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Art. 131-bis e comportamento abituale: il no della Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso avverso una condanna, confermando che l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’Art. 131-bis del codice penale, non può essere applicata a chi manifesta un comportamento abituale. Il ricorso è stato inoltre respinto perché si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già confutate in appello, senza confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Art. 131-bis e Comportamento Abituale: Quando il Ricorso è Inammissibile

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sui limiti di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Il caso in esame offre un duplice spunto di riflessione: uno di carattere procedurale, relativo ai requisiti di ammissibilità del ricorso, e uno di natura sostanziale, riguardante l’inapplicabilità dell’Art. 131-bis in presenza di un comportamento abituale. Questa decisione sottolinea l’importanza di un’adeguata strategia difensiva sia nella forma che nel merito.

I Fatti del Caso

Un soggetto, condannato dalla Corte di Appello di Genova, decideva di presentare ricorso per Cassazione. Il fulcro della sua difesa si basava su un unico motivo: il mancato riconoscimento, da parte dei giudici di merito, della causa di non punibilità prevista dall’Art. 131-bis del codice penale, nota come “particolare tenuità del fatto”. L’imputato sosteneva che il reato commesso fosse sufficientemente lieve da non meritare una sanzione penale.

La Decisione della Corte e l’applicazione dell’Art. 131-bis

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione su due pilastri argomentativi distinti ma collegati. L’analisi dei giudici ha riguardato sia la forma del ricorso sia la sostanza della questione sollevata.

Il Ricorso “Fotocopia” e l’Inammissibilità

Il primo motivo di rigetto è di natura puramente processuale. I giudici hanno rilevato che il motivo di ricorso non era altro che una “pedissequa riproduzione” di un’identica censura già sollevata e adeguatamente respinta dalla Corte di Appello. Il ricorrente, in altre parole, si è limitato a copiare e incollare le sue precedenti argomentazioni, senza minimamente confrontarsi con le motivazioni con cui i giudici di secondo grado avevano giustificato la loro decisione. Questo modo di agire viola il principio di specificità dei motivi di ricorso, rendendo l’atto inidoneo a superare il vaglio di ammissibilità.

Il Comportamento Abituale come Ostacolo all’Art. 131-bis

Entrando nel merito della questione, la Corte ha confermato la correttezza della decisione della Corte di Appello. Quest’ultima aveva già evidenziato un elemento cruciale: la sussistenza di ben quattro precedenti reati della stessa indole a carico del ricorrente. Tale pluralità di illeciti, secondo i giudici, integrava chiaramente la nozione di “comportamento abituale”, una condizione che la legge indica esplicitamente come ostativa all’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione dell’ordinanza è chiara e lineare. Da un punto di vista procedurale, un ricorso in Cassazione deve essere un atto critico che si confronta dialetticamente con la sentenza impugnata, non una mera riproposizione di doglianze già esaminate. L’assenza di questo confronto rende il ricorso generico e, quindi, inammissibile.
Sul piano sostanziale, la Corte ribadisce un principio consolidato: l’Art. 131-bis è una norma di favore pensata per condotte illecite occasionali e di minima gravità. Non può essere estesa a soggetti che dimostrino, attraverso la reiterazione di condotte antigiuridiche, una vera e propria tendenza a delinquere. Il “comportamento abituale” non è un concetto astratto, ma si concretizza proprio nella presenza di reati pregressi della stessa indole, come nel caso di specie. La finalità della norma è quella di evitare la sanzione penale per fatti bagatellari e sporadici, non di garantire l’impunità a chi delinque con regolarità.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per la prassi legale. In primo luogo, riafferma che la redazione di un ricorso per Cassazione richiede un’analisi critica e puntuale della decisione che si intende impugnare. In secondo luogo, consolida l’interpretazione restrittiva dell’Art. 131-bis, escludendone l’applicazione in tutti i casi in cui la condotta dell’imputato non sia meramente occasionale. La decisione si conclude con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro a favore della Cassa delle ammende, a conferma della serietà con cui l’ordinamento sanziona i ricorsi infondati.

È possibile ottenere l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) se si sono commessi altri reati in passato?
No, la sentenza chiarisce che la sussistenza di plurimi reati della stessa indole (in questo caso, quattro) configura un “comportamento abituale”, che è una causa ostativa all’applicazione dell’art. 131-bis c.p.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione si limita a ripetere gli stessi motivi già presentati in appello?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. La Corte di Cassazione ha stabilito che un ricorso che costituisce una “pedissequa riproduzione” di una censura già adeguatamente confutata dalla Corte di Appello, e con la quale il ricorrente non si confronta, non può essere accolto.

Quali sono le conseguenze di una dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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