Art. 131-bis e Ricorso in Cassazione: i paletti della Suprema Corte
L’applicazione dell’Art. 131-bis del codice penale, riguardante la non punibilità per particolare tenuità del fatto, è spesso al centro di dibattiti processuali. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito con fermezza i requisiti di ammissibilità per i ricorsi che ne lamentano la mancata applicazione. Analizziamo insieme questa importante decisione per capire quando e come è possibile sollevare tale questione davanti ai giudici di legittimità.
I Fatti di Causa
Il caso nasce dal ricorso di un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. L’unico motivo di doglianza era la violazione di legge e il vizio di motivazione per l’omessa applicazione della causa di non punibilità prevista dall’Art. 131-bis c.p. L’imputato sosteneva di aver diritto a tale beneficio, ma il suo ricorso è stato sottoposto al vaglio della Suprema Corte, che ne ha analizzato i requisiti procedurali prima ancora del merito.
Le Regole per Contestare la Mancata Applicazione dell’Art. 131-bis
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per due ragioni procedurali fondamentali, che costituiscono un vademecum per chiunque intenda sollevare una questione simile.
1. La Specificità del Motivo di Ricorso
Il primo ostacolo è la genericità. La legge (art. 581 c.p.p.) richiede che ogni motivo di ricorso contenga una “puntuale enunciazione delle ragioni di fatto e di diritto”. Nel caso di specie, il ricorso era stato formulato in modo vago, senza specificare perché, nel concreto, il fatto dovesse essere considerato di particolare tenuità. Questa mancanza ha impedito ai giudici di legittimità di comprendere le critiche mosse alla sentenza d’appello e di esercitare il proprio sindacato. Un motivo generico, quindi, equivale a un motivo inesistente e porta direttamente all’inammissibilità.
2. Il Divieto di Proporre Nuove Questioni in Cassazione
Il secondo, e forse più importante, principio ribadito è che la richiesta di applicazione dell’Art. 131-bis c.p. non può essere avanzata per la prima volta in sede di ricorso per Cassazione. L’art. 606, comma 3, c.p.p. vieta l’introduzione di nuove questioni nel giudizio di legittimità. La Corte ha verificato che l’imputato non aveva formulato una specifica richiesta in tal senso nel giudizio d’appello, neppure in sede di conclusioni. Di conseguenza, la doglianza è stata considerata tardiva e, per questo, inammissibile.
le motivazioni della Cassazione
Nonostante l’inammissibilità per ragioni procedurali, la Corte ha voluto approfondire il tema, spiegando perché, anche nel merito, la richiesta non avrebbe trovato accoglimento. I giudici hanno osservato che, sebbene la causa di non punibilità possa essere rilevata d’ufficio dal giudice d’appello, in questo caso i giudici di secondo grado avevano implicitamente escluso la tenuità del fatto.
Nella sentenza impugnata, infatti, la Corte d’Appello aveva evidenziato elementi contrari alla concessione di qualsiasi beneficio, come:
– La particolare gravità del fatto.
– La rilevanza economica del danno causato.
– I numerosi precedenti penali dell’imputato per reati “del tutto omogenei”.
Secondo la Cassazione, questa argomentazione, utilizzata per giustificare la congruità della pena, serve anche come motivazione implicita del rigetto dell’Art. 131-bis. Valutando la gravità del reato e la colpevolezza dell’imputato secondo i criteri dell’art. 133 c.p., i giudici d’appello avevano già compiuto un’analisi incompatibile con il riconoscimento della particolare tenuità del fatto.
le conclusioni
L’ordinanza in esame offre due lezioni pratiche fondamentali. In primo luogo, chi intende beneficiare dell’Art. 131-bis deve formulare una richiesta specifica e ben motivata nei gradi di merito, in particolare nel giudizio d’appello. Tentar di sollevare la questione per la prima volta in Cassazione è una strategia destinata al fallimento. In secondo luogo, la motivazione del diniego non deve essere necessariamente esplicita. Se il giudice d’appello, nel valutare la pena, evidenzia elementi di gravità del reato o di pericolosità sociale dell’imputato, tale valutazione può essere sufficiente a considerare implicitamente rigettata l’istanza di non punibilità, rendendo arduo un successivo ricorso sul punto.
È possibile chiedere per la prima volta l’applicazione dell’Art. 131-bis in Cassazione?
No, la Corte di Cassazione ha ribadito che la causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p. non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità, in quanto ciò è vietato dall’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale.
Cosa rende un ricorso sull’Art. 131-bis inammissibile per genericità?
Un ricorso è considerato generico, e quindi inammissibile, quando manca della “puntuale enunciazione delle ragioni di fatto e di diritto” che giustificano la richiesta. Non basta lamentare la mancata applicazione, ma occorre spiegare specificamente perché il fatto dovrebbe essere considerato di particolare tenuità.
Il rigetto dell’applicazione dell’Art. 131-bis deve essere sempre motivato esplicitamente?
No. Secondo la Corte, la motivazione può risultare anche implicitamente dall’argomentazione con cui il giudice d’appello valuta la congruità della pena. Se in quella sede vengono evidenziati indici di gravità del reato (secondo l’art. 133 c.p.) o precedenti penali specifici, tale valutazione è sufficiente a escludere la particolare tenuità del fatto.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 43302 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 43302 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a Locri il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/12/2023 della Corte d’appello di Caltanissetta
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
considerato che l’unico motivo di ricorso, con cui si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’omessa applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., non è consentito in sede di legittimità, essendo generico per indeterminatezza, perché privo dei requisiti prescritti dall’art. 581, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in quanto risulta mancante della puntuale enunciazione delle ragioni di fatto e di diritto giustificanti la richiesta, non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato;
rilevato altresì che, posto che la causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen. non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, a ciò ostando la disposizione di cui all’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 21465 del 20/03/2019, Semmah, Rv. 275782; Sez. 3, n. 23174 del 21/03/2018, Sarr, Rv. 272789), non risulta una specifica richiesta sul punto avanzata in appello dall’odierno ricorrente, neppure in sede di conclusioni (come emerge dal riepilogo dello svolgimento del processo alla pag. 1 dell’impugnata
sentenza, che il ricorrente avrebbe dovuto contestare specificamente nel ricorso, se incompleto o comunque non corretto);
ritenuto che, comunque, tenendo conto del principio secondo cui la causa di non punibilità de qua può essere rilevata d’ufficio dal giudice d’appello, in quanto, per assimilazione alle altre cause di proscioglimento per le quali vi è l’obbligo di immediata declaratoria in ogni stato e grado del processo, la stessa può farsi rientrare nella previsione di cui all’art. 129 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 2175 del 25/11/2020, dep. 2021, Ugboh, Rv. 280707), deve osservarsi come i giudici di appello, come emerge dalle pagg. 3 e 4 dell’impugnata sentenza – dando conto della particolare gravità del fatto, della rilevanza economica del danno cagionato alla persona offesa, oltre che dei molteplici precedenti riportati per reati «del tutto omogenei» dall’odierno ricorrente – hanno indicato come non si ravvisino nel caso in esame i presupposti né per un maggiore contenimento della pena né per l’applicazione di “alcun ulteriore beneficio”, potendosi così ribadire quanto affermato dalla Corte di cassazione secondo cui, in tema di “particolare tenuità del fatto”, la motivazione può risultare anche implicitamente dall’argomentazione con la quale il giudice d’appello, per valutare la congruità del trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice di primo grado, abbia considerato gli indici di gravità oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell’imputato, alla stregua dell’art. 133 cod. pen. (ex plurimis: Sez. 3, n. 48317 del 11/10/2016, COGNOME, Rv. 268499-01; Sez. 4, n. 27595 del 11/05/2022, Omogiate, Rv. 283420-01);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2024.