determinando l’aumento in anni uno di reclusione per il delitto ritenuto in continuazione con il delitto associativo quindi in misura superiore rispetto a quello stabilito dal giudice di primo grado, sulla base del ricorso avanzato dallo stesso imputato, si è così violato il principio del divieto di reformatio in peius.
Ricorso di COGNOME NOME
COGNOME COGNOME NOME ricorre per omessa motivazione, violazione di legge nonché illogicità e travisamento del fatto, erronea interpretazione e applicazione della legge penale asserendo innanzi tutto la possibilità di escludere la fattispecie associativa dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 in quanto i contatti continuativi tra il ricorrente e COGNOME nonché le conversazioni riportate da pagina 68 della motivazione della sentenza impugnata non sono indicativi di un partecipazione al reato associativo ma potrebbero essere indicativi di una ipotesi di concorso di persone nel reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990. Rileva in proposito il ricorrente l’insufficienza argomentativa relativa all’avvenuta disapplicazione dei criteri per distinguere la fattispecie concorsuale da quella associativa. In particolare, la Corte di appello si è limitata a indicare nella motivazione solo gli elementi che qualificherebbero il narcotraffico senza pronunciarsi sulla necessaria stabilità del vincolo organico, sulla ripartizione dei ruoli nella presunta societas, sulla cassa comune, su mandati e rendiconti del gruppo.
In secondo luogo, il ricorrente prospetta che quanto all’esclusione delle ipotesi ex art. 416-bis, comma 1, cod. pen. nonché per l’aggravante delle armi, tenuto conto dell’errore di cui si dà atto a pagina 73 della motivazione, per il COGNOME non vi è traccia di motivazione circa la connessione operativa e cosciente con il rubricato gruppo mafioso rispetto al quale non si può parlare di possesso o compossesso di armi. Inoltre, tenuto conto che il periodo investigativo si è sviluppato nell’arco di meno di sei mesi, ai fini del giudizio sulla stabilità del vincolo associativo, COGNOME non viene fatto oggetto di chiamate da collaboranti ne dà esiti negativi delle perquisizioni reali effettuate a suo carico.
Inoltre, nonostante la confessione resa in sede di appello dal ricorrente, la concessione delle circostanze attenuanti generiche è stata negata dalla Corte di appello.
Ricorso di NOME NOME COGNOME
COGNOME COGNOME NOME con un unico motivo di ricorso, tendente a lamentare la violazione di legge e la manifesta contraddittorietà tra la Motivazione e la parte dispositiva, evidenzia che la sentenza impugnata nel dispositivo prevede “in parziale riforma della sentenza impugnata, tenendo conto della diminuente per il rito scelto, riconosciute le circostanze attenuanti generiche per COGNOME NOME e COGNOME NOME ed in equivalenza con le aggravanti contestate per COGNOME NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, ridetermina la pena per… conferma nel resto e condanna… COGNOME NOME al pagamento delle ulteriori spese processuali…”.
A tal proposito, il ricorrente rileva che nella motivazione della sentenza impugnata si legge “abbiamo la certezza della penale responsabilità del COGNOME ed una gravità della condotta del danno che non consente di condividere gli argomenti difensivi”. E però la rinuncia all’udienza di discussione di tutti i motivi di appello e conseguente confessione resa all’udienza del 14 Marzo 2023, spinge la Corte a diverso computo della pena, riconoscendo le circostanze attenuanti generiche non nella massima estensione ma nella misura di un anno di reclusione ed euro 3000 di multa e proprio per le ragioni sopra evidenziate… alla luce del citato riconoscimento di attenuanti, invece, la pena andrà così rideterminata: Anni 6 – 1 anno = anni 5 – 1/3 = anni 3 e mesi 4 di reclusione; 30.000 – 3.000 = 27.000 – 1/3 = ed euro 18.000 di multa.
Rileva la difesa che l’errore materiale il calcolo della pena con esclusione alla condanna alle spese sarà emendato con ordinanza di correzione materiale al momento del deposito della motivazione della sentenza, unitamente a quella parte del dispositivo in cui si riconoscono le circostanze attenuanti generiche ad
alcuni imputati ma non al NOME COGNOME, per la confessione resa prima della discussione del suo difensore.
A parere della difesa, l’estensore della motivazione durante la stesura, si è reso conto durante la redazione della motivazione dell’errore in cui è in corso nel dispositivo ove ha dimenticato di riconoscere le circostanze attenuanti generiche al COGNOME riservandosi di modificare il dispositivo con ordinanza allegata alla sentenza che tuttavia al momento del ricorso non era stata ancora depositata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Collegio ritiene che tutti i ricorsi degli imputati, relativamente ai motivi addotti, siano inammissibili per i seguenti argomenti che si prestano ad essere trattati in parte in comune per le ragioni che di seguito vengono esposte.
Ricorsi di COGNOME NOME e di COGNOME NOME
I ricorsi in oggetto di COGNOME e COGNOME con il rispettivo primo motivo lamentano la violazione degli artt. 74 e 73 d.P.R. n. 309 del 1990 circa i principi giurisprudenziali in materia di prova della partecipazione al delitto associativo per cui si procede,
Al riguardo il Collegio osserva innanzi tutto che le considerazioni circa il valore probatorio da attribuire al dato ponderale della sostanza sono generiche, aspecifiche, superficiali e complessivamente anche inconferenti rispetto al titolo di reato e irrilevanti per la valutazione della motivazione che viene criticata.
In ordine al profilo di ricorso inerente soprattutto alla mancata conoscenza di alcuni collaboranti – anche in termini di conoscenza diretta – delle vicende legate al mercato degli stupefacenti trattato dall’associazione, il Collegio deve rilevare che la Corte di appello si è mossa sulle medesime linee argomentative del giudice di primo grado, anche circa la stabilità dei rapporti.
In tema di valutazione della prova ai sensi dell’art. 192 cod. proc. pen., il Collegio, in continuità con il consolidato insegnamento di legittimità, ritiene che nella valutazione della chiamata in correità o in reità, il giudice, ancora prima di accertare l’esistenza di riscontri esterni, deve verificare COGNOME la credibilità COGNOME soggettiva COGNOME del dichiarante COGNOME e l’attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l’art. 192, comma 3, cod.
proc. pen., alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale (tra le altre, Sez. 1, n. 41238 del 26/06/2019, COGNOME, Rv. 277134; Sez. 6, n. 40899 del 14/06/2018, C., Rv. 274149; Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145).
Si aggiunga che per principio dettato dalle Sezioni Unite generalmente condiviso, la chiamata in correità o in reità de relato, anche se non a ssev e rata dalla fonte diretta, il cui esame risulti impossibile (anche perché proveniente dallo stesso chiamato), può avere come unico riscontro, ai fini della prova della responsabilità penale dell’accusato, altra o altre chiamate di analogo tenore. Ciò, purché siano rispettate le seguenti condizioni: a) risulti positivamente effettuata la valutazione della credibilità COGNOME soggettiva COGNOME di ciascun dichiarante COGNOME e dell’attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificità, della coerenza, della costanza, della spontaneità; b) siano accertati i rapporti personali fra il dichiarante COGNOME e la fonte diretta, per inferirne dati sintomatici COGNOME della corrispondenza COGNOME al vero di quanto dalla seconda confidato al primo; c) vi sia la convergenza delle varie chiamate, che devono COGNOME riscontrarsi reciprocamente COGNOME in maniera COGNOME individualizzante, in relazione a circostanze rilevanti del thema probandum; d) vi sia l’indipendenza delle chiamate, nel senso che non devono rivelarsi frutto di eventuali intese fraudolente; e) sussista l’autonomia genetica delle chiamate, vale a dire la loro derivazione da fonti di informazione diverse (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. cit.).
Riguardo la natura dei riscontri necessari a corroborare COGNOME le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, il Collegio, in linea con un consolidato e condiviso orientamento (Sez. I, n. 34712 del 02/02/2016, Ausilio, Rv. 267528; Sez. 2, Sez. 2, n. COGNOME 35923 del 11/07/2019, Campo, Rv. 276744) ritiene che in tema di chiamata in correità COGNOME gli altri elementi di prova da valutare, ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., unitamente alle dichiarazioni del chiamante, non devono avere necessariamente i requisiti della natura logica di indizi a norma dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., essendo sufficiente che essi siano Precisi, nella loro oggettiva consistenza, nonché idonei a confermare, in un apprezzamento unitario, la prova dichiarativa dotata di propria autonomia rispetto a quella indiziaria. In breve, tali riscontri sono offerti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico, a condizione che sia indipendente anche da altre chiamate in correità, purché la conoscenza del fatto da provare sia autonoma e non appresa dalla fonte che occorre riscontrare, e a condizione che abbia valenza individualizzante.
Essa deve riguardare non soltanto il fatto-reato, ma anche la riferibilità dello stesso all’imputato, mentre non è richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova “autosufficiente” perché, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correità (Sez. 6, n. 45733 del 11/07/2018, P . , Rv. 274151; Sez. 4, n. 5821 del 1 O/ 1 2/ 2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 231301; Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Acqulina, Rv. 255143).
Pertanto, il Collegio osserva che i ricorsi nell’interesse di COGNOME e COGNOME, sono infondati in quanto secondo la ricostruzione dei convergenti provvedimenti di merito, risulta che il racconto del collaboratore di giustizia COGNOME è dettagliato, preciso e fonte diretta di conoscenza del dichiarante, ricco di riscontri ricavabili dai dialoghi captati e dalle video osservazioni puntualmente richiamati a pagg. 36 e ss. della motivazione.
La considerazione della difesa per cui nessuna circostanza di tempo, di luogo, di quantità e qualità della sostanza, nessun sequestro e nessun elemento di riscontro abbia corroborato la tesi in accusa e accolta nelle due conformi sentenze, è smentita dalla lettura della decisione di appello (pag 36 e ss.) . che, non solo laddove è recettiva della decisione di primo grado, si sofferma analiticamente su alcuni punti che meritano di essere evidenziati riguardanti la complessiva e stabile attività associativa e in particolare la natura dei rapporti intra associativi, la stabilità del sodalizio, la capacità organizzativa, i ruoli ben definiti etc.
Tale impianto motivazionale, anche sul piano della logica inferenza tra materiale probatorio e deduzioni sulla partecipazione dei ricorrenti al sodalizio, appare sviluppato in modo solido, convincente, coerente, privo di lacune argomentative e logiche.
Anche in ordine al secondo motivo di ricorso con cui si lamenta la violazione dell’art. 62-bis cod. pen. per avere la motivazione della Corte di appello di Catania manifestato una lacunosità, contraddittorietà e manifesta illogicità nella parte in cui disattende la richiesta di concedere il beneficio della concessione delle attenuanti generiche, si deve rilevare che quanto esposto a pagina 54 della sentenza laddove si richiama la gravità dei fatti non costituisce l’unica parte della motivazione inerente al giudizio sulle circostanze ma deve intendersi quale formula comprensiva di tutta l’esposizione delle plurime condotte, espressione esecutiva dell’associazione, del ruolo avuto da singoli associati e in particolare dai ricorrenti. Da tale ampia esposizione dei fatti emerge il quadro criminoso che ha consentito con coerenza logica ai giudici di merito di escludere la concessione delle attenuanti generiche.
Con particolare riferimento al ricorso presentato da COGNOME NOME gli ulteriori argomenti spesi dalla difesa si riferiscono soprattutto al pregio attribuito dalle conformi sentenze di primo e secondo grado all’atteggiamento degli imputati.
Al riguardo la Corte di appello porta l’analisi della caratura degli imputati oltre una mera constatazione dell’ammissione delle proprie responsabilità, verso il quadro complessivo della partecipazione consapevole di COGNOME all’associazione, con una chiara seppur sintetica analisi del ruolo svolto e della sua personalità anche in relazione alla vita del sodalizio.
Pertanto, al netto di uria rivalutazione nel merito di quanto esposto sufficientemente a pag. 53 della motivazione circa gli elementi esaminati dalla Corte di appello sulle attenuanti generiche, i motivi si presentano generici e comportano l’inammissibilità degli stessi.
Ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME
1. COGNOME Palesemente inammissibile appare il generico motivo di ricorso che accomuna i tre ricorrenti in epigrafe con cui sostanzialmente chiede una rivalutazione nel merito di quanto esposto sufficientemente ed esaurientemente a pag. 53 della motivazione della Corte di appello sulle attenuanti generiche.
In particolare, la Corte ha spiegato che l’ammissione dei fatti e la rinuncia ai motivi di appello può corrispondere a una scelta di strategia difensiva ma non significa automaticamente un’imposizione della prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti contestate.
Tale coerenza logica non ha alcuna caduta deduttiva anche in relazione all’interpretazione giurisprudenziale del reato di cui agli artt. 74 e 73 n. 309 del 1990.
Ricorso di COGNOME NOME
Circa il primo motivo di ricorso, attinente alla ritenuta inesistenza del medesimo disegno criminoso con i fatti già giudicati relativi ad un’estorsione aggravata dal metodo mafioso, si deve osservare che la Corte di appello con motivazione coerente e convincente considera e spiega l’autonomia storica e criminosa del fatto già giudicato con la sentenza n. 132 del 2010 in relazione al reato di estorsione aggravata dal c.d. metodo mafioso rispetto al reato associativo sub iudice.
Inoltre, lo sviluppo logico della motivazione appare di certo convincente soprattutto laddove considera il tempo intercorso tra i due fatti come elemento di cesura di un’unica programmazione criminosa idonea a instaurare un vincolo di continuazione tra fatti così lontani nel tempo.
Tali considerazioni sul merito degli elementi analizzati in motivazione vale a maggior ragione per la prospettazione contenuta nel secondo motivo di ricorso di COGNOME inerente la clemenza da usare nei suoi confronti in relazione alla collaborazione processuale che a parere della difesa avrebbe dovuto portare a una diversa considerazione in punto di pena anche sul piano circostanziale.
A fronte di tali considerazioni storiche, in relazione alle dinamiche criminose esposte in vari punti della motivazione, improntate a scelte operative delittuose in continuo divenire, senza un’originale seppur generica programmazione criminosa, il collegamento tra fatti distanti tra loro circa un decennio e la valutazione circostanziale richiesta, si ferma ad una sostanziale richiesta di rivalutazione nel merito di quegli elementi storico-criminosi vagliati con motivazione logica e tutt’altro che lacunosa. Quindi, così come prospettati superficialmente dalla difesa, gli argomenti di ricorso non costituiscono, in entrambi i motivi, elementi specifici idonei a fondare il giudizio di legittimità e a superare il vaglio di ammissibilità.
Ricorso di COGNOME NOME
Con il primo motivo di ricorso COGNOME chiede sostanzialmente una rivalutazione nel merito degli elementi probatori circa il suo ruolo di concorrente nel reato sostenendone l’estraneità rispetto allo scambio della quantità e qualità di stupefacente con i sodali di COGNOME NOME.
La Corte di appello anche sul punto del ruolo operativo di COGNOME ha spiegato con coerenza logica la sequenza probatoria che conduce alla sua identificazione e a tutt’altro che a frasi pronunciate con un tono goliardico nelle telefonate intercettate, come invece ritenuto dalla difesa con argomenti generici e meramente assertivi che comunque riguardano il merito della valutazione di ciascun elemento probatorio, inammissibili in sede di legittimità.
Anche per il secondo motivo, circa il riconoscimento della fattispecie ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, gli argomenti esposti in motivazione dalla Corte di appello appaiono congrui e coerenti sul piano logico-deduttivo anche laddove ha ritenuto di escludere la fattispecie di lieve entità in virtù di una presunta consegna non dimostrata affermando che in un contesto simile non è possibile concedere tale fattispecie per l’alternanza della fornitura che l’COGNOME offre in sostituzione del COGNOME. A parere della difesa, non conoscendo né la cifra offerta, né la quantità, né la qualità non sarebbe possibile nemmeno affermare che non si versi nell’ambito della fattispecie autonoma dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
4. COGNOME Il Collegio ritiene che non costituisce alcun vizio logico della motivazione che invece si riporta esattamente nell’alveo della teoria generale
della prova del reato considerare che non è la mancanza di prova sulla quantità che può far presumere l’ipotesi di reato della lieve entità; semmai è il contrario, poiché deve emergere inequivocabilmente la prova della fattispecie prevista dall’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, dato probatorio escluso dalle conformi decisioni di merito.
Depone per l’inammissibilità anche l’esame del terzo motivo perché con argomenti meramente assertivi chiede anche in tal caso la rivalutazione nel merito delle argomentazioni già operate nei due gradi di giudizio circa il peso specifico attribuito al ruolo, alla personalità del ricorrente e alla sua compartecipazione criminosa, ai fini del trattamento sanzionatorio.
Appartiene infatti esclusivamente alle valutazioni di merito la deduzione probatoria del ruolo dell’imputato se nell’esposizione motivazionale non vi sono lacune o cadute logiche. Invero, quanto spiegato a pag. 73 della motivazione, e complessivamente nella descrizione della partecipazione di COGNOME, espone compiutamente ruolo e relazioni criminose svolti da COGNOME deducendone in modo lineare il quadro entro cui riportare il trattamento sanzionatorio sia con riferimento alle richieste attenuanti generiche, sia ai criteri con cui parametrare la pena ex art. 133 cod. pen., sia, infine, alla non minima rilevanza della partecipazione ex art. 114 cod. pen.
In definitiva tutti i motivi addotti da COGNOME per l’aspecificità degli stessi, tendenti surrettiziamente a una rivalutazione del merito degli elementi probatori, portano univocamente all’inammissibilità del ricorso.
Ricorso di COGNOME NOME
È inammissibile anche l’unico motivo di ricorso presentato da COGNOME NOME perché, in linea con una consolidata giurisprudenza, non si è in presenza di una violazione del divieto di reformatio in peius previsto dall’art. 597 cod. proc. pen. nel caso in cui il giudice dell’impugnazione apporti per uno dei fatti unificati dall’identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore (Sez. 2, n. 50949 del 10/10/2017, COGNOME, Rv. 271376 – 01; Sez. 2, n. 48538 del 21/10/2022, Tiscione, Rv. 284214 – 01; Sez. 1, n. 26645 del 10/04/2019, NOME, Rv. 276196 -01; Sez. 2, n. 29017 del 20/06/2014, Boschi, Rv. 260099 – 01).
Il Collegio non ignora un diverso orientamento per il quale si ritiene violare il divieto della reformatio in peius quando il giudice dell’impugnazione Che, riqualificato in termini di minore gravità il fatto sul quale è commisurata la pena base, a seguito del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, e pur irrogando una sanzione complessivamente inferiore a quella inflitta in
primo grado, applichi per i reati satellite – già unificati dalla continuazione – un aumento di pena maggiore rispetto a quello praticato dal giudice della sentenza riformata, atteso che la struttura del reato continuato non cambia nonostante la mutata qualificazione della violazione più grave. (Sez. 2, n. 17347 del 26/01/2021, Rv. 281217 – 04; Sez. 2, n. 16995 del 28/01/2022, COGNOME, Rv. 283113 – 01; Sez. 5, n. 34497 del 07/07/2021, COGNOME, Rv. 281831 – 0). Ma, si badi, tale orientamento risulta ancorato ad ipotesi di destrutturazione in secondo grado del reato continuato accertato in primo grado e non è condivisibile laddove non tiene conto dell’opzione ermeneutica per la quale il divieto di non applicare un trattamento più sfavorevole nel giudizio di secondo grado si riferisce al complessivo trattamento praticato in primo grado, fermo restando l’immutata natura unitaria del reato continuato rispetto a quanto accertato in primo grado. In assenza di una novazione strutturale del reato continuato, o di una rivisitazione della gravità complessiva del fatto unificato dal vincolo della continuazione quoad poenam, appare, dunque, impropria una valutazione atomistica della pena per ogni singolo reato satellite anche in considerazione dell’interesse del ricorrente che, come nel caso in esame, ha goduto in definitiva di un’applicazione del cumulo giuridico più favorevole.
COGNOME Il ricorso pertanto è inammissibile.
Ricorso di COGNOME NOME
È inammissibile anche il motivo di ricorso di COGNOME NOME dove asserisce con argomenti generici l’omessa motivazione, la violazione di legge nonché l’illogicità e il travisamento del fatto, con argomenti volti sostanzialmente ad escludere la fattispecie associativa dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Al riguardo il Collegio richiama interamente quanto già esposto nei §§ 4-9 con riferimento a COGNOME e COGNOME, e osserva la superficialità e in parte la non pertinenza degli argomenti del ricorrente che non resistono e non inficiano entrambe le motivazioni laddove spiegano i contatti continuativi tra il ricorrente e COGNOME nonché le conversazioni riportate da pagina 68 della motivazione della sentenza impugnata, espressamente significativi di una consapevole, diretta, attiva, condivisa partecipazione al reato associativo.
Gli argomenti esposti in motivazione sono tutt’altro che indicativi di una mera ipotesi di concorso di persone nel reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, come ben esposto dalla Corte di appello che si è soffermata sulla struttura associativa, sulla stabilità, operatività, organicità del sodalizio, e sui ruoli all’interno dello stesso (vedi §§ 4-9 con riferimento a COGNOME e COGNOME). Con tale motivazione non si confrontano i generici argomenti difensivi che non
raggiungono la soglia della critica logica all’impianto espositivo e logico della motivazione, con particolare riguardo all’asserita qualificazione concorsuale e non partecipativa di COGNOME.
Parimenti si dica circa la prospettazione difensiva volta all’esclusione delle ipotesi ex art. 416-bis, comma 1, cod. pen. nonché per l’aggravante delle armi, in quanto la motivazione, in più punti, spiega la connessione operativa e cosciente con il gruppo mafioso di certo dotato di armi. A nulla rileva che il periodo investigativo si è sviluppato nell’arco di meno di sei mesi, ai fini del giudizio sulla stabilità del vincolo associativo: trattasi di generica asserzione difensiva che non viene in rilievo sul piano logico argomentativo sol perché il ricorrente non è fatto oggetto di chiamate da collaboranti, e nemmeno dagli esiti negativi delle perquisizioni reali effettuate a suo carico.
Infine, sono palesemente generici gli argomenti volti a sottolineare la confessione resa in sede di appello dal ricorrente ai fini della concessione delle Circostanze attenuanti generiche, negata dalla Corte di appello con considerazioni complessive sulla vita e ruolo del ricorrente per l’associazione.
Ricorso di NOME NOME COGNOME
1.Anche per COGNOME NOME COGNOME l’unico motivo di ricorso, tendente a lamentare la violazione di legge e la manifesta contraddittorietà tra la motivazione e la parte dispositiva, è inammissibile in quanto non spiega quale sia l’interesse e la rilevanza sostanziale per il ricorrente.
Evidenzia il Collegio che l’errore materiale circa il calcolo della pena con esclusione alla condanna alle spese è stato emendato con un’ordinanza di correzione materiale al momento del deposito della motivazione della sentenza, unitamente a quella parte del dispositivo in cui si riconoscono le circostanze attenuanti generiche ad alcuni imputati ma non al COGNOME NOME COGNOME.
Al netto della valutazioni di merito riguardanti le attenuanti generiche, non rivalutabili in questa sede, l’errore in cui si è incorsi nel dispositivo ove la Corte di appello ha dimenticato di riconoscere le circostanze attenuanti generiche al COGNOME riservandosi di modificare il dispositivo con ordinanza allegata alla sentenza, è stato oggetto di correzione con un’ordinanza che obiettivamente ha un contenuto più articolato di una mera rettifica materiale ma i cui contenuti non hanno una ricaduta nella posizione del ricorrente o comunque il ricorso non riesce a indicarlo con sufficiente chiarezza, specificità e precisione.
Il ricorso di COGNOME è pertanto inammissibile.
In definitiva il Collegio dichiara inammissibili tutti i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 6 giugno 2024
Il consigliere estensore