Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 19397 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 19397 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI TRIESTE nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato a BRESCIA il 22/07/1977
avverso la sentenza del 23/09/2024 della CORTE APPELLO di TRIESTE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore NOME COGNOME la quale ha chiesto dichiararsi l’annullamento con rinvio della gravata sentenza.
Ritenuto in fatto
Con sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Trieste, in riforma della sentenza resa in primo grado nei confronti di NOME COGNOME per il delitto di cui all’art. 615 ter, primo, secondo e terzo comma, cod. pen., ha assolto l’imputata, ravvisando i presupposti per l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. Il giudice di primo grado aveva assolto l’imputata, con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, non ravvisando l’elemento soggettivo richiesto dalla fattispecie incriminatrice (dolo), bensì la mera colpa. La Corte d’appello ha invece ritenuto sussistente altresì il dolo, ma, come anticipato, ha ritenuto applicabile l’art. 131 bis cod. pen. in considerazione della particolare tenuità dell’offesa e della non abitualità del comportamento. Secondo la rubrica, l’imputata, quale ispettore di polizia ferroviaria di Tarvisio, accedeva al Portale del C.e.d. Interforze del Ministero dell’interno ed effettuava, senza alcuna autorizzazione ovvero ragioni di servizio, ricerche su NOME COGNOME concernenti dati anagrafici e residenza.
Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione il procuratore generale presso la Corte d’appello di Trieste, deducendo, con un unico motivo di seguito enunciato nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., violazione di legge con riferimento agli artt. 615 ter e 131 bis cod. pen.
Posto che il reato è stato contestato ai sensi dell’art. 615 ter, primo, secondo e terzo comma, cod. pen., il giudice dell’appello non avrebbe considerato le circostanze a effetto speciale di cui, secondo l’art. 131 bis, quinto comma, cod. pen. occorre tener conto nella determinazione della pena. Nel caso di specie, il reato è stato ritenuto aggravato da due circostanze aggravanti a effetto speciale, quali sono quelle prevista nell’art. 615 ter, secondo e terzo comma, cod. pen., posto che 1) l’ascritto delitto è stato posto in essere dall’imputata nell’esercizio delle funzioni di pubblico ufficiale e 2) le ricerche abusivamente effettuate dall’imputata sono state compiute accedendo al Centro elaborazione dati (C.e.d.) del Ministero dell’interno, sistema informatico di interesse militare e relativo all’ordine e alla sicurezza pubblica. Ne consegue che la causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. è stata illegittimamente applicata, dal momento che la pena complessiva, determinata alla luce delle due citate aggravanti, superava di ben oltre un terzo il limite di anni due previsto dall’art. 131 bis cod. pen.
Sono pervenute le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME la quale ha chiesto dichiararsi l’annullamento con rinvio della gravata sentenza.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato.
Come ricordato dal ricorrente, ai sensi dell’art. 131 bis, quinto comma, cod. pen., «ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest’ultimo caso ai fini dell’applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all’articolo 69».
Nel caso di specie, il reato contestato, come premesso in sentenza dalla medesima Corte d’appello, risultava aggravato da due circostanze cd. a effetto speciale, quali sono quelle previste dall’art. 615 ter, secondo comma, n.1, cod. pen. («la pena è della reclusione da due a dieci anni: 1) se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale») e terzo comma, cod. pen. (secondo cui, qualora i fatti di cui ai commi primo e secondo riguardino sistemi informatici o telematici di interesse militare o relativi all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla protezione civile o comunque di interesse pubblico, la pena è, rispettivamente, della reclusione, la pena è della reclusione da tre a dieci anni e da quattro a dodici anni).
Si osserva, per inciso, che, benché al tempo della commissione del fatto (20 aprile 2020, come risulta dal capo d’imputazione), gli aggravamenti di pena previsti dal secondo e terzo comma dell’art. 615 ter cod. pen. fossero diversi (e inferiori) rispetto a quanto sopra indicato, il risultato, ai fini della decisione del presente ricorso, non cambia: le circostanze aggravanti di cui ai commi secondo e terzo dell’art. 615 ter cod. pen. erano (nel 2020), e sono, ad oggi, circostanze a effetto speciale, comportando un aumento di pena superiore a un terzo rispetto alla pena prevista per il reato non aggravato (reclusione fino a tre anni).
Né può dirsi che, in motivazione, la responsabilità penale dell’imputata per l’ascritto delitto sia stata posta in dubbio, avendo la Corte territoriale aderito alle ragioni del pubblico ministero, allora appellante, osservando come gli elementi probatori raccolti dimostrassero la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato in capo alla Treccani (v. p. 7 della gravata sentenza; e, per l’analisi della condotta, anch’essa ritenuta penalmente rilevante ai sensi dell’art. 615 ter cod. pen., si vedano le pp. 5-7 dell’impugnata sentenza) e avendo pronunciato l’assoluzione sulla sola base dell’art. 131 bis cod. pen., alla luce della tenuità del fatto.
Da tanto, e dall’attenta lettura del comb. disp. degli artt. agli artt. 615 ter e 131 bis cod. pen., deriva la fondatezza della doglianza oggetto di ricorso, atteso che l’impugnata sentenza non ha tenuto conto dei limiti di pena edittali previsti dall’art. 131 bis, quinto comma, cod. pen.
2. Per tali ragioni, il Collegio, annulla la sentenza impugnata, limitatamente al riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131
bis cod. pen., con
rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Trieste. In applicazione dell’art. 624 cod. proc. pen., va ribadito che, per effetto della presente
pronuncia, diviene irrevocabile l’affermazione di responsabilità dell’imputata per il reato ascritto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. con rinvio per nuovo giudizio ad altra
sezione della Corte di appello di Trieste.
Così deciso in Roma, il 04/04/2025
Il consigliere estensore