Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 8615 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 8615 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/02/2023 della Corte di appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; COGNOME, COGNOME NOME COGNOME NOME uditi, in difesa delle parti civili, l’AVV_NOTAIO COGNOME per NOME COGNOME e NOME COGNOME, l’AVV_NOTAIO COGNOME per NOME COGNOME, NOME COGNOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME; l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME per NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME; l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME per NOME COGNOME e NOME COGNOME, i quali chiedono che il ricorso sia dichiarato inammissibile,
nonché l’AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, per NOME COGNOME e NOME COGNOME, che ne chiede il rigetto; udito l’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME, che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Roma dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME, in qualità di amministratore di fatto di “RAGIONE_SOCIALE“, per il delitto di mancata esecuzione di un ordine de giudice (art. 388, comma 2, cod. pen.), relativo alla esecuzione di interventi cautelari a difesa della statica di un edificio, perché estinto per prescrizione; confermava inoltre le statuizioni civili.
Questa, in sintesi, la vicenda di fatto, per come emerge dalla sentenza impugnata.
In data 13/11/2009, il Tribunale civile, adito ex art. 700 cod. proc. civ., ordinava all’impresa costruttrice (“RAGIONE_SOCIALE“) di un palazzo romano, amministrata di fatto dal ricorrente, di compiere interventi a difesa della statica dell’edificio e, in particolare, di: costruire una platea in cemento armato per collegare i pali di fondazione esistenti con nuovi pali; eseguire un rilievo di precisione delle facciate dell’edificio per riscontrare eventuali rotazioni e inclinazioni dello stesso; predisporre un nuovo sistema di monitoraggio per verificare la reazione della struttura all’avvenuta collocazione dei predetti nuovi pali; all’esito dei monitoraggi, verificare la necessità o meno di estendere o meno la palificazione, nonché la costruzione della suddetta platea, anche alla restante parte dell’edificio, includendo gli interventi di consolidamento dell’intera superficie di impronta dello stesso; verificare la staticità cioè la resistenza di alcune strutture portanti eventualmente da consolidare; recuperare la funzionalità dei solai dissestati.
La ditta iniziava i lavori nell’ottobre del 2011. Tuttavia, il 29/02/2012, comunicava al RAGIONE_SOCIALE di non volerli proseguire, adducendo le valutazioni di i, due ingegneri incaricati da ” RAGIONE_SOCIALE, concordi nel sostenere come dall’esame del monitoraggio sino a quel momento eseguito si evincesse un esaurimento dei cedimenti dei pilastri (che interessavano solo tre pilastri della prima fila peraltro con movimenti minimi), paventando addirittura il rischio di un peggioramento della situazione statica dell’edificio nel caso di prosecuzione dei lavori.
Nel corso dei procedimenti civili (riuniti), nati dalla denuncia del RAGIONE_SOCIALE e dal ricorso di “RAGIONE_SOCIALE“, veniva nominato lo stesso consulente tecnico d’ufficio del procedimento ex art. 700 cod. proc. civ. (ing. COGNOME), il quale accertava la mancata ottemperanza a quanto prescritto nel provvedimento del giudice civile e ravvisava un’ulteriore evoluzione del dissesto dell’immobile. Nella relazione, il consulente tecnico d’ufficio COGNOME evidenziava anche che la ditta ostacolava l’esecuzione dei lavori.
Dopo la rinuncia all’incarico formalizzata il 01/12/2015 da “RAGIONE_SOCIALE“, era nominato un nuovo consulente tecnico di ufficio il quale dava atto di come il progetto RAGIONE_SOCIALE fosse attuabile, pur con alcune modifiche ed integrazioni, concordando con l’impostazione generale sulla gradualità dell’intervento.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso NOME COGNOME, per il tramite del difensore, AVV_NOTAIO, premettendo il proprio interesse ad impugnare, in considerazione dell’avvenuto pagamento di una provvisionale (per complessivi 187.000 euro) e delle conseguenze extragiudiziarie sfavorevoli derivanti dalla conferma delle statuizioni civili. Peraltro, poiché per il medesimo fatto oggetto del presente procedimento è già stato condannato l’amministratore di diritto di “RAGIONE_SOCIALE“, NOME COGNOME, si chiede di riunire i du procedimenti o che siano assegnati alla medesima Sezione.
In subordine, sono dedotti i seguenti cinque motivi.
3.1. Assoluta mancanza di prova e illogicità della motivazione in rapporto all’attribuzione del ruolo di amministratore di fatto di “RAGIONE_SOCIALE“, con conseguente carenza dell’elemento soggettivo del reato.
La Corte di appello avrebbe valorizzato il ruolo di amministratore di fatto di NOME perché il consulente tecnico d’ufficio nominato dal Tribunale civile, ingegner COGNOME, si sarebbe relazionato con l’imputato durante l’intera durata del suo incarico di direttore esecutivo dei lavori. Inoltre, COGNOME aveva dichiarato di aver incontrato il ricorrente all’interno del cantiere e presso gli uffici del Geni civile «per richiedere copia del progetto strutturale». Nella sentenza è poi citata la continua corrispondenza email intercorsa tra COGNOME e COGNOME, nonché il fatto che il teste/condomino/parte civile NOME vide, una volta, il ricorrente all’esterno dell’edificio, in occasione di una verifica della RAGIONE_SOCIALE stabili pericolanti e riscontrò che, in una email, l’amministratore di RAGIONE_SOCIALE chiedeva all’imputato informazioni sullo stato dei lavori.
Ciò detto, la Corte d’appello avrebbe trascurato le prove presentate a discarico dell’imputato e, in particolare, il fatto che questi, ingegnere, fu assunto dal 2005 come dipendente della ditta e che, successivamente, gli fu affidata una consulenza tecnica per verificare la progettazione esecutiva degli interventi di consolidamento
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dell’edificio e per tenere i contatti con il consulente tecnico d’ufficio e i tecn nominati dalle parti: attività per la quale NOME ha ricevuto un regolare incarico ed un compenso, come attestato dai documenti prodotti dalla difesa, ma non valutati dal giudice.
Tale incarico, assume il ricorrente, non sarebbe certamente sufficiente a farlo ritenere amministratore di fatto di “RAGIONE_SOCIALE“.
Neppure è stato attribuito alcun peso alle dichiarazioni dei testi della difesa: COGNOME (amministratore di diritto della società dal 2006), COGNOME (che ha confermato l’incarico di tecnico del ricorrente e il ruolo centrale svolto dagli avvocati civilisti di “RAGIONE_SOCIALE“) nonché COGNOME (capo-cantiere che pure confermava il ruolo di consulente tecnico di COGNOME).
D’altronde, anche in considerazione del fatto che l’imputato si era laureato nel 2004 e che i fatti si riferiscono al 2009-2012, era inverosimile che egli svolgesse più che un semplice incarico tecnico all’interno della società, in cui era stato oltretutto assunto da poco tempo.
Dalle testimonianze è risultato, piuttosto, che la decisione di interrompere i lavori fu presa collegialmente su indicazione dei tecnici, con l’ausilio dell’imputato e di COGNOME, profondo conoscitore delle vicende legate all’edificio.
Né alcuna responsabilità concorsuale è mai emersa nel corso del procedimento a carico di quest’ultimo.
La Corte d’appello non si si sarebbe poi confrontata con le deduzioni difensive volte ad evidenziare l’assoluta carenza del quadro probatorio, né con i motivi nuovi da cui risulta che era stata depositata la visura camerale di “RAGIONE_SOCIALE“, dalla quale emergeva come l’imputato, oltre a non essere mai stato amministratore della stessa, non ne fosse nemmeno socio. Neppure ha tenuto in conto le conclusioni del Procuratore Generale che, in appello, aveva chiesto l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non costituisce reato.
3.2. Mancata correlazione tra accusa e sentenza in relazione al tempus commissi delicti.
All’imputato era contestato di aver omesso di ottemperare a quanto disposto dal Tribunale civile di Roma nel provvedimento emanato ex art. 700 cod. proc. civ. in data 20/01/2009, che prevedeva l’esecuzione dei lavori di consolidamento del palazzo, specificando: «Reato commesso in Roma il 05/12/2011».
Nella motivazione della sentenza impugnata si trovano però valorizzate condotte successive a tale data, consistenti in azioni materiali poste in essere dalla ditta “RAGIONE_SOCIALE” quale ostacolo all’esecuzione dei lavori. In particolare, s afferma che tale società comunicava il 29/02/2012 al RAGIONE_SOCIALE di non voler proseguire le opere necessarie al consolidamento del fabbricato, ritenendole anzi potenzialmente dannose; si riferisce che la società, nel marzo 2012, comunicava
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al RAGIONE_SOCIALE di non voler proseguire i lavori; si dà atto del deposito della nuova relazione tecnica il 06/07/2015 del CTU COGNOME, con rinuncia all’esecuzione dei lavori della “RAGIONE_SOCIALE” del 01/12/2015, nonché della nomina del nuovo CTU il 02/05/2017, il quale produsse la sua relazione il 14/11/2017.
Tale discrasia, oltre a determinare l’effetto paradossale di far ritenere il reato commesso ancor prima della comunicazione ufficiale al RAGIONE_SOCIALE della sospensione dei lavori, fa venir meno la necessaria correlazione tra accusa e sentenza.
3.3. Illogicità della motivazione nella parte in cui non si ritiene giustificat l’interruzione dei lavori.
Secondo la Corte d’appello, la relazione tecnica del nuovo consulente tecnico d’ufficio COGNOME, nella parte in cui ritenne che il progetto iniziale fosse attuabil sebbene con le integrazioni e le modifiche indicate successivamente nella sua perizia, non avrebbe in alcun modo giustificato l’interruzione dei lavori da parte di “RAGIONE_SOCIALE“. Al contrario, tale perizia, integrata e modificata, ha confermato implicitamente che bene aveva fatto la ditta a sospendere i lavori dopo l’esame dei monitoraggi del palazzo compiuti a seguito dell’installazione di undici pali perimetrali. Infatti, soltanto a seguito della motivata interruzione dei lavori, del ricorso civile presentato da “RAGIONE_SOCIALE” e della celebrazione del successivo giudizio, il consulente tecnico d’ufficio integrò e modificò l’originario progetto.
In altri termini, le modifiche e le integrazioni al progetto non sarebbero state apportate se “RAGIONE_SOCIALE” non avesse sospeso i lavori che riteneva pericolosi.
Di conseguenza, solo grazie all’esercizio del diritto di chiedere con ricorso la modifica dell’ordinanza cautelare del 13/11/2009, si è potuti giungere al definitivo e corretto progetto di risanamento realizzato alla luce dei nuovi risultati dei monitoraggi effettuati nel palazzo.
3.4. Errata applicazione dell’art. 388 cod. pen. in relazione alla mancanza dell’elemento oggettivo.
La Corte di cassazione (Sez. U, COGNOME n. 36692 del 27/09/2007, Vuocolo, Rv. 236937) ha ritenuto che non costituisce comportamento penalmente rilevante il mero rifiuto di ottemperare ai provvedimenti giudiziali a meno che le prestazioni richieste necessitino del contributo dell’obbligato.
Dinanzi alla Corte d’appello, la difesa aveva già evidenziato come i lavori indicati nel provvedimento cautelare, da eseguire su un palazzo di piena proprietà dei condomini, non consistevano in un facere infungibile.
Nel momento in cui “RAGIONE_SOCIALE” ha giustificato l’interruzione dei lavori per motivi tecnici legati al positivo risultato dei monitoraggi osservati dopo l’infissione degli undici pali perimetrali, il RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto affidare tale lavoro ad altra società, salvo far ricadere l’onere economico sulla società costruttrice del
palazzo, ritenuta responsabile delle lesioni provocate dalle oscillazioni dei pali di fondazione.
D’altronde, il rifiuto di concludere i lavori da parte della società non impedì al RAGIONE_SOCIALE di individuare altra ditta per la realizzazione dei lavori di consolidamento.
Inoltre, la complessa questione tecnica di natura urbanistica ha trovato la sua naturale e corretta conclusione dinanzi al giudice civile, come risultato dalla sentenza del Tribunale del 18/06/2018 n. 12431, depositata dalla difesa dell’odierno ricorrente con i motivi nuovi ed alla quale la Corte d’appello ha fatto lEìn:R riferimento al mero scopo di avallare la tesi secondo cui le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio COGNOME sarebbero state fatte proprie dal Tribunale civile.
In conclusione, la fattispecie di cui all’art. 388 cod. pen. è integrata dall’elusione del provvedimento del giudice e tale elusione non è ipotizzabile nel caso si ricorra legittimamente al giudice civile per chiedere la modifica del provvedimento cautelare.
3.5. Prova dell’innocenza dell’imputato e conseguente revoca delle statuizioni civili.
Alla luce dei suddetti elementi, la Corte d’appello avrebbe dovuto pronunciare una sentenza di assoluzione. Ove, tuttavia, non si ritenga raggiunta l’evidenza dell’innocenza dell’imputato, dovrebbero essere comunque revocate le statuizioni civili, avendo “RAGIONE_SOCIALE” sospeso i lavori e giustificato tale decisione con una relazione che spiegava i motivi tecnici che ne facevano ritenere addirittura pericolosa la prosecuzione, limitatandosi pertanto ad esercitare legittimamente il suo diritto di ricorrere al giudice civile che, tra l’altro, ha risolto la comples controversia insorta tra il RAGIONE_SOCIALE e la società in favore del primo, sicché le parti civili avrebbero già ha avuto risposta alle pretese risarcitorie nella sede competente.
L’esercizio di un diritto, qual è quello di chiedere la modifica di un’ordinanza cautelare, non può, infatti, concretizzare la condotta penalmente rilevante dell’art. 388 cod. pen.
Né è vero che i condomini abbiano subito disagi per un apprezzabile lasso di tempo, a causa del contestato inadempimento della società ai suoi obblighi, dal momento che, in realtà, il palazzo è sempre stato abitato e che fu dichiarato agibile sia prima sia dopo l’esecuzione dei lavori, il lungo tempo intercorso tra l’inizio e la fine dei lavori essendo addebitabile alla durata del giudizio civile.
Le parti civili hanno presentato memorie scritte.
4.1. NOME COGNOME e NOME COGNOME, per il tramite dell’AVV_NOTAIO, hanno chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile perché:
sollecita una rivisitazione delle risultanze probatorie e pertanto un nuovo sindacato di merito sugli atti processuali; si limita a censurare la valutazione delle prove operata nei primi due gradi di giudizio proponendone una diversa lettura; nemmeno deduce nell’epigrafe un vizio motivazionale ai sensi dell’art. 606, lett e), cod. proc. pen.; non contiene una circostanziata critica al criterio di non evidenza dell’innocenza, di cui all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. Le citate parti civili hanno poi replicato/ in modo analitico alle deduzioni contenute in ciascun motivo di ricorso.
4.2. NOME COGNOME e NOME COGNOME, per il tramite dell’AVV_NOTAIO, hanno eccepito, oltre all’infondatezza delle argomentazioni, la genericità del ricorso sul piano sia formale, non risultando nemmeno indicati i capi della sentenza censurati, sia sostanziale, poiché i motivi non si correlano alle ragioni di fatto o di diritto su cui si basa la sentenza impugnata.
4.3. NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, per il tramite dell’AVV_NOTAIO, hanno premesso come, pur essendosi l’imputato avvalso della prescrizione del reato, ha proposto una serie di doglianze inerenti all’apprezzamento del materiale probatorio il cui carattere elaborato già da solo nega che ricorra l’ipotesi di cui all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. D’altronde, ferma la necessità dei presupposti indicati da Corte Cost. n. 182 del 2021, relativi alla sussistenza dei presupposti dell’illecito aquiliano, le deduzioni difensive sono inammissibili anche perché debordano i limiti del sindacato di legittimità. In particolare, quanto al primo motivo, il ricorso propone una lettura alternativa dell’impianto probatorio – con riferimento ad esempio alla deposizione del consulente tecnico d’ufficio COGNOME e dell’AVV_NOTAIO COGNOME – senza replicare in modo convincente alle considerazioni su cui i Giudici dell’appello hanno fondato la qualifica soggettiva di amministratore fatto e senza spiegare per quali ragioni le testimonianze invocate nel ricorso dimostrerebbero ictu ocull l’estraneità ai fatti dell’imputato, né richiamare alcuna attività tecnica svolta dallo stesso; il secondo motivo, comunque versato in fatto, è manifestamente infondato, l’eccepita diversità tra contestazione e sentenza dovendo essere esclusa in forza della giurisprudenza di legittimità e risultando peraltro pacifico che, a distanza di quasi tre anni dall’ordinanza cautelare (del 29/01/2009), i lavori prescritti non erano ancora cominciati; parimenti inammissibile sarebbe il terzo motivo di ricorso, in cui pure il ricorrente chiede una rilettura del compendio probatorio, che, fra l’altro, travisa strumentalmente; infondati sono anche i motivi quarto e quinto (l’uno in quanto l’infungibilità di fatto della prestazione deriva dall’entità del volume di spesa che implica; l’altro là dove basa la legittimità della condotta cautelare sulla valutazione personale del consulente di parte, che aveva ritenuto
contro
producente l’esecuzione dei lavori). Oltretutto, i riferimenti ai procedimenti civili sono inconferenti, non risultando agli atti alcuna condanna civile a carico di NOME, nemmeno convenuto in tale sede.
4.4. Anche NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, per il tramite dell’AVV_NOTAIO COGNOME, nonché NOME COGNOME e NOME COGNOME, per il tramite dell’AVV_NOTAIO, hanno, infine, chiesto la conferma delle statuizioni civili con le rispettive conclusioni scritte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti e per le ragioni di seguito esposte.
Il primo motivo di ricorso, in cui si revoca in dubbio la qualifica di amministratore di fatto in capo all’imputato, è inammissibile.
La deduzione sollecita, infatti, un diverso apprezzamento delle risultanze probatorie, non realizzabile in sede di legittimità, in presenza di una motivazione – quella della sentenza di appello – esente da vizi logico-giuridici.
Premesso COGNOME infatti COGNOME che, COGNOME ai COGNOME fini COGNOME dell’attribuzione COGNOME della COGNOME qualifica di amministratore “di fatto”, è necessaria la presenza di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settor gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare (tra le altre, Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, Bonelli, Rv. 277540), i Giudici d’appello hanno rilevato come, nel corso dell’istruttoria dibattimentale, fosse emerso che l’AVV_NOTAIO COGNOME si era relazionato durante l’intera durata del suo incarico di direttore esecutivo dei lavori con il COGNOME, sottoponendo soltanto a lui i progetti, con i relativi costi, anche in ragione della sua formazione tecnica. Si aggiunge che il medesimo COGNOME aveva dichiarato di aver incontrato COGNOME in più di un’occasione, sia all’interno del cantiere sia presso gli uffici del RAGIONE_SOCIALE civile «per richiedere la copia del progetto strutturale».
La sentenza impugnata riferisce, inoltre, della continua corrispondenza via emali intercorsa tra l’imputato e il citato COGNOME, dalla quale emerge come quest’ultimo facesse riferimento al COGNOME anche per definire termini, condizioni e responsabilità nonché remunerazione per il proprio incarico professionale, avendo COGNOME affermato di essersi interfacciato in una sola occasione, peraltro telefonicamente, con l’amministratore di diritto di “RAGIONE_SOCIALE“.
Infine, la sentenza impugnata ha richiamato la deposizione di un condomino il quale aveva riferito di aver visto l’imputato nella zona esterna dello stabile nel corso di una verifica con la RAGIONE_SOCIALE Pericolanti e di aver anche riscontrato che in una e-mail inviata dall’amministratore del RAGIONE_SOCIALE erano chieste proprio a lui informazioni sull’andamento dei lavori.
La pronuncia impugnata ha motivato, dunque, in modo compiuto e non illogico, sottraendosi alle censure in questa Sede formulate.
Va rigettato, perché infondato, anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla mancata correlazione tra accusa e sentenza.
È vero, infatti, che nella sentenza impugnata si fa riferimento a circostanze di fatto anche successive alla data del 05/12/2011, la quale compare nel capo di imputazione.
Tuttavia, anche a prescindere dalla considerazione (svolta nella memoria delle parti civili COGNOME e COGNOME) che tale discrasia avrebbe avvantaggiato l’imputato nel calcolo della prescrizione, poiché ha, al limite, determinato una seppur lieve anticipazione della maturazione della causa estintiva, resta comunque il fatto che, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, cosicché da essa scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. La stessa giurisprudenza precisa, peraltro, che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (ex multis, Sez. 3, n. 24932 del 10/02/2023, Gargano, Rv. 284846).
Che vi sia stata una compromissione del diritto di difesa non è dimostrato nel caso di specie dove, anzi, per quanto risulta dalle sentenze di merito, l’imputato ha compiutamente esercitato il proprio diritto al contraddittorio su tutte le circostanze di fatto richiamate nella sentenza di merito.
Su un piano logicamente prioritario, d’altronde, quelli citati dalla sentenza non sono affatto specifici addebiti formulati a carico dell’imputato, bensì, semmai, meri elementi che illuminano retrospettivamente la lettura di una complessa vicenda fattuale, il cui segmento penalmente rilevante resta circoscritto al momento in cui i giudici di merito hanno ritenuto integrato il delitto di cui all’art. 388, comma 2 cod. pen., che è reato a consumazione istantanea.
Ricordato, dunque, come rientri nel fisiologico iter di formazione della prova l’allegazione/produzione di elementi, vuoi anche successivi al perfezionamento del reato, da cui desumere la dimostrazione dei suoi elementi costitutivi, si aggiunge soltanto che a tale iter, secondo le normali logiche del contraddittorio, ha partecipato anche la difesa dell’imputato la quale, come risulta dalla sentenza di primo grado, ha allegato documenti formati anche dopo la data del 05/11/2011: documenti acquisiti e valutati – salvo quanto di seguito osservato – dai Giudici di merito ai fini della formazione del loro convincimento in ordine alla sussistenza dei requisiti, oggettivi e soggettivi, della fattispecie in contestazione.
Sono fondati, invece, e vanno dunque accolti i motivi terzo e quarto del ricorso, nei quali si deduce, rispettivamente, la mancata considerazione, da parte della Corte d’appello, della giustificazione addotta dalla ditta per l’interruzione dei lavori e la non configurabilità della condotta delittuosa di cui all’art. 388, comma 2, cod. pen.
4.1. Sul punto, va rilevato come la condotta di elusione, pur richiedendo il ricorso ad artifici o raggiri, sia un elemento tipico soggettivamente pregnante, nel senso che ad esso deve essere sottesa una volontà particolarmente accentuata di produrre un risultato in contrasto con l’ordine impartito nel provvedimento del giudice civile.
Sulla scia di Sez. U, n. 36692 del 27/09/2007, Vuocolo, Rv. 236937, la giurisprudenza di questa Corte ha, poi, precisato che il mero rifiuto di ottemperare ai provvedimenti giudiziali previsti dall’art. 388, comma 2, cod. pen. non costituisce comportamento elusivo penalmente rilevante, a meno che l’obbligo imposto non sia coattivamente ineseguibile, richiedendo la sua attuazione la necessaria collaborazione dell’obbligato, poiché l’interesse tutelato dall’art. 388 cod. pen. non è l’autorità in sé delle decisioni giurisdizionali, bensì l’esigenza costituzionale di effettività della giurisdizione (Sez. 6, n. 51668 del 25/11/2014, COGNOME, Rv. 261450; in termini, v. Sez. 6, n. 11952 del 01/02/2017, COGNOME, Rv. 269644; Sez. 6, n. 16398 del 22/03/2016, COGNOME, Rv. 266797).
In sintesi, ai fini dell’integrazione della fattispecie in oggetto, l’autore deve aver “eluso” il provvedimento giudiziario (l’elusione è un elemento soggettivamente pregnante della fattispecie), come quando emerga una particolare volontà di sottrarsi al dictum giudiziario, oppure deve avervi semplicemente, ma pur sempre dolosamente – inottemperato: in quest’ultimo caso richiedendosi, però, che la condotta imposta sia infungibile, e cioè che debba essere realizzata personalmente.
4.2. Ciò precisato, la sentenza di primo grado, muovendo, peraltro, dall’erroneo presupposto che, ai fini della sussistenza del reato, occorresse
(addirittura) il compimento di atti di natura simulata o fraudolenta (richiama Sez. U, n. 12213 del 21/12/2017, dep. 2018, Zucchi, Rv. 272171, invece riferita all’ipotesi dell’art. 388, comma 1, cod. pen.), aveva ravvisato questi ultimi: a) nella relazione dell’AVV_NOTAIO. COGNOME, la quale aveva evidenziato un marcato rallentamento nella evoluzione dei cedimenti ed una tendenza alla stabilizzazione in almeno sette dei capisaldi presenti (affermazioni contrastanti con quelle del consulente tecnico d’ufficio COGNOME e del consulente del RAGIONE_SOCIALE, che invece evidenziavano un progressivo aumento dei cedimenti in considerazione); b) nella presentazione del ricorso ex art. 669 cod. proc. civ.
Specificato che la nozione di fraudolenza include – come il “più” comprende il “meno” – quella di elusione, i suddetti elementi, a parere del Tribunale, avrebbero denotato la pretestuosità dell’inottemperanza, da ricondurre a motivazioni di carattere esclusivamente economico.
Inoltre, nella motivazione si era precisato, subito a seguire, che «a tali conclusioni si perviene in considerazione non solo dell’oggettiva esorbitanza del costo dell’intera operazione ma soprattutto alla luce della condotta fraudolenta tenuta dalla società nella fase immediatamente successiva all’emissione dell’ordinanza cautelare , con la costituzione di una nuova società (“RAGIONE_SOCIALE“) alla quale era trasferito parte del patrimonio della prima».
4.3. A fronte di tali valutazioni, la difesa dell’imputato formulava, in sede d’appello, una serie di deduzioni, rilevando, in sostanza, come i lavori fossero iniziati e parzialmente eseguiti, con una spesa provvisoria stimata in circa C 692.000, e tuttavia sospesi a causa delle conclusioni contenute nella relazione dell’AVV_NOTAIO. COGNOME, consulente tecnico di” RAGIONE_SOCIALE” (esperto strutturalista), in cui si evidenziava una situazione statica di maggiore stabilità dell’edificio e il rischio che, per contro, seguendo le indicazioni originariamente fornite dal consulente tecnico di ufficio (COGNOMECOGNOME le condizioni del palazzo peggiorassero.
Sottolineava anche che, subito dopo aver sospeso i lavori nel febbraio 2012, in data 04/05/2012, la ditta presentava ricorso al Tribunale civile di Roma, ex art. 669-decies cod. proc. civ., per chiedere la modifica dell’ordinanza cautelare del 13/11/2009 e che, durante il dibattimento, il consulente tecnico d’ufficio COGNOME aveva espresso dubbi sull’esecuzione del progetto e, dopo aver ricevuto dal giudice civile l’incarico di progettista, presentava un altro progetto che prevedeva il taglio di tutti i pali di fondazione esistenti, sicché l’AVV_NOTAIO COGNOME, il quale si era opposto tale nuova proposta progettuale, che riteneva pericolosa, aveva consigliato i legali della società “RAGIONE_SOCIALE” di non fornire più ausilio diretto all’esecuzione del progetto: ciò a riprova della esistenza di tesi contrapposte e della complessità tecnica della vicenda in esame.
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Contestava, inoltre, l’asserita fraudolenza della condotta, ricondotta alla costituzione della nuova società “RAGIONE_SOCIALE“, rilevando l’infondatezza di tale congettura, posto che la società, al momento dell’operazione, aveva già speso più di C 690.000 e subito in sede civile un sequestro conservativo dei beni mobili e immobili per un totale di 1.860.630 euro.
L’imputato presentava, inoltre, motivi nuovi, ex art. 585 cod. proc. pen. (valutabili in quanto presentavano legami funzionali con i principali: ex multis, Sez. 6, n. 45075 del 02/10/2014, COGNOME, Rv. 260666; Sez. 1, n. 5182 del 15/01/2013, Vatavu, Rv. 254485).
Con essi, in particolare, approfondiva la giustificazione dell’interruzione dei lavori; evidenziava come il progetto del tecnico dell’impresa (COGNOME) prevedesse lavori per fasi successive sulla base degli esiti dei monitoraggi; sottolineava che il nuovo consulente tecnico d’ufficio (COGNOME) aveva dichiarato di concordare con l’impostazione generale del progetto riguardo alla gradualità dell’intervento; rappresentava come il Giudice civile, nella sentenza 18/06/2018 (allegata ai motivi nuovi), avesse riconosciuto che la ditta non aveva mai contestato i vizi di costruzione né la propria responsabilità, essendosi limitata a non condividere le modalità attuative da eseguire nel rispetto dell’ordinanza ingiuntiva, il che nega evidentemente la sussistenza dell’intento elusivo.
4.4. In risposta a tali deduzioni, la Corte di appello si è limitata ad affermare come il consulente tecnico d’ufficio nominato dal Tribunale civile, AVV_NOTAIO, contrariamente a quanto sostenuto dal COGNOME, avesse ritenuto i cedimenti differenziali in progressivo aumento, aggiungendo che, se è vero che il COGNOME concordò riguardo all’opportunità di un intervento graduale, egli precisò pure che «esso potrà essere esteso ad un progredire significativo dei cedimenti differenziali nelle altre zone dell’edificio»: ove, peraltro, la locuzione riportata tra virgolette a differenza di quanto ritenuto dai Giudici di secondo grado – non restituisce il senso inequivoco di un intervento doveroso (ben potendo significare che si ritenesse opportuno subordinare l’intervento medesimo all’esito di successive rilevazioni).
Ne consegue che la sentenza impugnata si è limitata a ribadire il carattere pretestuoso dell’interruzione dei lavori, aggiungendo che le conclusioni del secondo consulente tecnico d’ufficio furono avallate dalla sentenza del Tribunale civile allegata dalla difesa.
Tutto ciò premesso, deve rivelarsi come la Corte di appello non abbia congruamente risposto alle doglienze difensive in ordine configurabilità degli elementi costitutivi della fattispecie contestata.
5.1. Per un verso, nella motivazione della sentenza impugnata nulla si dice riguardo al requisito dell’infungibilità della prestazione che, come già ricordato, deve riempire di disvalore la fattispecie secondo la giurisprudenza di legittimità, maturata quantomeno a partire dalle citate Sez. U, n. 36692 del 27/09/2007.
Infungibilità che – si precisa – non può desumersi dalla circostanza che il provvedimento cautelare avesse come destinatario proprio “RAGIONE_SOCIALE” (pena la trasformazione del delitto di cui all’art. 388, comma 2, cod. pen. in un reato formale, ovvero di pura disobbedienza, in contrasto, oltretutto, con le indicazioni delle citate Sezioni Unite) e la cui sussistenza, nel caso concreto, è stata revocata in dubbio nei motivi di ricorso, là dove si è evidenziato che il RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto affidare i lavori ad altra società, salvo far ricadere l’onere economico sulla società costruttrice del palazzo, precisando di seguito che, in effetti, i lavori furono portati a termine da altra ditta, scelta appunto dal RAGIONE_SOCIALE.
5.2. Per altro verso, dalla sentenza impugnata non si evince neppure se vi sia stata in effetti una condotta di “elusione” da parte del COGNOME, non essendo adeguatamente argomentato, ad esempio, se l’interruzione dei lavori da parte della ditta amministrata dall’imputato sia stata davvero pretestuosa, come asserito dalla Corte di appello, la quale ha fondato il suo convincimento pressoché soltanto sulla valutazione resa dal secondo consulente tecnico, Ing, COGNOME, in ordine al mancato assestamento del terreno, dando però atto, nel contempo, che questi concordava con l’idea originaria di “RAGIONE_SOCIALE” di procedere in modo graduale.
Egualmente, e sempre a titolo esemplificativo, in mancanza di argomentazione sul punto, non emerge se l’azione promossa da “RAGIONE_SOCIALE” ex art. 669-decies cod. proc. civ. in sede civile abbia rappresentato la copertura, ex post, della volontà di interrompere i lavori per ragioni di mero risparmio economico oppure sia stata indirizzata ad ottenere una modifica del contenuto dell’ingiunzione cautelare così da consentire attuazione dell’ordine del giudice nel modo più congruo.
Nemmeno, i Giudici di merito hanno replicato alle deduzioni difensive che rappresentavano gli importi della spesa già sostenuta dalla società nonché del sequestro conservativo dei beni mobili ed immobili di “RAGIONE_SOCIALE“, prima della costituzione di “RAGIONE_SOCIALE“, allo scopo di confutare la tesi accusatoria secondo cui all’operazione era sotteso l’intento di aggirare le garanzie patrimoniali.
Non hanno, in definitiva, compiutamente risposto alle eccezioni difensive volte a negare la configurabilità della condotta elusiva.
Per le ragioni esposte, si impone conclusivamente l’annullamento con rinvio della impugnata sentenza, affinché il giudice civile competente per valore in grado
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di appello approfondisca in fatto gli aspetti poc’anzi evidenziati, colmando le rilevate lacune motivazionali.
Il quinto motivo di ricorso deve considerarsi allo stato assorbito.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado d’appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.
Così deciso il 24/01/2024