Art. 131-bis: i motivi non proposti in appello sono inammissibili in Cassazione
L’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale, rappresenta un istituto fondamentale per la deflazione del sistema penale. Tuttavia, il suo corretto utilizzo è subordinato al rispetto di precise regole procedurali. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: la questione relativa all’art. 131-bis non può essere sollevata per la prima volta in sede di legittimità se non è stata precedentemente dedotta come specifico motivo di appello. Questa decisione chiarisce i confini del ricorso in Cassazione e l’onere della parte di articolare compiutamente le proprie doglianze nei gradi di merito.
I fatti del caso
Un imputato, a seguito di una condanna confermata dalla Corte d’Appello di Bologna, presentava ricorso per Cassazione affidandosi a due principali motivi. Con il primo, lamentava la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p. Con il secondo motivo, invece, denunciava un vizio di motivazione riguardo alla mancata sostituzione della pena detentiva con pene alternative, come previsto dalla legge.
La strategia difensiva e l’applicazione dell’art. 131-bis
La difesa dell’imputato mirava a ottenere un proscioglimento tramite l’istituto della particolare tenuità del fatto, sostenendo che le circostanze del reato lo consentissero. In subordine, chiedeva una mitigazione della sanzione attraverso la conversione della pena detentiva in una sanzione sostitutiva, opzione che il giudice di merito aveva negato. L’approccio difensivo si è scontrato, tuttavia, con rigide barriere procedurali che ne hanno determinato l’insuccesso davanti alla Suprema Corte.
Le motivazioni
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una chiara spiegazione per ciascuno dei motivi sollevati.
Per quanto riguarda il primo motivo, relativo all’art. 131-bis, i giudici hanno rilevato un vizio insanabile: la questione non era mai stata sollevata come specifico motivo di appello. La legge, in particolare l’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale, stabilisce a pena di inammissibilità che i motivi non dedotti in appello non possano essere presentati per la prima volta in Cassazione. La Corte ha richiamato un suo precedente orientamento (Sez. 3, n. 19207 del 16/03/2017), secondo cui il giudice di merito non ha alcun obbligo di pronunciarsi d’ufficio sulla particolare tenuità del fatto se non vi è una specifica richiesta della parte, specialmente se la norma era già in vigore al momento della sentenza impugnata. Pertanto, l’omessa deduzione in appello ha precluso ogni possibilità di esame in sede di legittimità.
Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. La Corte ha ricordato che la decisione di concedere o negare le pene sostitutive rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Tale potere deve essere esercitato valutando i criteri indicati dall’art. 133 del codice penale, come la gravità del reato e la capacità a delinquere del reo. Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva motivato il diniego evidenziando l’inidoneità del beneficio alla rieducazione del ricorrente. Secondo la Cassazione, tale motivazione, essendo logica e coerente, sfugge al sindacato di legittimità, che non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame offre due importanti lezioni di carattere procedurale. In primo luogo, cristallizza il principio secondo cui le questioni giuridiche, inclusa l’applicazione dell’art. 131-bis c.p., devono essere tempestivamente sollevate nei gradi di merito. L’inerzia della parte in appello si traduce in una preclusione invalicabile in Cassazione. In secondo luogo, conferma la solidità del principio della discrezionalità motivata del giudice di merito nella commisurazione della pena e nella scelta delle sanzioni, un ambito in cui il controllo della Cassazione è limitato alla sola verifica della logicità e completezza della motivazione. L’esito del ricorso, con la condanna al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria, serve da monito sull’importanza di una strategia difensiva attenta e proceduralmente corretta in ogni fase del giudizio.
Quando si può chiedere l’applicazione della particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.)?
La richiesta deve essere presentata durante i gradi di merito del processo (primo grado o appello). Secondo la Corte, non può essere sollevata per la prima volta in Cassazione se non è stata specificamente dedotta come motivo di appello.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il motivo sull’art. 131-bis?
La Corte lo ha ritenuto inammissibile perché la questione non era stata sollevata come specifico motivo di gravame nel giudizio d’appello, in violazione di quanto prescritto dall’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale.
Il giudice è obbligato a sostituire una pena detentiva breve con pene alternative?
No, il giudice non è obbligato. La concessione delle pene sostitutive è un potere discrezionale. Il giudice può negarle se, sulla base dei criteri dell’art. 133 c.p., ritiene che non siano idonee alla rieducazione del condannato, a condizione che la sua decisione sia supportata da una motivazione adeguata e non illogica.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23290 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23290 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il 13/06/1985
avverso la sentenza del 08/11/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
ritenuto che il primo motivo di ricorso, che lamenta la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., non è consent sede di legittimità, perché la censura non risulta essere stata previamente dedo come motivo di appello, secondo quanto è prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 606 comma 3 cod. proc. pen.; che ciò si evince dal riepilogo dei motiv gravame riportato nella sentenza impugnata (si veda pag. 1), che l’odiern ricorrente avrebbe dovuto contestare specificamente, se incompleto o comunque non corretto;
considerato, inoltre, che “in tema di esclusione della punibilità per l particolare tenuità del fatto, la questione dell’applicabilità dell’art. 131-b pen. non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, ostandovi il dispo di cui all’art. 606, comma terzo, cod. proc. pen., se il predetto articolo era vigore alla data della deliberazione della sentenza impugnata, né sul giudice merito grava, in difetto di una specifica richiesta, alcun obbligo di pronunc comunque sulla relativa causa di esclusione della punibilità” (Sez. 3, n. 19207 d 16/03/2017, COGNOME, Rv. 269913);
osservato che il secondo motivo di ricorso che denuncia vizio di omessa motivazione sulla mancata sostituzione della pena detentiva con le pene sostitutive di cui all’art. 53 L. 689/1981 è manifestamente infondato; particolare, giova ricordare che, in tema di pene sostitutive di pene deten brevi, anche a seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 1 il giudice resta vincolato nell’esercizio del suo potere discrezionale alla valuta dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sicché il suo giudizio, se s adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (Sez. 3, n. 9708 d 16/02/2024, Tornese, Rv. 286031). Nel caso in esame, la Corte territoriale h fatto buon governo dei predetti canoni ermeneutici, escludendo di poter disporr la conversione della pena detentiva con particolare riguardo alla inidoneità beneficio alla rieducazione dell’odierno ricorrente (si veda pag. 2 della sente impugnata);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del
ammende.
Così deciso, il 23 maggio 2025.