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Art. 336 c.p.: condotta ostativa e inammissibilità

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per il reato ex art. 336 c.p. (violenza o minaccia a un pubblico ufficiale). La Corte ha confermato che, per configurare il reato, è sufficiente la condotta minacciosa finalizzata a ostacolare l’atto d’ufficio, anche se questo non viene di fatto impedito. Inoltre, ha ribadito che il diniego delle attenuanti generiche, se motivato congruamente con i precedenti penali e l’assenza di ravvedimento, è insindacabile in sede di legittimità.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Art. 336 c.p.: Basta la Minaccia a un Pubblico Ufficiale per Commettere Reato?

L’ordinanza n. 19227/2024 della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sulla configurazione del reato di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, disciplinato dall’art. 336 c.p. Analizzando un caso specifico, la Suprema Corte ribadisce principi consolidati sia sulla natura del reato sia sui limiti del ricorso per cassazione, in particolare riguardo alla valutazione delle circostanze attenuanti generiche.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Perugia, che aveva confermato la condanna di un imputato per il reato di cui all’art. 336 c.p. La condotta contestata consisteva in un comportamento minaccioso posto in essere al fine di ostacolare un’operazione di deflusso di detenuti.

L’imputato ha basato il suo ricorso in Cassazione su due motivi principali:
1. Errata applicazione dell’art. 336 c.p.: Secondo la difesa, il reato non sussisteva in quanto la condotta dell’imputato non aveva di fatto impedito lo svolgimento dell’atto d’ufficio da parte del pubblico ufficiale.
2. Mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche: L’imputato lamentava il diniego del beneficio, ritenendo la decisione della Corte d’Appello immotivata.

La Decisione della Corte e l’interpretazione dell’art. 336 c.p.

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo entrambi i motivi generici e manifestamente infondati. La decisione si articola su due punti cardine che meritano un’analisi approfondita.

La Configurazione del Reato: Condotta vs. Evento

Sul primo motivo, la Suprema Corte ha respinto la tesi difensiva, chiarendo la natura del reato previsto dall’art. 336 c.p. Questo reato è classificato come un ‘reato di condotta’, il che significa che per la sua consumazione è sufficiente che l’agente ponga in essere una condotta violenta o minacciosa diretta a costringere un pubblico ufficiale a compiere un atto contrario ai propri doveri o a omettere un atto del proprio ufficio.

È irrilevante, ai fini della configurabilità del reato, che l’obiettivo dell’agente venga effettivamente raggiunto. Ciò che conta è l’idoneità della condotta a turbare o a interferire con la libera formazione della volontà del pubblico ufficiale. La Corte d’Appello, secondo i giudici di legittimità, aveva correttamente motivato che la condotta minacciosa dell’imputato era finalizzata proprio a ostacolare l’operazione di deflusso, integrando così pienamente gli estremi del reato.

Le Attenuanti Generiche e il Potere Discrezionale del Giudice

Anche il secondo motivo è stato ritenuto inammissibile. La Corte ha ricordato che la concessione delle circostanze attenuanti generiche è espressione di un potere ampiamente discrezionale del giudice di merito. Il ruolo della Corte di Cassazione non è quello di sostituire la propria valutazione a quella del giudice di primo o secondo grado, ma solo di verificare che la decisione sia supportata da una motivazione logica, congrua e non contraddittoria.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva negato il beneficio sulla base di elementi concreti e pertinenti: i plurimi e gravi precedenti penali dell’imputato e la totale assenza di segni di ravvedimento. Tale motivazione è stata giudicata dalla Cassazione immune da vizi e, pertanto, non censurabile in sede di legittimità.

Le Motivazioni

Le motivazioni alla base della decisione della Suprema Corte sono chiare e lineari. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi addotti erano generici e non coglievano la corretta interpretazione delle norme applicate. Per quanto riguarda l’art. 336 c.p., la Corte ha ribadito che l’elemento essenziale è la condotta minacciosa finalizzata a interferire con l’azione della pubblica amministrazione, non l’effettivo impedimento dell’atto. Per quanto concerne le attenuanti, la Corte ha sottolineato come la valutazione del giudice di merito, se basata su argomentazioni logiche come i precedenti penali e la condotta processuale dell’imputato, non possa essere messa in discussione in sede di legittimità. La decisione della Corte d’Appello era, sotto entrambi i profili, correttamente e adeguatamente motivata.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida due principi fondamentali. In primo luogo, conferma che per integrare il reato di cui all’art. 336 c.p., è sufficiente la minaccia idonea a coartare la volontà del pubblico ufficiale, indipendentemente dal risultato. Questo serve a tutelare il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione da qualsiasi tentativo di interferenza. In secondo luogo, evidenzia la difficoltà di ottenere una riforma della decisione sulle attenuanti generiche in Cassazione: se il diniego è motivato in modo logico e coerente con gli atti del processo, il ricorso su questo punto è destinato all’inammissibilità.

Perché il reato di cui all’art. 336 c.p. è stato ritenuto sussistente anche se l’atto del pubblico ufficiale non è stato di fatto impedito?
Perché si tratta di un ‘reato di condotta’, per il quale è sufficiente porre in essere l’azione minacciosa con lo scopo di ostacolare il pubblico ufficiale. Il fatto che l’obiettivo non venga raggiunto non esclude la punibilità del comportamento.

Quali elementi ha considerato la Corte d’Appello per negare le circostanze attenuanti generiche?
La Corte d’Appello ha basato la sua decisione su due elementi specifici: i plurimi e gravi precedenti penali del ricorrente e la sua manifesta assenza di ravvedimento.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché i motivi presentati sono stati giudicati ‘generici e manifestamente infondati’. Ciò significa che le argomentazioni della difesa non avevano la consistenza giuridica necessaria per giustificare un riesame della sentenza di condanna.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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