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Assegno in garanzia: quando incassarlo è reato

La Corte di Cassazione conferma che l’incasso di un assegno in garanzia, in violazione degli accordi presi tra le parti, costituisce il reato di appropriazione indebita. La sentenza chiarisce che l’oggetto materiale del reato è il titolo stesso, e l’azione illecita consiste nel disporne come se fosse proprio, indipendentemente dalla finalità di profitto. Il caso analizza la riforma di una sentenza di assoluzione di primo grado, stabilendo la responsabilità dell’imputato ai soli fini civili.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Assegno in Garanzia: quando incassarlo diventa appropriazione indebita

L’utilizzo di un assegno in garanzia è una prassi commerciale comune, ma nasconde insidie legali significative. Una recente sentenza della Corte di Cassazione penale ha ribadito un principio fondamentale: incassare un assegno ricevuto a scopo di garanzia, in violazione degli accordi presi, costituisce il reato di appropriazione indebita. Questo articolo analizza la decisione, spiegando perché la condotta del prenditore che agisce contro i patti assume rilevanza penale.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria inizia con l’assoluzione di un individuo in primo grado, accusato di appropriazione indebita. L’imputato aveva ricevuto un assegno bancario a garanzia di un’obbligazione, ma lo aveva posto all’incasso circa tre settimane prima della scadenza pattuita. Il Tribunale lo aveva assolto, ritenendo che la vicenda rientrasse in una mera disputa contrattuale di natura civilistica.

Tuttavia, la Corte di Appello, su ricorso delle parti civili, ha ribaltato la decisione. Pur non potendo emettere una condanna penale in assenza di appello del Pubblico Ministero, ha dichiarato l’imputato responsabile ai soli effetti civili, condannandolo al risarcimento dei danni. Secondo i giudici di secondo grado, la condotta di porre all’incasso un assegno con funzione di garanzia, prima del verificarsi della condizione pattuita, integrava gli estremi del reato.

Il Ricorso in Cassazione e l’uso improprio dell’assegno in garanzia

L’imputato ha presentato ricorso per Cassazione, basandosi su quattro motivi principali:
1. Mancanza di legittimazione delle parti civili: sosteneva che le persone fisiche costituitesi non fossero le vere danneggiate dal reato, ma lo fosse solo una società.
2. Genericità dell’appello: riteneva che l’atto di appello delle parti civili fosse troppo generico per essere ammissibile.
3. Vizio di motivazione: accusava la Corte d’Appello di aver ignorato le conclusioni del giudice di primo grado e del giudice fallimentare, che avevano escluso la funzione di garanzia dell’assegno.
4. Errata applicazione della legge penale: affermava che il reato di appropriazione indebita non fosse configurabile, dato che l’incasso era previsto e che il profitto era solo una finalità (dolo specifico) e non un elemento costitutivo del reato.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo chiarimenti cruciali su ciascun punto.

Innanzitutto, l’eccezione sulla legittimazione delle parti civili è stata giudicata tardiva. La legge processuale prevede termini precisi per contestare la costituzione di parte civile, e l’imputato non li aveva rispettati nel corso del giudizio di primo grado.

La Corte ha poi stabilito che l’atto di appello era sufficientemente specifico, in quanto contestava chiaramente il nucleo giuridico della decisione di primo grado, ovvero l’errata interpretazione sulla rilevanza penale dell’incasso di un assegno con funzione di garanzia.

Il cuore della decisione, però, risiede nella valutazione del reato di appropriazione indebita. La Cassazione ha affermato che i giudici d’appello hanno correttamente operato una distinzione fondamentale: una cosa è l’accertamento in sede civile o fallimentare, un’altra è la valutazione in sede penale. L’oggetto materiale della condotta non è il profitto che l’agente intende conseguire, ma il bene di cui si appropria: in questo caso, l’assegno stesso. Disponendo del titolo (ponendolo all’incasso) in modo contrario ai patti, l’imputato ha agito uti dominus, cioè come se ne fosse il proprietario, realizzando così la condotta tipica dell’appropriazione indebita.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: la consegna di un assegno in garanzia non trasferisce la proprietà del titolo, ma solo il possesso vincolato a uno scopo preciso. Qualsiasi utilizzo del titolo che violi tale patto fiduciario (come l’incasso anticipato) fa scattare la responsabilità penale per appropriazione indebita. La condotta illecita consiste nell’appropriarsi del titolo, trattandolo come un mezzo di pagamento immediato anziché come uno strumento di garanzia futura. Questa decisione serve da monito per chiunque riceva assegni a titolo di garanzia: il rispetto degli accordi non è solo un obbligo civile, ma un dovere la cui violazione può avere serie conseguenze penali.

Quando l’incasso di un assegno in garanzia costituisce reato?
L’incasso di un assegno ricevuto in garanzia costituisce il reato di appropriazione indebita quando avviene in violazione dell’accordo concluso con l’emittente. La condotta illecita consiste nel disporre del titolo (l’assegno) come se fosse proprio, ad esempio presentandolo per il pagamento prima che si verifichi la condizione o la scadenza per cui era stata prestata la garanzia.

Una persona danneggiata da un reato può sempre costituirsi parte civile nel processo penale?
Sì, secondo la sentenza, è legittimato all’esercizio dell’azione civile nel processo penale anche il danneggiato che abbia riportato un danno eziologicamente (cioè per un nesso di causa-effetto) riferibile all’azione o omissione del soggetto attivo del reato, anche se non è formalmente la ‘persona offesa’ indicata nel capo d’imputazione.

Fino a quando è possibile contestare la presenza della parte civile nel processo?
La richiesta di esclusione della parte civile deve essere proposta subito dopo l’accertamento della regolare costituzione delle parti per la prima volta nel processo (ad esempio, all’udienza preliminare o nella prima udienza dibattimentale). Se la contestazione non viene sollevata in quel momento, essa resta preclusa per le udienze successive e non può essere riproposta in sede di impugnazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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