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Associazione a delinquere: conflitti interni e reato

La Cassazione conferma la custodia in carcere per un soggetto accusato di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico e tentata estorsione. I conflitti interni con i capi dell’organizzazione non escludono la partecipazione al sodalizio criminale, e il tentativo di recuperare denaro di provenienza illecita con violenza integra il reato di estorsione, non un esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione a delinquere: quando i conflitti interni non escludono la partecipazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 38479/2024, ha affrontato un caso complesso che tocca i confini dell’associazione a delinquere, la sua distinzione con reati connessi come l’estorsione e la valutazione delle esigenze cautelari. La pronuncia chiarisce un punto fondamentale: i conflitti, anche di natura economica, tra i membri di un sodalizio criminale non sono sufficienti, di per sé, a escludere la partecipazione di un soggetto all’organizzazione stessa. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I fatti del caso

Un soggetto veniva sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere con gravi accuse: partecipazione a un’associazione criminale dedita al traffico di stupefacenti, con il ruolo di intermediario e finanziatore; un episodio specifico di cessione di droga; e una tentata estorsione aggravata ai danni di uno dei capi dell’organizzazione. Quest’ultima accusa nasceva dal tentativo dell’indagato di recuperare una cospicua somma di denaro, di provenienza illecita, che il capo gli aveva sottratto con l’inganno. Il Tribunale del Riesame confermava la misura detentiva, basandosi su intercettazioni che ricostruivano le dinamiche interne al gruppo criminale.

I motivi del ricorso in Cassazione

L’indagato presentava ricorso in Cassazione lamentando diversi vizi. In sintesi, sosteneva:
1. Carenza di prova sulla sua partecipazione all’associazione, data l’occasionalità del suo coinvolgimento e l’incompatibilità logica tra l’essere membro e il tentare di estorcere un leader del gruppo.
2. Errata qualificazione giuridica della tentata estorsione, che a suo dire doveva essere ricondotta al reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni o di violenza privata, poiché il suo unico scopo era recuperare il denaro sottratto.
3. Inadeguatezza della custodia in carcere, ritenuta una misura sproporzionata, soprattutto qualora fosse caduta l’accusa di associazione.

L’associazione a delinquere e i conflitti interni: la valutazione della Corte

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le censure proposte generiche e volte a una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità. Sul punto cruciale dell’associazione a delinquere, i giudici hanno ribadito che la partecipazione al sodalizio era stata correttamente provata sulla base del materiale investigativo. Le intercettazioni dimostravano un ruolo attivo dell’indagato come finanziatore e intermediario, in contatto con vari esponenti del gruppo.

La Corte ha chiarito che il contrasto sorto con il capo per la sottrazione del denaro non è un elemento che esclude l’appartenenza al gruppo. Al contrario, la giurisprudenza consolidata ammette che la diversità di scopi personali o i contrasti sugli interessi economici non ostacolano la costituzione del vincolo associativo e la realizzazione del fine comune dell’organizzazione criminale.

La distinzione tra estorsione ed esercizio arbitrario

Un altro punto chiave della sentenza riguarda la corretta qualificazione del reato commesso per recuperare il denaro. La difesa sosteneva che si trattasse di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. La Cassazione ha respinto questa tesi, affermando un principio fondamentale: per configurare tale reato, la pretesa del soggetto agente deve avere una base legale. In questo caso, il denaro che l’indagato cercava di recuperare era stato acquisito illecitamente. Non potendo vantare una pretesa tutelabile dall’ordinamento giuridico, la sua azione violenta, finalizzata a ottenere un profitto ingiusto (il rientro in possesso del denaro illecito), integrava pienamente il delitto di tentata estorsione aggravata.

La sussistenza delle esigenze cautelari

Infine, la Corte ha confermato la correttezza della valutazione sulle esigenze cautelari. La custodia in carcere è stata ritenuta adeguata non solo per la gravità dei reati contestati (in particolare il delitto associativo, che gode di una presunzione di pericolosità), ma anche per l’attuale inserimento dell’indagato in circuiti criminali, l’uso di metodi violenti e intimidatori, e il concreto pericolo di recidiva. Il decorso di circa un anno e mezzo dai fatti non è stato considerato sufficiente a neutralizzare tale pericolo, data la persistenza della struttura associativa e la gravità delle condotte.

Le motivazioni

La decisione della Corte si fonda su un’analisi rigorosa dei presupposti normativi e giurisprudenziali. I giudici hanno sottolineato che il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito, ma deve limitarsi a verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione del provvedimento impugnato. Nel caso di specie, il Tribunale del Riesame aveva fornito una motivazione coerente e priva di vizi logici sia sulla gravità indiziaria sia sulle esigenze cautelari.

La Corte ha ribadito che la prova della partecipazione a un’associazione criminale può basarsi sulla poliedrica attività del soggetto, funzionale al perseguimento dei fini illeciti del gruppo. Il conflitto interno, lungi dall’escludere tale partecipazione, può essere una delle dinamiche relazionali all’interno del sodalizio stesso. Allo stesso modo, la qualificazione di un fatto come estorsione piuttosto che come esercizio arbitrario dipende dalla natura, lecita o illecita, della pretesa vantata. Se la pretesa è illegittima, l’uso della violenza per realizzarla costituisce sempre estorsione.

Le conclusioni

La sentenza in esame riafferma principi consolidati in materia di associazione a delinquere e reati contro il patrimonio. In primo luogo, stabilisce che la coesione interna non è un requisito indefettibile per la sussistenza del vincolo associativo, che può resistere anche a fronte di conflitti economici tra i sodali. In secondo luogo, traccia una linea netta tra l’estorsione e l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ancorando quest’ultimo alla legittimità della pretesa che si intende far valere. Infine, conferma che la valutazione sulla pericolosità sociale ai fini delle misure cautelari deve basarsi su elementi concreti e attuali, considerando la personalità dell’indagato e il contesto criminale in cui opera, senza che il mero decorso del tempo possa, da solo, escludere il rischio di recidiva.

Un conflitto economico tra un membro e i capi di un’organizzazione criminale esclude la sua partecipazione all’associazione a delinquere?
No. Secondo la sentenza, i contrasti interni, anche di natura economica, non sono sufficienti a escludere l’appartenenza di un soggetto al sodalizio criminale, poiché la diversità di scopi personali o di interessi economici non impedisce la costituzione del vincolo associativo e la realizzazione del programma criminale comune.

Quando il tentativo di recuperare una somma di denaro costituisce estorsione e non esercizio arbitrario delle proprie ragioni?
Costituisce estorsione quando la somma di denaro che si cerca di recuperare ha un’origine illecita. Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni presuppone che il soggetto agisca per far valere una pretesa che, almeno in astratto, potrebbe essere tutelata in sede giudiziaria. Se la pretesa non ha alcuna base legale, l’uso di violenza o minaccia per ottenerla integra il delitto di estorsione.

Il tempo trascorso dai fatti è sufficiente a escludere l’attualità del pericolo di recidiva per una misura cautelare?
No, non necessariamente. La Corte ha stabilito che il decorso del tempo (in questo caso circa un anno e mezzo) non è di per sé sufficiente a far venir meno l’attualità del pericolo di recidiva, specialmente in presenza di reati gravi come l’associazione a delinquere, la persistenza di legami con contesti criminali e una personalità incline a commettere reati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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