Assegno Fraudolento e Omonimia: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile
L’incasso di un assegno fraudolento rappresenta una fattispecie di reato con implicazioni significative. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui limiti del ricorso in sede di legittimità, soprattutto quando la difesa si basa su argomenti fattuali già valutati nei gradi di merito. Analizziamo la vicenda di un assegno pervenuto per errore e incassato indebitamente, e la conseguente decisione della Suprema Corte.
I Fatti del Caso: L’Assegno e l’Incasso Indebito
La vicenda giudiziaria ha origine dall’incasso di un assegno da parte di una persona che non ne era la legittima destinataria. L’imputata, dopo aver ricevuto il titolo di credito, lo versava sul proprio conto corrente, appropriandosi della somma. La sua linea difensiva si è sempre basata su un presunto errore: sosteneva di aver ricevuto l’assegno per sbaglio a causa di un’omonimia, ovvero la coincidenza del suo nome con quello del reale beneficiario.
Tuttavia, questa versione dei fatti non ha convinto i giudici di merito. La Corte d’Appello, in particolare, aveva già puntualmente disatteso tale giustificazione, ritenendo l’incasso volontario e fraudolento e confermando la responsabilità penale dell’imputata.
La Decisione della Corte: Ricorso per Assegno Fraudolento Inammissibile
Nonostante la condanna in secondo grado, l’imputata ha deciso di presentare ricorso alla Corte di Cassazione. Tuttavia, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della colpevolezza o innocenza, ma si concentra sulla correttezza procedurale e giuridica dell’appello presentato.
La Corte ha stabilito che i motivi addotti nel ricorso non erano altro che una “pedissequa reiterazione” di argomenti già esaminati e respinti dalla Corte d’Appello. In sostanza, l’imputata ha tentato di ottenere dalla Cassazione una nuova valutazione dei fatti (come la credibilità della sua versione sull’omonimia), un compito che non rientra nelle competenze della Suprema Corte, la quale è giudice di legittimità e non di merito.
Le Motivazioni della Cassazione
La motivazione principale dietro la declaratoria di inammissibilità risiede nella natura stessa del giudizio di Cassazione. La Corte non può riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione dei fatti a quella dei giudici di merito, a meno che non vi siano vizi logici o giuridici manifesti nella sentenza impugnata.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione logica e coerente per non ritenere credibile la tesi dell’errore dovuto all’omonimia, sottolineando il carattere fraudolento dell’operazione. Il ricorso, non prospettando vizi di legittimità ma limitandosi a riproporre la stessa difesa sui fatti, è stato considerato privo dei requisiti necessari per essere accolto. Di conseguenza, la Corte ha confermato la decisione impugnata e ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una cospicua somma a favore della Cassa delle ammende, come previsto dalla legge in caso di inammissibilità.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale del nostro sistema processuale penale: il ricorso in Cassazione deve essere fondato su precise questioni di diritto e non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito della vicenda. La mera riproposizione di argomenti fattuali già vagliati e motivatamente respinti è destinata a scontrarsi con una declaratoria di inammissibilità. Per chi intende impugnare una sentenza di condanna, è cruciale identificare vizi di legittimità (errori nell’applicazione della legge o difetti gravi di motivazione), piuttosto che sperare in una rivalutazione delle prove. La decisione sottolinea inoltre le conseguenze economiche di un ricorso infondato, che comporta non solo il pagamento delle spese ma anche di una sanzione pecuniaria.
Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché si limitava a una ‘pedissequa reiterazione’, ovvero una semplice ripetizione, degli stessi motivi di fatto già presentati e motivatamente respinti dalla Corte d’Appello, senza sollevare valide questioni di diritto.
Qual era la giustificazione fornita dall’imputata per aver incassato l’assegno?
L’imputata ha sostenuto di aver ricevuto e incassato l’assegno per un errore dovuto a ‘omonimia’, cioè al fatto di avere lo stesso nome del legittimo destinatario. Tale giustificazione non è stata ritenuta credibile dai giudici.
Quali sono state le conseguenze economiche per la ricorrente a seguito della decisione della Cassazione?
In conseguenza della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, la ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13160 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13160 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME SANT’ANASTASIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/03/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Ritenuto che il motivo di ricorso in punto di responsabilità è inammissibile, perché fondato motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appe puntualmente disattesi dalla Corte di merito (pagg. 5-6), che ha sottolineato l’inca fraudolento da parte dell’imputata di un assegno mai pervenuto al legittimo destinatario, c successivo versamento della somma sul conto corrente della stessa imputata, non essendo stata ritenuta credibile la dichiarazione di quest’ultima secondo cui l’assegno le sarebbe giunto errore a causa dell’omonimia con il destinatario legittimato;
rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna della ricorrente pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro tremila in favore delle Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2024.