Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10859 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10859 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 19/08/1943
avverso la sentenza del 05/07/2024 della Corte d’appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata; udito l’avvocato NOME COGNOME in difesa dell’imputato, che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 21/06/2023, la Corte di appello di Roma, in riforma di quella resa dal Tribunale capitolino111/06/2019, aveva accolto l’impugnazione del PM e quella della parte civile NOME COGNOME ed aveva pertanto riconosciuto NOME COGNOME responsabile del reato di cui all’art. 388, comma primo, cod. pen., così riqualificato il fatto contestato come tentata truffa, dal quale l’imputato era
stato invece assolto in primo grado, e lo aveva condannato alla pena di anni 1 di reclusione oltre al risarcimento del danno cagionato alle parti civili NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME in cui favore aveva liquidato una provvisionale immediatamente esecutiva al cui pagamento, entro 90 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza, aveva subordinato l’operatività del beneficio della sospensione condizionale;
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma aveva proposto ricorso per cassazione il COGNOME tramite il difensore che aveva dedotto tre motivi: il primo, con il quale aveva denunziato violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. in merito alla riqualificazione del fatto; il secondo con cui aveva dedotto l’inidoneità dell’unica querela, sottoscritta da NOME COGNOME, a fondare la procedibilità dell’azione penale relativamente alle condotte tenute nei confronti anche delle due società; il terzo, con cui aveva sostenuto l’insussistenza degli elementi costitutivi del delitto di cui all’art. 388 cod. pen.;
con sentenza n. 6285 del 23.1.2024, la VI Sezione Penale di questa Corte aveva giudicato infondato il primo motivo ed invece fondato il secondo oltre che, inoltre, limitatamente alla posizione della persona offesa COGNOME anche il terzo motivo, annullando perciò, la sentenza impugnata senza rinvio quanto ai reati commessi in danno delle società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e RAGIONE_SOCIALE in liquidazione perché l’azione penale non poteva essere esercitata per difetto di querela; aveva inoltre annullato la sentenza impugnata quanto al reato commesso in danno del Gazzé con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’appello di Roma;
la Corte d’appello di Roma, giudicando in sede rescissoria, ha ribadito la responsabilità del COGNOME (“confermando” la sentenza resa dallo stesso ufficio in data 21/06/2023) condannando l’imputato alla rifusione delle spese processuali in favore della costituita parte civile;
ricorre nuovamente per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore che deduce:
5.1 nullità della sentenza per violazione dell’art. 546, comma 3, cod. proc. pen.: richiama il tenore della sentenza di annullamento e segnala l’incompletezza del dispositivo della sentenza qui impugnata che non poteva “confermare” quella del 21/06/2023, in parte già cassata senza rinvio e che conteneva, inoltre, statuizioni civili anche in favore delle società in relazione alle quali il reato e stato ritenuto non procedibile per difetto di querela; aggiunge che la prima sentenza d’appello era stata annullata, con rinvio, anche con riguardo alla statuizione di condanna del COGNOME residuando, perciò, soltanto la sentenza di primo
grado con esito assolutorio per l’imputato; eccepisce, pertanto, la nullità del dispositivo della sentenza impugnata che ha “confermato” quella annullata generando assoluta confusione sul suo tenore e sulle statuizioni adottate tra cui spicca l’incompletezza di quella relativa anche alla pena;
5.2 nullità della sentenza per violazione degli artt. 125, comma 3, 546, comma 1, n. 2, cod. proc. pen. e dell’art. 133 cod. pen.: rileva l’inadeguatezza della decisione impugnata anche sulla risposta sanzionatoria dal momento che nella motivazione non è presente alcun riferimento né alla pena “confermata” né ai criteri per la sua determinazione;
5.3 violazione dell’art. 526, comma 1, cod. proc. pen. per avere la Corte utilizzato, ai fini della decisione, un atto acquisito al di fuori del contraddittor richiama la motivazione con cui la VI Sezione di questa Corte aveva annullato la sentenza impugnata quanto alla condanna per il fatto commesso in danno del COGNOME e segnala che la Corte d’appello Ia dato atto di avere acquisito, all’udienza del 05/07/2024, l’atto di precetto notificato al debitore il 28/03/2017; osserva che tale acquisizione era tuttavia intervenuta senza assicurare il contraddittorio tra le parti con conseguente inutilizzabilità della prova ai sensi dell’art. 526, comma 1, cod. proc. pen.;
5.4 violazione di legge con riguardo all’art. 388 cod. pen.: rileva che, in ogni caso, l’intimazione richiesta dalla norma incriminatrice deve non soltanto essere precisa ma, soprattutto, corroborata dalla prova rigorosa della sua ricezione da parte del debitore; segnala che nel caso di specie, l’atto era stato ricevuto dalla sorella dell’imputato mancando la prova della sua reale conoscenza;
la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta concludendo per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza impugnata va annullata senza rinvio per intervenuta prescrizione del reato ma con conferma delle statuizioni civili.
NOME COGNOME era stato tratto a giudizio per rispondere del delitto di tentata truffa per avere posto in essere “… atti idonei diretti in modo non equivoco ad indurre in errore il socio COGNOME NOME … al fine di trarne l’ingiusto profitto sottrarre crediti dovuti alle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE per le quali era amministratore unico, con artii -izi e raggiri consistiti dapprima nel create
un finto rapporto creditizio-debitorio per l’importo di euro 1.800.000,00 con il cognato COGNOME NOME, supportato dalla compilazione di assegni bancari retrodatati e poi allo scopo di sottrarre i propri beni a probabili azioni di rivalsa d parte di COGNOME NOME, occultava n. 2 immobili siti nel Comune di Anzio, con una falsa intestazione agli atti del catasto ad un soggetto inesistente”.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 21/06/2023, accogliendo il gravame del PM come quello della costituita parte civile, ed in riforma della sentenza di primo grado, aveva riconosciuto la penale responsabilità del Barisi in ordine al delitto di cui all’art. 388, comma 1, cod. pen., in questi termini riqualificando il fatto originariamente contestato come tentata truffa; aveva pertanto condannato l’imputato alla pena di anni 1 di reclusione ed al risarcimento dei danni patiti dalle costituite parti civili in cui favore aveva liquidato de provvisionali immediatamente esecutive al cui versamento aveva subordinato la operatività del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Proposto ricorso per cassazione nell’interesse del Barisi, la VI Sezione di questa Corte aveva accolto il motivo articolato sul difetto di querela per le condotte relative alle due società ed aveva annullato, senza rinvio, la sentenza impugnata limitatamente ai fatti in danno delle stesse; in accoglimento del terzo motivo, VI Sezione rescindente aveva inoltre annullato, con rinvio, la sentenza impugnata con riguardo ai fatti commessi in danno della parte civile NOME COGNOME evidenziando, sul punto, che “… nella ricostruzione operata dalla Corte non si dà specificamente conto dell’ingiunzione formulata al fine dell’ottemperanza del ricorrente al pagamento della somma per spese, riconosciuta in favore del querelante, costituitosi parte civile. Tenendo conto della struttura della fattispecie, come sopra delineata, deve dunque ritenersi carente l’analisi del fatto, imponendosi per questa parte l’annullamento della sentenza impugnata, perché in sede di rinvio si verifichi la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi, compres l’almeno informale ma precisa ingiunzione correlata al credito vantato da COGNOME” (cfr., dalla sentenza rescindente).
Nel decidere in sede di rinvio rinvio (limitatamente, come appena precisato, ai fatto commesso in danno del solo COGNOME), la Corte capitolina ha tuttavia “confermato” la sentenza annullata.
5.1 Tanto premesso, si deve prendere atto che, ad oggi, il reato ascritto al ricorrente è estinto per intervenuta prescrizione essendo pacificamente decorso il termine massimo di cui al combinato disposto degli artt. 157 e 161 cod. proc. pen. e pur tenendo conto dei periodi di sospensione rilevanti ai sensi dell’art. 160 cod. proc. pen..
A tal fine, infatti, deve escludersi che, nel caso di specie, si sia in presenza di un ricorso radicalmente inammissibile, come tale inidoneo a instaurare il rapporto processuale innanzi alla Corte, con conseguente definitività della sentenza impugnata alla data della sua adozione (cfr., Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D. Rv. 217266 – 01).
Si è evidenziato che, anche sotto questo non certo irrilevante profilo, la qualificazione del ricorso come inammissibile perché, ad esempio, “manifestamente” infondato, finisce con l’assumere una decisiva rilevanza e, per questa ragione, la giurisprudenza di questa Corte ha fornito delle linee direttive per chiarire quando si possa ritenere essersi in presenza di una infondatezza “manifesta” e, perciò, di un ricorso inidoneo a fondare un valido rapporto processuale in sede di impugnazione (cfr., in tal senso, Sez. 2, 19.12.2017 n. 9486, COGNOME).
Si è chiarito, infatti, che il ricorso deve ritenersi inammissibile quando sia attinto da una diagnosi di manifesta infondatezza che, nel vigore del codice di rito previgente, si era ritenuta sussistente – ex art. 524, u.c., “… non solo quando sia palesemente erroneo in diritto, ma anche quando affermi, sul fatto, sullo svolgimento del processo, sulla sentenza impugnata, censure o critiche sostanzialmente vuote di significato in quanto manifestamente contrastate dagli atti processuali. Tale è il caso, in particolare, del motivo di ricorso che attribuisc alla motivazione della decisione impugnata un contenuto letterale, logico e critico radicalmente diverso dal contenuto reale”; quando, inoltre, “… il motivo di ricorso per cassazione con cui si propone ancora una volta una questione già costantemente decisa dal Supremo collegio in senso opposto a quello sostenuto dal ricorrente …” (cfr., Sez. 2, n. 10871 del 04/07/1975, Rv. 131225 e, in particolare, sotto il vigore del codice previgente, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L. che, in motivazione, chiarirono che l’attributo “manifesta” evoca “… la significazione di palese inconsistenza delle censure” e che la manifesta infondatezza”… si traduce nella proposizione di censure caratterizzate da evidenti errori di diritto nell’interpretazione della norma posta a sostegno del ricorso, il più delle volte contrastata da una giurisprudenza costante e senza addurre motivi nuovi o diversi per sostenere l’opposta tesi, ovvero invocando una norma inesistente nell’ordinamento, solo per indicare le più frequenti ipotesi di applicazione dell’art. 606, comma 3, secondo periodo. Fino a profilare – sul piano funzionale – come costante la pretestuosità del gravame, non importa se conosciuta o no dallo stesso ricorrente)
Tanto premesso, va rilevato, infatti, che ii presente ricorso non può ritenersi inammissibile con riguardo, in particolare, al primo ed al secondo motivo con cui la difesa denunzia la nullità della sentenza impugnata.
Come accennato, la Corte d’appello, ha definito il giudizio rescissorio nel senso di “… conferma(re) la sentenza della Corte di appello di Roma emessa in data 21.6.2023 ed appellata da NOME COGNOME” (cfr., dal dispositivo).
Si è visto, tuttavia, che la prima sentenza d’appello era stata oggetto di un annullamento senza rinvio quanto ai fatti in danno delle due società e, con rinvio, quanto a quelli in danno del RAGIONE_SOCIALE.
In alcun modo, pertanto, se ne sarebbe potuto predicare la “conferma” che, invero, non può nemmeno essere “interpretata” come condivisione del percorso che aveva portato alla riforma di quella di primo grado: è sufficiente, a tal fine, rilevare che la decisione è carente in merito alla individuazione della pena che doveva essere necessariamente oggetto di rivalutazione all’esito, per l’appunto, dell’intervento demolitorio della sentenza rescindente, con particolare riguardo alle condotte in danno delle due società; ed è pacifico che si tratti di una omissione non emendabile (cfr., tra le tante, Sez. 1, n. 16627 del 28/02/2022, COGNOME, Rv. 283062 – 01:; Sez. 1, n. 43039 del 25/10/2012, COGNOME, Rv. 253629 – 01; Sez. 3, n. 34776 del 22/06/2011, C. Rv. 251245 – 01).
5.2 Se non ché, il principio di immediata declaratoria delle cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen. – nel caso di specie per intervenuta prescrizione – opera anche nel caso in cui la causa estintiva del reato ricorra contestualmente a una nullità processuale assoluta e insanabile, a condizione che, come nella fattispecie, l’operatività della causa estintiva non presupponga specifici accertamenti e valutazioni e sia, pertanto, inidonea a definire immediatamente il procedimento (cfr., Sez. 2, n. 1259 del 26/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284300 – 01; conf., in generale, Sez. U, n. 28954 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 269810 – 01).
Il collegio ritiene di poter ribadire tale affermazione anche all’esito della declaratoria di illegittimità dell’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., intervenuta con la sentenza n. 111 del 2022 Corte Costituzionale ma che aveva riguardato l’ipotesi della nullità per violazione del contraddittorio nel caso di proscioglimento dell’imputato per intervenuta prescrizione del reato pronunciato in sede predibattimentale d’appello; nel caso in esame, infatti, sia il giudizio d’appello che la fase di legittimità si sono svolti senza alcuna compressione degli spazi processuali propri della difesa.
Il disposto di cui all’art. 578 cod. proc. pen., peraltro, impone comunque di valutare la fondatezza del ricorso ai fini dell’azione civile versata nel processo penale (cfr., da ultimo, peraltro, Sez. U, n. 36208 del 28/03/2024, Calpitano, Rv. 286880 – 01).
6.1. A tal fine va rilevato che la vicenda è stata sinteticamente ricostruita dalla sentenza rescissoria (cfr., pag. 3) che, dando séguito alla sollecitazione formulata dai giudici della fase rescindente, all’udienza del 04/07/2024 ha proceduto ad acquisire il precetto notificato dal COGNOME al Barisi in data 27/03/2017, con intimazione al pagamento della somma di euro 137.660,78.
6.2. La difesa del ricorrente, con il terzo motivo di ricorso, ha eccepito l’inutilizzabilità della suddetta prova documentale in quanto acquisita al di fuori del contraddittorio delle parti.
Il rilievo è errato.
L’esame degli atti, consentito ed anzi imposto alla Corte alla luce della natura processuale del motivo (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, Rv. 273525 – 01; Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, Chahid, Rv. 255304 – 01; conf., già, Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092 – 01), ha permesso di verificare che il precetto era stato prodotto dalla parte civile unitamente alle conclusioni rassegnate per iscritto.
A fronte di tale produzione, la difesa non aveva sollevato alcuna eccezione e si era limitata a concludere per l’assoluzione dell’imputato producendo a sua volta documentazione consistente, invero, in diverse sentenze di questa Corte relative al profilo della effettiva conoscenza, da parte del debitore, dell’intimazione ad adempiere; così facendo, dunque, la difesa dell’imputato aveva replicato a quella di parte civile accettando il contraddittorio sulla integrazione istruttoria i quel modo intervenuta (su richiesta della costituita parte civile) nel giudizio rescissorio.
7. Il quarto motivo è infondato.
E’ vero che, ai fini della configurabilità del reato in esame, non è richiesta la conoscenza legale dell’intimazione ma occorre dare la prova che l’imputato ne sia venuto a conoscenza (cfr., Sez. 6, n. 36010 del 29/02/2012, Cimò, Rv. 253370 – 01; Sez. 6, n. 314 del 07/11/2003, dep. 2004, COGNOME, Rv. 229940 – 01), dovendo ritenersi sufficiente che vi sia stata una richiesta di adempimento (o una messa in mora), anche informale, purché precisa e non equivoca, rigorosamente provata e non semplicemente supposta (cfr., ancora, Sez. 5, n. 27559 del 14/04/2023, COGNOME, Rv. 284812 – 02; Sez. 6, n. 51218 del 01/07/2014, COGNOME, Rv. 261665 01; Sez. 6, n. 5129 del 11/03/1999, COGNOME, Rv. 213678 – 01; Sez. 6, sent. 2559
01; Sez. 6, n. 5129 del 11/03/1999, Nossing, Rv. 213678 – 01; Sez. 6, sent. 2559 del 27.10.93, COGNOME; Sez. 6, sent. 6042 del 13.6.96, Sapienza; Cass. VI, sent. 9441 del 20.10.97, Perri).
Nel caso di specie, risulta, dagli atti, che il precetto era stato notificato co consegna dell’atto nelle mani della sorella dell’imputato “capace e convivente” realizzandosi, in tal modo, una situazione che rende legittimo presumere che costei ne avesse fatto partecipe il fratello.
Mai, d’altro canto, il COGNOME ha negato di essere venuto a conoscenza dell’ingiunzione al pagamento di quanto disposto dal loro arbitrale in favore della parte civile; e, d’altro canto, va ancora ribadito che nell’ordinamento processuale penale, a fronte dell’onere probatorio assolto dalla pubblica accusa, anche sulla base di presunzioni o massime di esperienza, spetta all’imputato allegare il contrario sulla base di concreti ed oggettivi elementi fattuali, poiché è l’imputato che, in considerazione del principio della c.d. “vicinanza della prova”, può acquisire o quanto meno fornire, tramite l’allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva (cfr., Sez. 2, n. 6734 del 30/01/2020, Bruzzese Virginia, Rv. 278373 – 01; Sez. 2, n. 20171 del 07/02/2013, Weng ed altro, Rv. 255916 – 01; Sez. 2, n. 7484 del 21/01/2014, PG e PC in proc. COGNOME, Rv. 259245 – 01; Sez. 5, n. 32937 del 19/05/2014, Stanciu Rv. 261657 – 01; Sez. 4, n. 12099 del 12/12/2018, Fiumefreddo, Rv. 275284 – 01).
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perche’ il reato è estinto per prescrizione, rigetta il ricorso agli effetti civili.
Così è deciso, 14/02/2025