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Associazione a delinquere: i criteri per la custodia

La Corte di Cassazione ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere per un individuo accusato di far parte di un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. La Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso, stabilendo che la reiterazione delle condotte, la stabilità del vincolo e la chiara suddivisione dei ruoli all’interno del gruppo sono indizi sufficienti a distinguere la partecipazione associativa dal semplice concorso in reati di spaccio, giustificando così le esigenze cautelari.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione a delinquere e custodia cautelare: la Cassazione fa il punto

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha chiarito i contorni che distinguono la semplice commissione di reati di spaccio in concorso dalla partecipazione a una vera e propria associazione a delinquere, confermando l’importanza di tale distinzione ai fini dell’applicazione della custodia cautelare in carcere. Il caso in esame offre spunti fondamentali per comprendere quando la struttura organizzativa e la stabilità del vincolo criminale giustificano la misura restrittiva più severa.

I Fatti di Causa

La vicenda processuale ha origine da un’ordinanza del Tribunale di Catania che, in accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero, applicava la misura della custodia in carcere a un indagato. L’accusa era duplice: partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico di cocaina e marijuana e commissione di reati-fine legati allo spaccio. Inizialmente, il Giudice per le indagini preliminari aveva rigettato la richiesta di misura cautelare.

Contro la decisione del Tribunale, la difesa dell’indagato proponeva ricorso per cassazione, lamentando principalmente due aspetti:
1. Mancanza di prove sul ruolo associativo: secondo il ricorrente, le prove raccolte (intercettazioni e video) dimostravano al più singole condotte di spaccio, ma non la sua consapevole partecipazione a un’associazione strutturata.
2. Insussistenza delle esigenze cautelari: la difesa sosteneva che, dato il tempo trascorso dai fatti (risalenti al 2022), la regolare attività lavorativa svolta e i precedenti penali non recenti, non vi fosse un concreto pericolo di reiterazione del reato.

La distinzione cruciale nell’associazione a delinquere

Il cuore della decisione della Suprema Corte ruota attorno alla differenza tra il concorso di persone nel reato continuato di spaccio (art. 73 d.P.R. 309/90) e la partecipazione a un’associazione a delinquere finalizzata al medesimo scopo (art. 74 d.P.R. 309/90). La Cassazione ha ribadito che, per configurare il reato associativo, non è sufficiente la semplice reiterazione di condotte illecite, ma sono necessari due elementi distintivi:

* La stabilità del vincolo associativo: un legame permanente che unisce i membri, finalizzato a un programma criminale indeterminato e non limitato alla commissione di singoli reati.
* L’esistenza di una struttura organizzativa: una minima organizzazione di uomini e mezzi che consenta la concreta realizzazione del programma criminoso, con una ripartizione di ruoli e compiti.

Nel caso specifico, il Tribunale aveva correttamente evidenziato come le indagini avessero fatto emergere un’organizzazione stabile, a base familiare, che gestiva in modo continuativo l’attività di spaccio attraverso un coordinamento sinergico dei ruoli di ciascun partecipe.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, condividendo pienamente l’analisi del Tribunale. Le motivazioni della decisione si fondano su diversi pilastri argomentativi.

Innanzitutto, è stato chiarito che il ricorso presentava censure che miravano a una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa al giudice di legittimità. La Cassazione non può riesaminare le prove, ma solo verificare la correttezza logica e giuridica della motivazione del provvedimento impugnato.

Nel merito, la Corte ha ritenuto che il Tribunale avesse fornito una motivazione logica e coerente, basata su plurimi elementi indiziari. L’indagato non era un semplice spacciatore, ma un membro integrato nell’organizzazione: partecipava ai turni di spaccio come pusher o vedetta, supportava gli altri sodali in momenti di difficoltà (come dopo gli arresti), prendeva parte a riunioni strategiche, collaborava alla contabilità del gruppo e si relazionava con i vertici per le forniture di stupefacenti. La sua piena consapevolezza della struttura gerarchica e degli scopi comuni emergeva chiaramente dalle conversazioni intercettate.

Anche la presunta incompatibilità tra l’attività criminale e un lavoro lecito è stata respinta, poiché le indagini dimostravano la sua presenza costante sui luoghi di spaccio, prevalentemente nelle ore pomeridiane e serali.

Infine, riguardo alle esigenze cautelari, la Cassazione ha confermato la valutazione del Tribunale sulla concretezza e attualità del pericolo di recidiva. Il ruolo versatile ricoperto, la continuità delle condotte illecite (proseguite per mesi anche dopo numerosi arresti) e la spiccata “pervicacia criminale” dimostravano un’insensibilità all’emenda tale da rendere necessaria la misura della custodia in carcere, escludendo che il tempo trascorso potesse aver mitigato tale pericolo.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio consolidato: per integrare il delitto di associazione a delinquere è necessario provare l’esistenza di un’organizzazione stabile e di un vincolo permanente tra i membri, elementi che vanno oltre la semplice collaborazione occasionale per la commissione di reati. La valutazione di tali elementi è demandata al giudice di merito e, se sorretta da una motivazione logica e congrua, non è sindacabile in sede di legittimità. La decisione conferma inoltre che, di fronte a gravi indizi di colpevolezza per tale reato, la pericolosità sociale dell’indagato può essere ritenuta così elevata da giustificare l’applicazione della massima misura cautelare, anche a distanza di tempo dai fatti contestati.

Cosa distingue la partecipazione a un’associazione a delinquere dal semplice concorso in reati di spaccio?
La distinzione risiede nell’esistenza di un vincolo associativo stabile e permanente e in una struttura organizzata, finalizzati alla commissione di una serie indeterminata di reati. Il semplice concorso si limita a un accordo per commettere uno o più reati specifici, senza una struttura permanente.

Svolgere un’attività lavorativa lecita esclude la partecipazione a un’associazione criminale?
No. La sentenza chiarisce che un’attività lavorativa lecita non è di per sé incompatibile con la partecipazione a un’associazione a delinquere, soprattutto se le attività criminali vengono svolte in orari diversi, come dimostrato nel caso di specie dalle indagini.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché le argomentazioni della difesa non contestavano vizi di legittimità della decisione (come errori di diritto o motivazione manifestamente illogica), ma chiedevano una nuova valutazione delle prove e dei fatti, attività che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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