Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 20202 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 20202 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 20/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
Acrimp NOME nato a Napoli il 10/06/1983
COGNOME NOME nato a Napoli il 24/08/1954
NOME nato a Napoli il 22/11/1976
COGNOME nato a Caserta il 27/10/1945
NOME COGNOME nato a Napoli il 20/06/1983
COGNOME NOME nato a Genova il 20/11/1940
avverso la sentenza del 18/04/2024 della Corte di Appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi.
udite le conclusioni del difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE, Avv. NOME COGNOME che ha depositato nota spesa e comparsa conclusionale, con cui è stato chiesto il rigetto dei ricorsi.
udite le conclusioni del difensore del ricorrente NOME COGNOME Avv. NOME COGNOME che ha insistito nei motivi di ricorso e chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato.
udite le conclusioni del difensore del ricorrente NOME COGNOME Avv. NOME COGNOMEin sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME che ha insistito nei motivi di ricorso e chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato.
udite le conclusioni del difensore del ricorrente NOME COGNOME Avv. NOME COGNOMEin sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME che ha insistito nei motivi di ricorso e chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 18 aprile 2024, la Corte di appello di Napoli, in-parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Napoli Nord in data 6 novembre 2019, ha condannato NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME nei termini indicati nel dispositivo di sentenza.
NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, propone ricorso avverso la sentenza con la quale è stato ritenuto responsabile dei reati di cui ai capi 1 e 4 e per l’effetto è stato condannato alla pena di anni 3, mesi 2 di reclusione ed euro 4.000,00 di multa.
2.1. Il ricorrente, con il primo motivo di impugnazione, lamenta violazione degli artt. 416 cod. pen. e 266 cod. proc. pen. e conseguente inutilizzabilità delle conversazioni intercettate.
La Corte territoriale avrebbe fondato la condanna del COGNOME esclusivamente sul contenuto delle intercettazioni ambientali in atti in violazione dell’art. 266 cod. proc. pen., dette captazioni non sarebbero, infatti, utilizzabili nei confronti del ricorrente in quanto mero partecipe dell’associazione a delinquere.
A giudizio della difesa, i giudici di merito non avrebbero tenuto conto del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite penali secondo cui il divieto previsto dall’art. 270 cod. proc. pen. non opera in riferimento ai reati connessi ex art. 12 cod. proc. pen. esclusivamente nel caso in cui la pena prevista per tali reati rientri nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 cod. proc. pen.
2.2. Il ricorrente, con il secondo motivo di impugnazione, lamenta violazione degli artt. 110, 416 cod. pen. e 192 cod. proc. pen. nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla penale responsabilità per il reato di partecipazione ad associazione a delinquere.
2.2.1. La Corte di appello avrebbe del tutto ignorato gli elementi, indicati nei motivi di gravame, idonei ad escludere la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di associazione a delinquere.
A giudizio del ricorrente, gli elementi valorizzati dai giudici di merito (suddivisione dei ruoli, disponibilità di locali e mezzi per conservazione e trasporto dei farmaci, utilizzo coordinato di schede telefoniche protette, vincolo familiare tra alcuni imputati) costituirebbero elementi non idonei a dimostrare l’indeterminatezza del disegno criminoso e la stabilità del vincolo associativo con conseguente riconducibilità dei fatti all’ipotesi di concorso di persone nel reato ex art. 110 cod. pen.
È stato, inoltre, evidenziato che tutte le conversazioni intercettate avrebbero ad oggetto la commercializzazione di farmaci già nella disponibilità degli imputati, senza alcun riferimento all’acquisizione all’ingrosso di nuovi farmaci con evidente insussistenza del requisito dell’indeterminatezza di un programma criminoso.
2.2.2. La Corte distrettuale, con motivazione carente, illogica e contraddittoria, avrebbe affermato l’intraneità del COGNOME al sodalizio criminoso sul presupposto che il ricorrente avrebbe acquistato farmaci di provenienza illecita nella disponibilità degli COGNOME al fine di cederli a NOME COGNOME, affermazione che troverebbe esclusivo fondamento nel sequestro avvenuto nel novembre 2014 e nel contenuto di intercettazioni telefoniche attestanti un credito vantato da NOME COGNOME nei confronti del COGNOME ed estinto mediante ricarica di una Postepay intestata alla cognata dell’COGNOME.
Tale ricostruzione, apodittica e congetturale, troverebbe smentita dal fatto che, nel corso dell’istruttoria dibattimentale, sarebbe emersa esclusivamente una spedizione indirizzata al COGNOME da parte della società RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME, spedizione di cui non sarebbe stato accertato il contenuto e la causale.
La motivazione sarebbe apodittica anche nella parte in cui desume la riconducibilità della predetta ricarica Postepay all’acquisto di farmaci di provenienza illecita esclusivamente in considerazione del fatto che il COGNOME non avrebbe fornito alcuna spiegazione plausibile di tale ricarica, senza tenere conto che, in occasione del sequestro delle merci nella disponibilità degli COGNOME, sarebbero stati rinvenuti anche beni diversi dalle medicine di provenienza delittuosa (materiali in relazione ai quali il primo giudice ha assolto gli imputati per mancanza di prova della loro provenienza illecita).
2.2.3. La motivazione sarebbe, infine manifestamente illogica in merito alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 416 cod. pen. in considerazione del fatto che i giudici di appello avrebbero fondato la penale responsabilità del COGNOME esclusivamente sulla base di un’unica spedizione di farmaci e di una sola ricarica di Postepay, elementi che potrebbero al più, dimostrare un singolo acquisto di farmaci di provenienza delittuosa “ma non di
certo lo stabile inserimento nell’organizzazione o la consapevolezza della finalità perseguita dal sodalizio” (vedi pag. 8 del ricorso).
2.3. Il ricorrente, con il terzo motivo di impugnazione, lamenta violazione degli artt. 110, 648 cod. pen. e 192 cod. proc. pen. nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla penale responsabilità per il reato di ricettazione.
La Corte di merito avrebbe condannato l’imputato in ordine alla ricettazione dei farmaci rinvenuti nei box sequestrati in data 7 novembre 2014 sulla base di elementi inidonei a dimostrare la disponibilità di tali farmaci in capo al COGNOME.
In primo luogo i giudici di appello avrebbero erroneamente sostenuto che i farmaci sequestrati il 16 novembre 2014 a NOME COGNOME apparterrebbero al lotto di farmaci rivenuti e sequestrati il 7 novembre 2024 nei box siti a Napoli, affermazione non supportata da alcun elemento oggettivo ed illogica in quanto il sequestro dei box sarebbe avvenuto cinque giorni prima del sequestro ai danni di NOME COGNOME con conseguente materiale impossibilità della riconducibilità ipotizzata dai giudici di merito.
Inoltre, la motivazione sarebbe del tutto carente ed apodittica nella parte in cui i giudici di appello hanno affermato che la ricarica Postepay, effettuata dal ricorrente in favore di una parente di COGNOME NOME, dimostrerebbe l’acquisto dei farmaci di provenienza delittuosa di cui al capo 4), anche e soprattutto in considerazione del fatto che “nei giorni antecedenti al pagamento non sarebbe stata intercettata alcuna spedizione di farmaci dal gruppo COGNOME verso il COGNOME” (vedi pag. 9 del ricorso) e della conseguente indebita inversione dell’onere della prova laddove viene affermato che la mancata confutazione da parte dell’imputate dell’ipotesi accusatoria dimostrerebbe la causale illecita della predetta ricarica.
Mancherebbe, inoltre, la prova che NOME COGNOME abbia effettuato plurime spedizioni di farmaci in favore del COGNOME. Sul punto la difesa ha sostenuto che, dall’istruttoria dibattimentale, sarebbe emersa un’unica spedizione effettuata dalla società RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME in favore del COGNOME, spedizione di cui non sarebbe stato possibile accertare il contenuto.
2.4. Il ricorrente, con il quarto motivo di impugnazione, lamenta violazione degli artt. 61, n. 7, e 99 cod. pen. nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al riconoscimento della circostanza aggravante del danno di rilevante gravità e della recidiva reiterata, specifica ed infraqu i nq ue n na le.
2.4.1. La difesa ha eccepito la genericità della contestazione “in assenza di una specifica enunciazione in fatto della stessa nel corpo della motivazione” (vedi
pag. 10 del ricorso) con conseguente violazione del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite secondo cui è affetta da nullità la contestazione di una aggravante che si limiti all’indicazione delle disposizioni di legge violate, senza alcuna descrizione storico-fattuale della circostanza.
La motivazione con cui è stata riconosciuta l’aggravante di cui all’art. 61, n. 7, cod. pen. sarebbe, inoltre, illogica e contraddittoria rispetto a quanto affermato in relazione alla condanna per il reato di ricettazione. La difesa ha precisato, in proposito, che il COGNOME non sarebbe stato condannato per ricettazione dei farmaci sequestrati in data 7 novembre 2014 ma solo per l’acquisto di una parte, non quantificata, di essi con conseguente inapplicabilità del disposto dell’art. 61, n. 7, cod. pen.
2.4.2. Il ricorrente lamenta, infine, che la Corte di merito avrebbe ritenuto sussistente la contestata recidiva esclusivamente in considerazione della gravità dei fatti e senza valutare gli elementi dedotti dalla difesa (ruolo marginale ricoperto dall’imputato all’interno del sodalizio, brevissimo arco temporale in cui il COGNOME ha avuto contatti con il gruppo, partecipazione ad un solo episodio di ricettazione) idonei ad escludere che la condotta contestata possa essere sintomatica di una maggiore capacità a delinquere del COGNOME.
NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, propone ricorso avverso la sentenza con la quale è stato ritenuto responsabile dei reati di associazione a delinquere, detenzione illecita di stupefacenti e ricettazione e per l’effetto è stato condannato alla pena di anni 8 di reclusione ed euro 45.000,00 di multa.
3.1. Il ricorrente, con il primo motivo di impugnazione, eccepisce erronea applicazione dell’art. 416, commi primo e secondo, cod. pen.
La Corte territoriale, prescindendo da una compiuta disamina delle doglianze difensive, avrebbe erroneamente ritenuto il COGNOME partecipe del sodalizio di cui al capo di imputazione esclusivamente in considerazione del contenuto delle conversazioni intercettate nel corso delle indagini preliminari, senza tenere conto che tali captazioni sarebbero prive di riscontri fattuali da cui desumere, al di là di ogni ragionevole dubbio, la partecipazione del ricorrente al consesso criminoso in esame.
A giudizio della difesa, il contenuto delle conversazioni intercettate escluderebbe che il COGNOME abbia mai stipulato un patto criminoso con soggetti appartenenti al sodalizio oggetto di giudizio. Parimenti non sarebbe stata provata la consapevolezza, in capo all’imputato, di essere parte integrante di una organizzazione con conseguente carenza di prova in ordine all’affectio societatis.
I giudici di appello, inoltre, avrebbero trascurato di considerare la possibilità di un rapporto occasionale con gli altri imputati e la conseguente configurabilità
di un mero concorso esterno in associazione manifestatosi in prestazioni del tutto episodiche.
3.2. Il ricorrente, con il secondo motivo di impugnazione, lamenta violazione degli artt. 81, 132 e 133 cod. pen. conseguente alla determinazione di una pena superiore al minimo edittale ed eccessivamente elevata rispetto alla gravità dei fatti contestati.
NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, propone ricorso avverso la sentenza con la quale è stato ritenuto responsabile dei reati di associazione a delinquere e ricettazione e per l’effetto è stato condannato alla pena di anni 3, mesi 2 di reclusione ed euro 4.000,00 di multa.
4.1. Il ricorrente, con l’unico motivo di impugnazione, lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla penale responsabilità per il reato di cui all’art. 416 cod. pen.
La difesa ha sostenuto che dalla lettura delle conversazioni intercettate non emergerebbe alcun elemento logico-fattuale da cui desumere la partecipazione al sodalizio criminoso oggetto di giudizio; i giudici di appello avrebbero, inoltre, trascurato che il COGNOME avrebbe partecipato a conversazioni intercettate nel periodo giugno-novembre 2014 mentre nel periodo in cui l’utenza a lui intestata è stata sottoposta ad attività di captazione (17/11/2024-01/12/2024) non sarebbero state registrate conversazioni di interesse investigativo.
È stato, quindi, affermato che la durata limitata dei contatti intercorsi tra il ricorrente ed i partecipi al sodalizio, peraltro riconducibili alla sola condotta delittuosa di cui al capo 4), dimostrerebbe l’occasionalità del ruolo svolto dal COGNOME e la conseguente insussistenza dei requisiti dell’accordo criminoso tra i correi, dell’unicità del disegno criminoso preventivamente individuato e della stabilità e permanenza del vincolo associativo.
La motivazione sarebbe contraddittoria nella parte in cui il COGNOME è stato ritenuto partecipe dell’associazione nonostante la contestuale assoluzione per i reati-fine di cui ai capi 2) e 3). I giudici di appello avrebbero apoditticamente affermato che il ricorrente avrebbe svolto il ruolo di locatore degli spazi in cui veniva stoccata la merce ricettata, senza tenere conto che tale condotta sarebbe stata perpetrata il 7 novembre 2014 e, quindi, nel periodo “in cui l’imputato non viene in alcun modo riscontrato nelle telefonate captate” (vedi pag. 7 del ricorso).
A giudizio del ricorrente, infine, la sola circostanza che detti locali fossero a lui riconducibili non rappresenterebbe elemento da solo idoneo e sufficiente a confermare la sua partecipazione al sodalizio in esame.
NOME COGNOME e NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, propongono ricorso avverso la sentenza con la quale sono stati ritenuti responsabili dei reati di associazione a delinquere, detenzione illecita di stupefacenti e ricettazione e per l’effetto sono stati condannati alla pena di anni 7, mesi 8 di reclusione ed euro 35.000,00 di multa.
5.1. I ricorrenti, con il primo motivo di impugnazione, eccepiscono la violazione dell’art. 99 cod. pen. conseguente all’erroneo riconoscimento della recidiva.
I giudici di appello, limitandosi a valorizzare esclusivamente i precedenti penali dei ricorrenti, avrebbero omesso ogni valutazione concreta in ordine alla maggiore pericolosità degli imputati desumibile dai fatti oggetto di giudizio e idonea a giustificare l’aumento di pena a titolo di recidiva.
5.2. I ricorrenti, con il secondo motivo di impugnazione, eccepiscono violazione dell’art. 62-bis cod. pen. nonché carenza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza sulle contestate aggravanti, previa esclusione della contestata recidiva.
La Corte territoriale, omettendo in modo assoluto la considerazione e l’effettivo scrutinio delle censure difensive, avrebbe escluso la prevalenza delle attenuanti generiche esclusivamente in considerazione del divieto disposto dall’art. 69, comma quarto, cod. pen.; la motivazione posta a fondamento della deliberazione sarebbe, pertanto, incongrua, contraddittoria e manifestamente illogica “rispetto alla indicazione di tutte quelle circostanze, che per la stessa Corte sono segno di resipiscenza degli imputati” (vedi pag. 7 del ricorso).
NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, propone ricorso avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Napoli ha applicato, su concorde richiesta delle parti, la pena di anni 3 di reclusione ed euro 3.500,00 di multa in relazione ai reati di associazione a delinquere e ricettazione descritti nei capi 1) e 4) dell’imputazione.
Il ricorrente, con l’unico motivo di impugnazione, lamenta violazione degli artt. 129, 599-bis proc. pen. e 157 cod. pen., mancanza di motivazione in ordine alla insussistenza dei presupposti richiesti per la pronuncia di sentenza di proscioglimento nonché mancata dichiarazione di estinzione dei reati commessi in data 7 novembre 2014 per sopravvenuta prescrizione in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Conviene trattare, in esordio, alcuni aspetti rilevanti per la decisione della totalità dei ricorsi proposti dagli imputati o, comunque, comuni a molti di essi, fissando i princìpi di diritto che il Collegio intende applicare e, così, evitando inutil ripetizioni, che finirebbero per appesantire la motivazione.
Quanto alle statuizioni oggetto degli odierni ricorsi, si è in presenza di una c.d. doppia conforme con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d’appello a quella del primo giudice sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595, Sez. 2, n. 6560 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 280654 – 01; da ultimo Sez. 2, n. 38963 del 25/05/2023, Arcidiacono, non massimata).
È, infatti, giurisprudenza pacifica di questa Corte che la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sui punti denunciati, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico- giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare la congruità della motivazione, integrando e completando con quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella di appello (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191229; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, COGNOME, Rv. 276062, in motivazione; Sez. 2, n. 29007 del 09/10/2020, Casamonica, non mass.).
Tutti i motivi di ricorso presentati nell’interesse degli imputati (ad eccezione del primo motivo di impugnazione dedotto dal COGNOME) sono reiterativi di medesime doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti, all’interpretazione del materiale probatorio ed alla determinazione del trattamento sanzionatorio già formulate in sede di appello ed affrontate e disattese dalla Corte di merito in esito ad un adeguato scrutinio, trasfuso in una motivazione priva di aporie e illogicità manifeste.
Tenuto conto della peculiare modalità di redazione dei ricorsi, che hanno sostanzialmente riprodotto il contenuto dei motivi di appello, si rende opportuna un ulteriore premessa: la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce, tale revisione critica si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità, debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale del ricorso in cassazione è, pertanto, il confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento oggetto di impugnazione (in tal senso Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME,
Rv. 268822-02; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710 – 01; da ultimo Sez. 2, n. 39563 dell’08/09/2023, COGNOME, non nnassimata).
Il motivo di ricorso in cassazione è, infatti, caratterizzato da una duplice specificità, dovendo contenere l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell’impugnazione e contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, deducendo, in modo analitico, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente.
La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen, alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568-01; Sez. 2, n.11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425-01; da ultimo Sez. 2, n. 38707 del 22/06/2023, COGNOME, non massimata).
Risulta, pertanto, di chiara evidenza che, se il ricorso si limita a riprodurre il motivo di appello, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso, posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento impugnato, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato.
3. Deve essere, altresì, sottolineato come le doglianze formulate dai ricorrenti siano dirette – nei casi che verranno specificamente indicati – a contestare la ricostruzione del fatto non illogicamente operata dal tessuto motivazionale della sentenza impugnata, in termini sovrapponibili a quelli effettuati nella sentenza di primo grado; ciò senza considerare che, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non appartengono al controllo di legittimità sulla motivazione: la rilettura degli elementi fattuali posti a fondamento della decisione impugnata, il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova nonché l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, essendo invece tale controllo circoscritto alla verifica che il provvedimento impugnato contenga l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo sorreggono, che il discorso giustificativo sia effettivo ed idoneo a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata e, infine, che
nella motivazione non siano riscontrabili contraddizioni né illogicità evidenti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623-01; Sez. 2, n. 39563 dell’08/092023, COGNOME, non massimata).
Tutto ciò premesso, è possibile passare all’esame dei singoli ricorsi degli imputati.
4. Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile.
4.1. Il primo motivo di impugnazione con cui il ricorrente, per la prima volta, eccepisce la violazione dell’art. 266 cod. proc. pen. e la conseguente inutilizzabilità delle intercettazioni poste a fondamento della condanna è al contempo generico e manifestamente infondato.
Deve essere, preliminarmente, rimarcato che la difesa, senza procedere alla specifica indicazione e allegazione dei decreti autorizzativi delle intercettazioni e quindi senza dare la prova della verità di quanto affermato in ordine alla violazione dell’art. 266 cod. proc. pen., si è limitata ad affermare che le captazioni in atti sarebbero inutilizzabili nei confronti del ricorrente in quanto mero partecipe dell’associazione a delinquere di cui al capo 1) con conseguente carenza del requisito dell’autosufficienza del ricorso.
Il Collegio intende, in proposito, ribadire il principio di diritto secondo cui qualora in sede di legittimità venga eccepita l’inutilizzabilità di elementi probatori, è onere del ricorrente, a pena di inammissibilità del motivo per genericità, indicare specificamente l’atto asseritamente affetto dal vizio denunciato e curare che lo stesso sia comunque effettivamente acquisito al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità, anche provvedendo a produrlo in copia nel giudizio per cassazione (Sez. 4, n. 18335 del 28/06/2017, P.g. in proc. Conti, Rv. 273261 01; Sez. 4, n. 42182 del 14/09/2024, Bologna, non massimata).
Ciò premesso deve essere rimarcata l’insussistenza dell’eccepita violazione dell’art. 266 cod. proc. pen. in considerazione del fatto che la contestazione di cui al capo A) ha ad oggetto la violazione dei commi primo e secondo dell’art. 416 cod. pen. con conseguente unicità della fattispecie criminosa oggetto di giudizio ed irrilevanza della distinzione tra promotori e partecipi all’associazione a delinquere.
Deve essere, in proposito, affermato che non assume rilievo, ai fini della legittimità del decreto autorizzativo delle operazioni di intercettazione, l’omessa precisazione, in riferimento al fatto criminoso di associazione per delinquere per cui si procede, del ruolo associativo dei sottoposti ad indagine, se meri partecipi o partecipi qualificati, in considerazione dell’unicità della fattispecie in relazion alla quale vengono effettuate le attività di captazione.
Appare, infatti, evidente che nella fase iniziale delle indagini, caratterizzata dalla fluidità dell’incolpazione, le intercettazioni vengono disposte anche allo scopo di chiarire il ruolo che i vari indagati ricoprano nella associazione, ne consegue che la contestazione posta a fondamento del provvedimento autorizzativo non può che avere un carattere “indistinto”, che ricopra, quindi, entrambe le ipotesi previste dai commi primo e secondo dell’art. 416 cod. pen.
Di conseguenza, il giudizio prognostico che deve compiere il giudice per le indagini preliminari al fine di autorizzare o meno le richieste attività di intercettazione deve condurre ad una affermazione di probabilità che sia stato commesso, così come affermato dall’organo inquirente, uno dei reati per i quali è permessa la captazione delle conversazioni.
Nei reati associativi, in particolare, deve essere verificata, l’effettiva consistenza dell’ipotesi accusatoria e la qualificazione giuridica del fatto oggetto di indagine, a prescindere dal quantum di colpevolezza del singolo, trattandosi di una verifica che deve essere compiuta in relazione all’indagine nel suo complesso, senza un necessario riferimento alla responsabilità di ciascun indagato (vedi Sez. 6, n. 28252 del 6/04/2017, COGNOME, Rv. 270565-01; Sez. 2, n. 31440 del 24/07/2020, COGNOME, Rv. 280062 – 01).
I gravi indizi richiesti dagli artt. 266 e 267, cod. proc. pen. non attengono, infatti, alla colpevolezza di un determinato soggetto ma alla esistenza di un reato compreso tra quelli indicati nel primo comma dell’art. 266 cod. proc. pen. -ipotesi certamente sussistente nel caso in esame in quanto l’attività di captazione è stata disposta in relazione al reato di cui all’art. 416 cod. pen.-.
Peraltro, tale affermazione appare necessaria conseguenza del dettato normativo, che fa riferimento ai “gravi indizi di reato” e non ai “gravi indizi di colpevolezza”, espressione usata esclusivamente in tema di applicazione di misure cautelari personali dall’art. 273 cod. proc. pen.; ne consegue che per autorizzare un’attività di intercettazione non è necessario che i gravi indizi sussistano a carico di una persona già individuata né che gli stessi riguardino il soggetto le cui comunicazioni verranno captate (ex multis Sez. 2, n. 42763 del 20/10/2015, Russo, Rv. 265127-01; Sez. 1, n. 2568 del 18/09/2020, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 280354 – 01).
D’altronde, plurimi sono i casi in cui, confluendo, in un unico procedimento, più ipotesi di reato caratterizzate da una differente disciplina sia per il loro accertamento nel corso delle indagini preliminari che per la loro successiva verifica dibattimentale, si è ritenuto doversi applicare il principio della prevalenza della normativa riguardante il reato più grave (vedi ad esempio Sez. 6, n. 3609 del 03/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275880 – 01 in tema rinnovazione dell’assunzione della testimonianza ex art. 190-bis cod. proc. pen. nonché Sez.
5, n. 35123 del 02/07/2014, COGNOME, Rv. 260487 – 01 in tema di contestazioni a catena).
Ne consegue che le intercettazioni, correttamente disposte in presenza di gravi indizi di reità relativi alla fattispecie delittuosa di cui all’art. 416, co primo e secondo, cod. pen., possono essere utilizzate anche nei confronti dell’imputato che venga ritenuto mero partecipe dell’associazione in considerazione dell’unicità del reato contestato e dell’osservanza del principio di prevalenza della normativa riguardante il reato più grave fra quelli oggetto di contestazione.
4.2. Il secondo motivo è in parte generico ed aspecifico ed in parte non consentito.
4.2.1. La doglianza con cui il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’associazione a delinquere di cui al capo 1) dell’imputazione è generica ed aspecifica.
Il ricorrente, a fronte di una motivazione coerente con le risultanze probatorie e logicamente corretta, si limita a dedurre il vizio di motivazione con affermazioni generiche e prive di adeguato nesso critico con il percorso argomentativo delle sentenze di merito. Questa Corte ha stabilito, in proposito, che il ricorso è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto di diritto poste a fondamento della decisione impugnata (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, COGNOME, Rv. 268822 – 01) e che il requisito della specificità dei motivi implica l’onere di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi fondanti le censure addotte, al fine di consentire al giudice di legittimità di individuare i rilie mossi ed esercitare il proprio sindacato (Sez. 6, n. 17372 del 08/04/2021, COGNOME, Rv. 281112 – 01).
4.2.2. Ciò premesso deve essere rimarcato che entrambe le motivazioni di merito ricostruiscono in modo ineccepibile dal punto di vista logico-giuridico gli elementi da cui dedurre la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 416 cod. pen.
La Corte distrettuale, preso atto dell’assoluta genericità del motivo di appello, ha evidenziato, con motivazione che richiama le argomentazioni dal Giudice di primo grado come è fisiologico in presenza di una doppia conforme, gli elementi logico-fattuali da cui è stata desunta l’esistenza dell’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di un numero indefinito di ricettazione di farmaci provenienti da furti e rapine (numero dei partecipanti, precisa ripartizione di ruoli e responsabilità, piena consapevolezza del reciproco contributo causale alla realizzazione degli scopi associativi, stabile interazione delle condotte poste in
essere dagli indagati, organizzazione di beni e mezzi necessari alla commissione dei reati-fine, utilizzo di telefoni “dedicati” alle conversazioni legate all’attiv delittuosa, indeterminatezza del programma criminoso protrattosi nel tempo).
Il percorso motivazionale seguito dai giudici di merito, oltre ad essere correttamente fondato sulle risultanze indiziarie, è conforme agli orientamenti ermeneutici elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di dimostrazione della stabilità del vincolo associativo, dell’affectio societatis e della organizzazione di persone e mezzi finalisticamente volta alla commissione di reati, soprattutto ove si possa desumere, come nel caso di specie, un costante modus procedendi degli associati e l’attiva partecipazione alla realizzazione dei delitti-fine (vedi pagg. da 84 a 95 della sentenza di primo grado e pag. 12 della sentenza impugnata).
Deve quindi ritenersi corretta la valutazione dei giudici di merito laddove hanno ritenuto la sussistenza del contestato reato associativo, avendo fatto applicazione della giurisprudenza consolidata sulla base di una ricostruzione dei fatti conforme al parametro normativo e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità.
4.2.3. L’ulteriore censura, con cui viene eccepita violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’intraneità del ricorrente all’associazione a delinquere capeggiata da NOME e NOME COGNOME è aspecifica e non consentita.
4.2.3.1. A differenza di quanto apoditticamente affermato dal ricorrente, la Corte territoriale ha valutato e confutato le argomentazioni difensive nonché indicato in modo approfondito ed articolato gli elementi logico-probatori da cui desumere il ruolo del COGNOME all’interno del sodalizio oggetto di giudizio.
In particolare, i giudici dell’appello hanno affermato, con motivazione ineccepibile in punto di logica, come dalle conversazioni intercettate e dai servizi di osservazione in atti, emerga una serie di indicatori oggettivi di appartenenza al sodalizio criminale. Il contributo attivo del ricorrente è stato, infatti, correttament desunto dalla durata della relazione con una connotazione fiduciaria, comprovata dall’affidamento della distribuzione e commercializzazione dei farmaci di provenienza delittuosa nel Nord Italia, grazie alla complicità di farmacie “compiacenti”, e dal rapporto personale intrattenuto con il capo dell’associazione, NOME COGNOME e con l’affiliato NOME COGNOME. Siffatte emergenze avvalorano la conclusione dei giudici territoriali in ordine alla concreta consapevolezza del COGNOME dell’esistenza dell’associazione diretta dagli COGNOME, all’ insostituibile ruol gestionale ricoperto dal ricorrente ed alla concreta adesione al programma criminoso dell’associazione in esame (vedi pagg. 12 e 13 della sentenza di appello e pagg. da 123 a 127 della sentenza di primo grado).
I giudici di merito hanno adeguatamente sottolineato che l’apporto del COGNOME non si esaurisce nel ruolo statico-formale di affiliato, ma assume la veste dinamica di soggetto stabilmente a disposizione per le attività organizzate dell’associazione a delinquere.
Tale ricostruzione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e per insindacabili in questa sede.
4.2.3.2. Il percorso argomentativo seguito dai giudici di merito non è validamente contrastato dalle critiche contenute nel ricorso, le quali mirano, attraverso una lettura parcellizzata degli elementi a carico passati puntualmente in rassegna dalla Corte distrettuale, a svilirne la necessaria pregnanza contenutistica.
Deve essere, in proposito, rimarcato che il motivo di ricorso è palesemente diretto a contestare, attraverso una lettura disarticolata del compendio dimostrativo, la rilevanza dei singoli dati probatori, così proponendo una loro lettura alternativa che, collocandosi nella sfera degli apprezzamenti di merito, fuoriesce completamente dal perimetro del sindacato di legittimità, non risultando la lamentata difformità in alcun modo idonea a determinare il dedotto vizio motivazionale.
La motivazione oggetto di censura è fondata, in conclusione, su una valutazione globale e completa in ordine a tutti gli elementi rilevanti acquisiti e si appalesa esente da errori nell’applicazione delle regole della logica come pure da contraddizioni interne tra i diversi momenti di articolazione del giudizio, sottraendosi, pertanto, a rilievi in questa sede.
4.3. Il terzo motivo è articolato esclusivamente in fatto e, quindi, proposto al di fuori dei limiti del giudizio di legittimità, restando estranei ai poteri de Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi probatori posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti.
4.3.1. Il compendio probatorio correttamente riportato e valutato nelle sentenze di merito, in mancanza di giustificazioni alternative valide e dotate di un minimo di ragionevolezza, ha indotto i giudici di appello ad affermare, con percorso argomentativo privo di evidente illogicità, che il COGNOME ha concorso nella commissione del reato di ricettazione di cui al capo 4 (vedi pag. 14 della sentenza impugnata e pag. da 152 a 157 della sentenza di primo grado).
La Corte territoriale, con motivazione congrua rispetto alle risultanze processuali ed esente da vizi logico-giuridici, ha correttamente indicato e valutato
gli elementi probatori ritenuti idonei a dimostrare la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di ricettazione e la responsabilità concorsuale del COGNOME (attività di o.c.p. svolta dal 28 agosto al 4 novembre 2014, verbale di sequestro del 6 giugno 2014 nonché conversazioni intercettate dagli inquirenti).
La sussistenza dell’elemento materiale del reato contestato è stata desunta, con il supporto di una motivazione esente da criticità giustificative, dall’accertata provenienza illecita della gran parte dei farmaci, dalla detenzione in luoghi diversi dai depositi farmaceutici da parte di soggetti che non esercitano attività nel settore sanitario nonché dalla detenzione di farmaci destinati ad esclusivo uso ospedaliero e, quindi, non detenibili dai privati cittadini.
Inoltre, giudici di merito hanno correttamente ritenuto sussistente l’elemento soggettivo di cui all’art. 648 cod. pen., dando seguito al principio di diritto secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (vedi Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2017, COGNOME, Rv. 270120- 01; da ultimo Sez. 2, n. 26881 del 25/05/2022, COGNOME, non massimata). Non si richiede, pertanto, all’imputato di provare la provenienza del possesso delle cose, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell’origine del possesso delle cose medesime, assolvendo non ad un onere probatorio, bensì ad un onere di allegazione di elementi, che potrebbero costituire l’indicazione di un tema di prova per le parti e per il giudice o che comunque possano essere valutati da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento (in tal senso, Sez. U, n. 35535 del 12/07/2007, COGNOME, in motivazione, Rv. 236914 – 01; Sez. 2, n. 53017 del 22/11/2016, COGNOME, Rv. 268713 – 01; da ultimo Sez. 2, n. 6682 del 12/01/2023, Chiaveggati, non massimata). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4.3.2. Il ricorrente, senza confrontarsi con quanto motivato dal Tribunale al fine di confutare le censure difensive, si è limitato a reiterare le medesime doglianze asseritamente pretermesse, chiedendo a questa Corte di entrare nella valutazione dei fatti e di privilegiare, tra le diverse ricostruzioni, quella a loro gradite, senza confrontarsi con le emergenze indiziarie determinanti per la formazione del convincimento dei giudici di merito.
In particolare, il ricorso fa leva su considerazioni generiche ed astratte che non trovano sostegno in massime di esperienza tratte da orientamenti largamente diffusi nello specifico contesto spazio-temporale ma su congetture insuscettibili di verifica empirica. (b
Il ricorrente, dunque, si è limitato a proporre una propria interpretazione dei comportamenti oggetto di accertamento, di fatto non contestati, ma semplicemente diversamente valutati in una lettura alternativa e parziale dei dati acquisiti, ipotizzando una diversa connotazione dell’incidenza delle condotte poste in essere, introducendo elementi astratti e non coerenti con l’ampia mole di elementi acquisiti, senza che effettivamente possa essere riscontrata alcuna violazione di legge e vizio motivazionale.
Deve essere ribadito, sul punto che la Corte di Cassazione, che è giudice della motivazione e dell’osservanza della legge, non può divenire giudice del contenuto della prova, non competendole un controllo sul significato concreto di ciascun elemento probatorio, riservato al giudice di merito, essendo consentito alla Corte regolatrice esclusivamente l’apprezzamento della logicità della motivazione. Di conseguenza, non è compito del giudice di legittimità stabilire se la decisione di merito proponga o meno la migliore ricostruzione dei fatti né condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia, come nel caso di specie, compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (vedi Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, COGNOME, Rv. 280601 – 01; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01).
4.4. Il quarto motivo è in parte tardivo e manifestamente infondato ed in parte aspecifico.
4.4.1. La doglianza, non dedotta con l’atto di appello, con cui il ricorrente eccepisce la genericità dell’imputazione limitatamente alla contestazione dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità stante la mera indicazione dell’art. 61 n. 7 cod. pen. in assenza di una specifica enunciazione in fatto, è tardiva.
Il Collegio intende dare seguito al principio di diritto secondo cui la nullità conseguente alla genericità ed indeterminatezza dell’imputazione dev’essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine di cui all’art. 491 cod. proc. pen., trattandosi di nullità relativa (Sez. 3, n. 19649 del 27/02/2019, S., Rv. 275749 01; Sez. 3, n. 3369 del 10/09/2024, COGNOME, non massimata).
Ciò premesso, deve essere affermato che la Corte di merito ha rimarcato l’inammissibilità del motivo di appello stante l’assoluta genericità della richiesta con cui il COGNOME si era limitato ad invocare l’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 7 cod. pen. senza esporre alcuna argomentazione a fronte di tale richiesta (vedi pag. 3 dell’atto di appello) e la conseguente esclusione dal devolutum “delle argomentazioni spese nella memoria difensiva del nuovo difensore” (vedi pag. 15 della sentenza oggetto di ricorso).
La Corte territoriale ha correttamente dato seguito al principio di diritto secondo cui l’appello è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto all ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza di primo grado (Sez. Un., n. 8825 del 27/10/2016, COGNOME, Rv. 268822 – 01; negli stessi termini Sez. 4, n. 36154 del 12/09/2024, COGNOME, Rv. 287205 – 01) nonché all’ulteriore principio in virtù del quale l’indicazione di motivi generici nel ricorso in appello non può essere superata mediante l’integrazione effettuata a mezzo di memorie presentate in sede di discussione o di motivi aggiunti depositati nei termini di legge (Sez. 2, n. 34216 del 29/04/2014, COGNOME, Rv. 260851 – 01 Sez. 5, n. 2425 del 31/10/2024, COGNOME, Rv. 287496 – 02).
4.4.2. Il riconoscimento della recidiva è basato su motivazione esente da vizi logici e giuridici nonché coerente con le risultanze processuali e, quindi, insindacabile in sede di legittimità. La Corte territoriale ha correttamente valutato come la progressione criminosa renda evidente la presenza di una accentuata pericolosità e di una sostanziale indifferenza alla pregressa stigmatizzazione e sanzione di cui la commissione del reato contestato fornisce piena dimostrazione (vedi pag. 15 della sentenza impugnata in ordine ai numerosi precedenti specifici del COGNOME ed alla mancata interiorizzazione di un percorso di emenda nonostante le pregresse condanne a pene anche elevate), fornendo, quindi, un percorso motivazionale privo di illogicità manifesta e conforme all’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di riconoscimento della recidiva. La replica contenuta nel ricorso si limita a negare tali circostanze, contro l’evidenza della loro sussistenza con conseguente aspecificità del ricorso.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile.
5.1 II primo motivo è generico e non consentito.
5.1.1. Il ricorrente si è limitato a sostenere che le conversazioni intercettate sarebbero inidonee a dimostrare la sua partecipazione all’associazione a delinquere di cui al capo 1) senza contestare un effettivo travisamento del contenuto delle captazioni con conseguente non deducibilità della doglianza in sede di legittimità.
È necessario ribadire, in proposito, che, in sede di legittimità, è possibile prospettare un’interpretazione del significato di un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia laddove il decidente ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e tale difformità risulti decisiva ed incontestabile così da rendere manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono
recepite (cfr., Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259516-01; Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 27255801; Sez. 5, n. 2245 del 14/12/2022, dep. 2023, Vallepiano, non mass.), difformità non eccepite nel caso di specie.
La valutazione dei contenuti delle conversazioni captate è, infatti, un apprezzamento di merito che investe il significato e, dunque la capacità dimostrativa della prova, sicché la sua critica è ammessa in sede di legittimità solo ove si rilevi una illogicità manifesta e decisiva della motivazione o una decisiva discordanza tra la prova raccolta e quella valutata (Sez.2, n. 35181 del 22/5/2013, Vecchio, Rv. 257784-01; Sez. 1, n. 3019 del 27/09/2022, dep. 2023, Cremona, non mass.; Sez. 2, n. 6414 del 23/11/2022, dep. 2023, COGNOME, non mass.).
5.1.2. Relativamente agli elementi di fatto su cui fonda l’attribuzione al COGNOME della condotta di partecipe dell’associazione per delinquere, la sentenza impugnata indica una pluralità di circostanze ritenute gravemente indizianti. In particolare, i giudici di merito hanno sottolineato i continui contatti tra il cap dell’associazione –NOME COGNOME ed il ricorrente, la concreta e reiterata disponibilità del COGNOME ad eseguire gli ordini dell’COGNOME e, quindi, a partecipare alle diverse attività del sodalizio criminale, la percezione settimanale di una retribuzione per tali condotte corrispostagli direttamente da NOME e NOME COGNOME; circostanze che trovano fondamento nel contenuto gravemente indiziante delle intercettazioni in atti e delle relazioni di servizio attestanti il ruolo di uo di fiducia dell’COGNOME ricoperto dal COGNOME (pagg. da 110 a 112 della sentenza di primo grado nonché pag. 5 della sentenza di appello).
Le conclusioni della Corte d’appello sono immuni da vizi. Ed infatti, la sentenza impugnata indica una serie di elementi logico-fattuali idonei a dimostrare come il COGNOME abbia realizzato in modo continuativo e consapevole comportamenti concretizzanti una attiva, stabile ed importante partecipazione alle attività del sodalizio. Si tratta, infatti, di condotte tutte funzionali all’eserc e all’espansione coordinata delle attività dell’associazione a delinquere capeggiata dagli COGNOME.
Né siffatte conclusioni possono essere messe in crisi dalle censure contenute nel ricorso. Si tratta, infatti, di doglianze le quali, in realtà, propongono una lettura alternativa delle risultanze istruttorie, senza confrontarsi compiutamente con le plurime indicazioni fornite dalla sentenza di primo grado e dalla conforme sentenza impugnata.
5.2 II secondo motivo è generico e non consentito.
La difesa, infatti, si è limitata a sostenere una generica eccessività ed incongruità del trattamento sanzionatorio, rassegnando poi le conclusioni favorevoli al proprio assistito senza alcuna valida confutazione delle argomentazioni espresse dai giudici di merito.
La Corte territoriale ha adeguatamente motivato in ordine alla congruità della pena stante l’oggettiva gravità della condotta ed i plurimi precedenti specifici a carico del ricorrente (vedi pag. 7 della sentenza impugnata), elementi con i quali il ricorso ha omesso di confrontarsi con conseguente difetto di specificità del ricorso.
In proposito, deve essere ribadito il principio di diritto secondo cui la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, nell’osservanza dei criteri stabiliti dagli artt. 133 e 133-bis cod. pen., è sufficiente che richiami la gravità del reato o la capacità a delinquere dell’imputato con espressioni del tipo: «pena congrua», «pena equa» o «congruo aumento», essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena, diversamente dal caso di specie, sia di gran lunga superiore alla misura media edittale (cfr. Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243-01);
Ne discende che è inammissibile la censura che, come nel caso di specie, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, COGNOME, Rv. 259142; Sez. 2, n. 43893 del 29/09/2022, COGNOME, non massimata), vizi non ravvisabili nel caso oggetto di scrutinio.
6. Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile.
L’unico motivo di impugnazione è aspecifico e non consentito in quanto ripropone argomentazioni generiche, assertive e di merito, senza confrontarsi con la motivazione elaborata sul punto dai giudici dell’appello.
6.1. Le doglianze difensive, depurate dagli accenti di mero segno fattuale che le permeano, enunciano proposizioni distoniche rispetto alla decisione impugnata, la quale, attraverso un percorso valutativo lineare e giuridicamente corretto, espone in maniera adeguata gli elementi che corroborano il solido quadro probatorio asseverante la penale responsabilità di NOME COGNOME in ordine al reato di cui all’art. 416 cod. pen.
La valutazione finale della Corte territoriale circa l’esistenza di un durevole apporto di rafforzamento e di progressione nel conseguimento delle finalità dell’associazione criminosa risulta immune da rilievi censori sul piano logico e da aporie di carattere giuridico.
Il contributo attivo del COGNOME è, infatti, correttamente desunto dai servizi di osservazione svolti dalla polizia giudiziaria e dall’inequivocabile tenore delle conversazioni intercettate attestanti la sua partecipazione, in ossequio delle direttive di NOME COGNOME all’attività di gestione, stoccaggio e distribuzione dei farmaci di provenienza delittuosa nonché al reperimento dei mezzi adoperati per il trasporto degli stessi, i continuativi contatti con COGNOME NOME e con il padre NOME -anche finalizzati alla materiale consegna della retribuzione settimanalmente percepita dal ricorrente per le attività svolte per conto dell’associazione- nonché le interlocuzioni con i sodali NOME COGNOME e NOME COGNOME in merito alle attività da svolgere in esecuzione del generico piano criminoso (vedi pagg. da 112 a 116 della sentenza di primo grado e pagg. 9 e 10 della sentenza impugnata).
Il giudizio espresso nella doppia decisione conforme non presenta aspetti di illogicità o contraddittorietà, posto che il tenore delle prove valutate in motivazione consente di affermare la correttezza della valutazione dei giudici di merito che hanno ritenuto provato il ruolo di partecipe del COGNOME
A fronte di tale compendio ricostruttivo, che si salda coerentemente con quello proposto dalla sentenza di primo grado, il motivo di ricorso è palesemente diretto a contestare, attraverso una lettura parcellizzata della motivazione, la rilevanza probatoria dei singoli dati indiziari così proponendo una loro lettura alternativa che, collocandosi nella sfera degli apprezzamenti di merito, esula dal perimetro cognitivo del giudizio di legittimità.
6.2. Quanto alle censure difensive inerenti all’inidoneità del contenuto delle intercettazioni a dimostrare la partecipazione al sodalizio criminoso oggetto di giudizio è qui sufficiente richiamare quanto già argomentato (par. 7.1.) in ordine ai principi di diritto affermati da questa Corte in materia di interpretazione delle conversazioni intercettate e dei limiti di sindacabilità delle stesse.
Nel caso di specie, il ricorrente non ha rappresentato la divergenza tra il contenuto delle conversazioni trascritte e quelle registrate, ma si è limitato a obiettare circa l’efficacia dimostrativa della sua partecipazione al sodalizio criminale ed a proporre una visione alternativa alla realtà posta alla base della decisione impugnata, sicché devono ritenersi non consentite le censure sviluppate nel motivo di ricorso stante l’assenza di travisamento del contenuto delle intercettazioni da parte dei giudici di merito.
6.3. L’ulteriore doglianza, con cui si pretende di desumere l’estraneità del ricorrente all’associazione a delinquere dalla contestuale assoluzione in ordine ai reati-fine di cui ai capi 2) e 3), riposa su un assunto giuridicamente destituito di
pregio, costituendo tale proscioglimento elemento del tutto inidoneo a confutare la ricostruzione logico-fattuale fornita dai giudici di appello.
Infatti, il reato di partecipazione all’associazione per delinquere è del tutto autonomo rispetto alla consumazione dei reati-fine e può persino prescinderne in considerazione del fatto che detta fattispecie delittuosa è a forma libera, richiedendo esclusivamente la prestazione di un contributo apprezzabile, ancorché minimo ma non insignificante, alla realizzazione del progetto criminoso perseguito dal sodalizio stante l’autonomia del reato associativo.
Va, in proposito, ribadito il principio di diritto secondo il quale il reat associativo, secondo la struttura tipica dei reati di pericolo presunto, si consuma anche con la sola adesione all’associazione da parte del singolo, il quale mettendosi a disposizione per il perseguimento dei comuni fini criminosi accresce, per ciò solo, la potenziale capacità operativa e la temibilità dell’associazione (Sez. 3, n. 9459 del 06/11/2015, Venere, Rv. 266710 – 01; Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, COGNOME, Rv. 280703 – 02).
7. Il ricorso proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME è inammissibile.
7.1. Il primo motivo dedotto dai ricorrenti è aspecifico.
L’applicazione della recidiva è basata su motivazione adeguata, logica e coerente con le risultanze processuali e, quindi, insindacabile in sede di legittimità.
La Corte territoriale, rispondendo alla doglianza della difesa, ha correttamente valutato come la progressione criminosa resa palese dalla pluralità di delitti della medesima indole posti in essere dagli COGNOME renda evidente la presenza di una pericolosità ingravescente di cui la commissione dei delitti oggetto del presente procedimento è dimostrazione ulteriore (vedi pag. 3 della sentenza impugnata), fornendo, quindi, un percorso motivazionale privo di illogicità e conforme all’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di riconoscimento della recidiva.
La replica contenuta nel ricorso si limita a negare tali circostanze, contro l’evidenza della loro sussistenza con conseguente aspecificità del ricorso.
7.2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
I giudici di appello hanno correttamente applicato il disposto dell’art. 69, comma quarto, cod. pen. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva di cui all’art. 99, comma quarto, cod. pen. (vedi pag. 4 della sentenza impugnata).
Deve essere evidenziato che detto divieto è formulato in modo generale e assoluto, sicché si applica sia per le attenuanti comuni sia per le attenuanti generiche ogniqualvolta il giudice di merito ritenga, come nel caso di specie,
applicabile la recidiva reiterata. Ne consegue la manifesta infondatezza delle censure difensive inerenti all’eccepita carenza di valutazione delle circostanze logico-fattuali che dimostrerebbero la sopravvenuta resipiscenza manifestata degli imputati.
L’unico motivo dedotto da NOME COGNOME è in parte non consentito ed in parte manifestamente infondato.
8.1. La doglianza con cui il ricorrente lamenta erronea applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen. e vizio di motivazione in ordine alla mancata pronuncia di sentenza di proscioglimento, è proposta per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge.
Questa Corte ha avuto più volte modo di rilevare che il ricorso avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. è ammissibile solo se vengano dedotti motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice rispetto a quanto concordato, motivi non dedotti nel caso di specie.
Nel cd. patteggiamento della pena in appello le parti esercitano il potere dispositivo loro riconosciuto dalla legge, dando vita a un negozio processuale liberamente stipulato che, una volta consacrato nella decisione del giudice, non può essere unilateralmente modificato – salva l’ipotesi di illegalità della pena concordata – da chi lo ha promosso o vi ha aderito, mediante proposizione di apposito motivo di ricorso per cassazione (Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004, Rv. 226715; Sez. 3, n. 19983 del 09/06/2020, Rv. 279504 – 01).
8.2. L’ulteriore doglianza con cui si lamenta la mancata dichiarazione di estinzione dei reati per sopravvenuta prescrizione è manifestamente infondata.
In relazione al reato associativo, il Collegio intende dare seguito al principio di diritto secondo cui, in presenza di un reato permanente nel quale la contestazione sia stata effettuata nella forma cosiddetta “aperta”, la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado (Sez. 6, n. 3054 del 14/12/2017, P.g. in proc. COGNOME, Rv. 272138 – 01; Sez. 2, n. 680 del 19/11/2019, COGNOME, Rv. 277788 – 01).
Di conseguenza, tenuto conto della data della sentenza di primo grado (06 novembre 2019) e delle cause di sospensione verificatesi (correttamente e dettagliatamente indicate a pag. 2 sentenza oggetto di ricorso) pari a complessivi anni 1, mesi 5 e giorni 9, il termine finale di prescrizione del reato associativo contestato al Pensilino maturerà in data 15 ottobre 2028.
Parimenti, in considerazione della data di consumazione del reato di ricettazione (7 maggio 2017) e delle già indicate cause di sospensione, il termine
finale di prescrizione del reato di cui al capo 4) maturerà in data 19 aprile 2025
con conseguente manifesta infondatezza della doglianza.
9. All’inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata.
I ricorrenti COGNOME NOMECOGNOME ErnestoCOGNOME COGNOME e COGNOME
NOME COGNOME devono essere, altresì, condannati alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile Roche s.p.a. che, in base alla qualità dell’opera prestata in
relazione alla natura e all’entità delle questioni dedotte, vanno liquidate nei termini precisati in dispositivo.
La richiesta di rifusione delle spese avanzate dalla parte civile nei confronti di COGNOME Pasquale e COGNOME NOME deve essere rigettata in quanto i motivi del
ricorso dichiarato inammissibile hanno ad oggetto esclusivamente la determinazione del trattamento sanzionatorio (vedi Sez. 1, n. 51166 del
11/06/2018, COGNOME Rv. 274935 – 01; Sez. 1, n. 36686 del 14/02/2023, Vena,
Rv. 285236 – 01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, NOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE s.p.a.RAGIONE_SOCIALE in persona del leg. rappr. p.t., che liquida in complessivi euro 2.000/00 oltre accessori di legge. Rigetta la rifusione delle spese di parte civile nei confronti di COGNOME Pasquale e COGNOME Vincenzo.
Così deciso il 20 febbraio 2025
Il Pres ente