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Associazione a delinquere: Cassazione su spaccio

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto accusato di essere l’organizzatore di un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. La sentenza conferma che la vendita di piccole dosi non diminuisce la pericolosità del sodalizio se supportata da una solida struttura organizzativa, come un ‘centralino’ per gli ordini e una gestione strategica dei pusher, giustificando così la custodia cautelare in carcere.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione a Delinquere e Spaccio: La Decisione della Cassazione

Quando si parla di traffico di stupefacenti, è fondamentale distinguere tra lo spaccio individuale e l’operato di una vera e propria associazione a delinquere. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti su quali elementi caratterizzano un’organizzazione criminale strutturata, anche quando le singole cessioni di droga riguardano piccole quantità. La decisione analizza il caso di un gruppo criminale che operava con un metodo quasi ‘aziendale’, dimostrando che la pericolosità non si misura solo dal peso della droga sequestrata.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine da un’indagine su un gruppo criminale dedito al traffico di hashish, marijuana e cocaina. L’attività investigativa, partita dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, è stata confermata da intercettazioni, servizi di osservazione e riprese video. È emersa l’esistenza di un sodalizio ben organizzato, composto da più di tre persone, con ruoli definiti, basi logistiche e un sistema rodato che garantiva un flusso costante di droga.

L’organizzazione si serviva di un vero e proprio ‘centralino’ telefonico per raccogliere gli ordini, gestito da uno degli indagati, considerato il braccio destro del capo. Questo soggetto aveva anche le chiavi del ‘nascondiglio’ dove veniva stoccata la droga. Le consegne ai clienti venivano effettuate da pusher ‘di turno’, che si muovevano su un’ampia zona. Una delle caratteristiche del gruppo era la sua resilienza: anche a seguito di arresti, l’attività riprendeva rapidamente, semplicemente cambiando i numeri di telefono e reclutando nuovi ‘ragazzi’.

L’Analisi della Corte sull’Associazione a Delinquere

La difesa dell’indagato, raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, ha tentato di minimizzare la gravità dei fatti, chiedendo una riqualificazione del reato in un’ipotesi meno grave. Secondo la tesi difensiva, il sequestro di un quantitativo non eccezionale di cocaina (136 grammi) e la vendita di piccole dosi sarebbero stati indicativi di un’attività di lieve entità.

La Corte di Cassazione, confermando la decisione del Tribunale del Riesame, ha rigettato completamente questa interpretazione. I giudici hanno sottolineato che la scelta di vendere piccole quantità non era un indice di minore pericolosità, ma una precisa strategia operativa. Questa modalità, infatti, mirava a limitare i danni in caso di controlli di polizia e arresti, riducendo le quantità di droga in possesso dei singoli spacciatori. L’elevatissimo numero di cessioni accertate (oltre 1.100) e i ritmi di lavoro ‘insostenibili’, come definiti dagli stessi indagati, dimostravano la vastità del giro d’affari.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le argomentazioni difensive generiche e incapaci di scalfire il solido impianto accusatorio. La motivazione del Tribunale è stata giudicata logica e coerente. L’esistenza di una stabile associazione a delinquere era provata da plurimi elementi oggettivi:

* Struttura Organizzativa: la presenza di un capo, di un organizzatore (il ricorrente) e di vari esecutori, con una chiara ripartizione dei compiti.
* Centralizzazione: la gestione degli ordini tramite un ‘centralino’ e la comunicazione centralizzata dei nuovi numeri di telefono ai clienti.
* Continuità Operativa: la capacità del gruppo di riorganizzarsi e proseguire l’attività anche dopo gli arresti di alcuni membri.
* Logistica: la disponibilità di un ‘nascondiglio’ per lo stoccaggio dello stupefacente.

Per quanto riguarda la misura cautelare, la Corte ha confermato la necessità della custodia in carcere. Per il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti opera una presunzione di pericolosità. Nel caso specifico, tale presunzione era rafforzata dalla manifesta competenza organizzativa e dalla particolare pervicacia dimostrata dal gruppo, che non si era fermato neanche di fronte ai controlli e agli arresti subiti nel corso delle indagini. Di conseguenza, misure meno afflittive come gli arresti domiciliari sono state ritenute inadeguate a contenere il rischio di reiterazione del reato.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio cruciale: la valutazione della pericolosità di un’organizzazione criminale non può basarsi unicamente sui quantitativi di droga sequestrati. Elementi come la struttura, la stabilità, le modalità operative e la capacità di resistere all’azione repressiva dello Stato sono indicatori molto più significativi. La presenza di un’organizzazione metodica, capace di gestire un numero enorme di cessioni attraverso un sistema centralizzato, qualifica il fatto come un’ipotesi grave di associazione a delinquere, giustificando l’applicazione delle più severe misure cautelari previste dal nostro ordinamento.

La vendita di piccole dosi di droga esclude l’esistenza di una pericolosa associazione a delinquere?
No. Secondo la Corte, la scelta di compiere cessioni di piccole quantità può essere una strategia del sodalizio per ridurre i rischi in caso di controlli e non costituisce un indice di minore pericolosità, soprattutto a fronte di un numero elevatissimo di cessioni e di una struttura organizzata.

Quali elementi dimostrano l’esistenza di un’associazione a delinquere strutturata?
La sentenza evidenzia come elementi quali la ripartizione dei compiti, la presenza di basi logistiche, un flusso costante di droga, l’uso di un ‘centralino’ per gli ordini, la sostituzione ciclica delle utenze telefoniche e la gestione centralizzata dei pusher ‘di turno’ dimostrino l’esistenza di un’organizzazione stabile e strutturata.

Perché è stata ritenuta necessaria la custodia cautelare in carcere e non gli arresti domiciliari?
La Corte ha ritenuto adeguata la custodia in carcere in base alla presunzione di pericolosità prevista dalla legge per questo tipo di reato. Tale pericolosità è stata confermata dalle concrete modalità delle condotte, dalla competenza organizzativa dimostrata e dalla pervicacia nel proseguire l’attività illecita nonostante controlli e arresti precedenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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