Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18427 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18427 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MESORACA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 12/10/2023 del TRIBUNALE di CATANZARO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso; ricorso trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23, comma 8, D. L. n
137/2020 e del successivo art. 8 D. L. n. 198/2022.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice del riesame, con ordinanza del 12/10/2023 confermava l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro del 14/9/2023, che applicava la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME.
L’indagato, a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione, deducendo con il primo motivo la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione alla partecipazione all’associazione di cui all’art. 7 D.P.R. n. 309/1990 contestata al capo 19). Evidenzia che l’ordinanza impugnata risulta illogica, atteso che ha ritenuto la partecipazione dell’imputato al sodalizi dedito al narcotraffico facente capo a NOME COGNOME, quale fornitore, sulla base di un limitato numero di cessioni, peraltro, contestate come avvenute nel lontano 2020; che le cessioni di stupefacente, protrattesi per un modesto arco temporale
(dal 27 gennaio al 14 febbraio 2020), non oltrepassano lo schema dell’accordocessione per aderire ad un progetto criminoso assai più ampio e tipico dell’associazione, dovendo piuttosto essere inquadrate nell’ipotesi di concorso di persone nel reato; che dalle conversazioni intercettate non emergono elementi che possano far desumere l’intraneità del ricorrente al sodalizio in discorso; che non emergono dagli atti rapporti del COGNOME con altri partecipi al sodalizio; che, dunque, il rapporto tra il COGNOME ed il COGNOME al più ha natura squisitamente sinallagmatica, circostanza questa che non consente di desumere la coscienza e volontà di aderire ad una compagine associativa.
2.1 Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione ai reati di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309/19 Rileva che il Tribunale del riesame ha omesso di valutare elementi a favore dell’indagato, valorizzando solo quelli a carico del medesimo, quale ad esempio il linguaggio criptico che si ritiene sia utilizzato nelle conversazioni intercettate che le risultanze dell’attività di captazione non sono così chiare ed inequivoche, essendo suscettibili di interpretazione alternativa (così, quella in ordine all fornitura del 27/1/2020, rispetto alla quale è inverosimile che vi sia incertezza sul luogo della consegna; quella in cui si fa riferimento al fatto che il COGNOME st lavorando, tenuto conto che effettivamente aveva la casa in costruzione; quella in cui si discute dei Puffi, termine che non necessariamente è riferito all’odierno ricorrente ed al di lui fratello in ragione della statura, atteso che può esser riferito anche agli appartenenti alle forze dell’ordine).
2.2 Con il terzo motivo lamenta la violazione la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., nonché illogicità della motivazione. Rileva che il Tribunale, in ordine alla mancanza di elementi idonei ad escludere la sussistenza delle esigenze cautelari, ha reso una motivazione errata in diritto, non considerando gli elementi addotti dalla difesa per superare la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, costituiti dalla presenza solo di due reati fine, peraltro risalenti nel tempo; che in ogni caso non vi sono elementi che facciano ipotizzare che il COGNOME abbia mantenuto a quattro anni di distanza dai fatti in contestazione rapporti con gli acquirenti e con gli altri sodali; che, dunque, tale periodo silente smentisce la perduranza del vincolo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1 II primo ed il secondo motivo – che, riguardano il profilo della gravità indiziaria, possono essere trattati congiuntamente – sono manifestamente infondati, in quanto per un verso ripropongono le stesse doglianze rappresentate
I
al Tribunale del riesame e da questo risolte con motivazione congrua ed immune da vizi logici e per altro verso si limitano a prospettare una diversa valutazione di circostanze già compiutamente esaminate dai giudici di merito. Con riguardo a quest’ultimo profilo, giova evidenziare che la giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata nel ritenere che, in tema di misure cautelari personali, il ricorso per vizio di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad ess ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto c governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sezioni Unite, n. 11 del 22/3/2000, Audino, Rv. 215828 – 01) e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sezione 2, n. 27866 del 17/6/2019, Mazzelli, Rv. 276976 – 01). In altri termini, l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. (ma il discorso vale anche per le esigenze cautelari di cui all’art. 274 stesso codice) è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o nella manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato, con la conseguenza che il controllo di legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori sono, dunque, inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito, atteso che trattasi di censure non riconducibili alle tipologie di vizi della motivazione tassativamente indicate dalla legge (Sezione 2, n. 31553 del 17/5/2017, Paviglianiti, Rv. 270628 – 01; Sezione 4, n. 18795 del 2/3/2017, COGNOME, Rv. 269884 – 01; Sezione 6, n. 49153 del 12/11/2015, COGNOME, Rv. 265244 – 01; Sezione 7, ord. n. 12406 del 19/2/2015, COGNOME, Rv. 262948 – 01; Sezione Feriale, n. 47748 del 11/8/2014, COGNOME, Rv. 261400 – 01). Dunque, nel momento del controllo della motivazione, non si deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né si deve condividerne la giustificazione, dovendosi, invece, limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento: ciò in quanto l’art. 606, comma primo, lett. e) del cod. proc. pen. non consente alla Corte una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (Sezioni Unite, n. 12 del Corte di Cassazione – copia non ufficiale
31/5/2000, COGNOME, Rv. 216260 – 01; Sezioni Unite, n. 47289 del 24.9.2003, COGNOME, Rv. 226074 – 01).
Nel caso oggetto di scrutinio, l’ordinanza esaminata risulta avere analizzato in modo adeguato tutte le doglianze difensive, che risultano pedissequamente riproposte in questa sede. Dunque, sotto questo profilo il ricorso risulta anche aspecifico, in quanto non si confronta con la motivazione del provvedimento impugnato, che ha evidenziato, quanto al reato associativo, i) la pluralità dei reati fine ascritti al COGNOME, tutti relativi a forniture di sostanza stupefacent favore dell’associazione finalizzata al narcotraffico; li) la circostanza per cui il ricorrente aveva rapporti non solo con il vertice del sodalizio, ma anche con gli altri associati, tra i quali NOME COGNOME, al quale consegnava materialmente la sostanza stupefacente e NOME COGNOME, la quale partecipava al ritiro della fornitura del 4/2/2020 ed era altresì presente agli accordi relativi alla consegna del 14/2/2020; iii) il dato per cui l’imputato rappresentava uno stabile punto di riferimento per il sodalizio, benché non esclusivo, su cui fare affidamento per la fornitura di marijuana (le conversazioni intercettate danno conto di accordi per una fornitura di circa mezzo chilogrammo di stupefacente alla settimana); iiii) la stabilità dell’accordo, che faceva sì che l’associazione, quando aveva necessità di rifornirsi di stupefacente, non doveva mettersi alla ricerca di un fornitore o trattare con più di essi, potendo contare sui servigi dell’odierno ricorrente, che costituiva un punto fermo di particolare affidabilità; quanto ai singoli reati fine, Tribunale ha dato atto che le forniture risultano monitorate in tempo reale e che il contenuto dei dialoghi intercettati non dà adito a dubbi. In altri termini i giudici del riesame hanno ritenuto l’esistenza in capo al COGNOME di una durevole comunanza di scopo con gli altri associati, manifestantesi nell’interesse ad immettere sostanza stupefacente sul mercato, irrilevante essendo la diversità degli scopi personali e degli utili che i singoli partecipi si propongono di ottenere dall’attività criminale. Trattasi di motivazione, come si accennava, all’evidenza congrua ed immune da vizi illogici. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.2 Manifestamente infondato è anche il secondo motivo.
Premesso che l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. prevede per il reato di cui all’art. 74 D.P.R. 309/90 l’applicazione della misura custodiale intramuraria, a meno che siano acquisiti elementi dai quali risulti l’insussistenza delle esigenze cautelari ovvero che in relazione al caso concreto i pericula libertatis possano essere soddisfatti con altre misure cautelari meno afflittive, nel caso di specie, il Tribunale del riesame ha dato ampiamente conto sia delle ragioni per le quali ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari, sia dei motivi per i quali ha ritenut necessaria in punto di adeguatezza la custodia intramuraria. In particolare, quanto al primo profilo ha valorizzato le modalità per così dire professionali della
condotta criminosa, i quantitativi significativi oggetto delle cessioni, oltre che negativa personalità del ricorrente, desunta dal ruolo di fornitore dell’associazione e dal suo rapportarsi alla pari con i vertici della struttu criminale, di elevato spessore delinquenziale; rispetto a tali circostanze il lasso temporale intercorso tra l’adozione della misura e la commissione dei fatti è stato ritenuto recessivo.
Quanto al profilo della adeguatezza della misura, ha ritenuto necessario il presidio cautelare estremo per favorire la recisione dei rapporti con gli ambienti delinquenziali all’interno dei quali è risultato pienamente inserito, altres valutando che la personalità trasgressiva del ricorrente, peraltro gravato da plurimi precedenti penali, non desse garanzie in ordine al rispetto delle prescrizioni connesse alla misura meno afflittiva, tenuto conto che molte delle condotte criminose poste in essere sono a carattere per così dire domestico.
Tale motivazione, ad avviso del Collegio, non può ritenersi illogica o meramente apparente, posto che contiene tutti i requisiti per rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice del provvedimento impugnato.
All’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il giorno 22 marzo 2024.