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Arresto in flagranza: localizzatore non è indagine

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’individuazione di un sospettato tramite un dispositivo di geolocalizzazione, subito dopo un furto, non costituisce un’attività di indagine incompatibile con l’arresto in flagranza. Tale pratica è equiparabile a un ‘inseguimento virtuale’ e legittima l’arresto quando il soggetto viene trovato in possesso della refurtiva, integrando così la ‘quasi flagranza’. La Corte ha quindi annullato la decisione del Tribunale di Milano che non aveva convalidato l’arresto.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Arresto in flagranza e tecnologia: il GPS è un inseguimento virtuale

La tecnologia moderna offre strumenti sempre più sofisticati per la tutela dei nostri beni, ma come si concilia il loro utilizzo con le norme del codice di procedura penale? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 6421/2024) ha fornito un chiarimento fondamentale sul concetto di arresto in flagranza nell’era digitale, stabilendo che rintracciare un ladro tramite un dispositivo di geolocalizzazione non è un’indagine, ma un vero e proprio ‘inseguimento virtuale’.

I fatti del caso

Il caso ha origine da un furto. La vittima, derubata del proprio portafoglio, ha permesso alle forze dell’ordine di localizzare quasi immediatamente l’autore del reato grazie a un dispositivo di geolocalizzazione inserito al suo interno. Il sospettato è stato individuato in una sala slot mentre tentava di utilizzare una delle carte di credito sottratte. Al momento del fermo, è stato trovato in possesso non solo delle carte di credito, ma anche di altra refurtiva.
Nonostante la quasi immediatezza dei fatti, il Tribunale di Milano non convalidava l’arresto, ritenendo che l’uso del localizzatore costituisse un’attività investigativa successiva al reato, incompatibile con i presupposti della flagranza o della quasi flagranza. Il Pubblico Ministero ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La tecnologia e l’arresto in flagranza

Il nodo cruciale della questione era stabilire se l’uso di un dispositivo di geolocalizzazione potesse essere qualificato come un’attività di indagine. Se così fosse stato, l’arresto sarebbe risultato illegittimo, poiché la flagranza richiede che l’autore del reato sia colto nell’atto di commetterlo o subito dopo.
La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione del Tribunale, accogliendo pienamente le ragioni del Pubblico Ministero. Secondo gli Ermellini, la tecnologia in questo caso non ha dato il via a un’indagine complessa, ma ha semplicemente permesso un’individuazione quasi istantanea del responsabile, configurandosi come un ‘inseguimento virtuale’.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha richiamato la sua giurisprudenza consolidata sul concetto di ‘quasi flagranza’. Questa condizione si verifica quando il soggetto, subito dopo il reato, viene ‘sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima’. A differenza dell’inseguimento fisico, la quasi flagranza non richiede che la polizia giudiziaria abbia avuto una percezione diretta del crimine mentre veniva commesso. È sufficiente la percezione immediata delle tracce del reato e il loro collegamento inequivocabile con l’indiziato.
Nel caso di specie, il rintracciamento tramite localizzatore è stato assimilato a un inseguimento, seppur virtuale. L’individuazione del soggetto è avvenuta nell’imminenza del fatto, non grazie a indagini successive, ma per effetto diretto della tecnologia. L’uomo è stato trovato con addosso la refurtiva e nell’atto di commettere un altro reato (l’uso indebito della carta di credito), elementi che hanno integrato pienamente i presupposti per l’arresto in flagranza.

Conclusioni

La sentenza n. 6421/2024 segna un punto importante nell’adeguamento del diritto processuale penale all’evoluzione tecnologica. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’uso di strumenti come i localizzatori GPS per rintracciare l’autore di un reato nell’immediatezza non snatura l’istituto della flagranza. Anzi, lo potenzia, equiparando il tracciamento elettronico a un inseguimento fisico. Questa decisione riconosce che la tecnologia può essere uno strumento efficace per la repressione dei reati, garantendo al contempo che l’azione delle forze dell’ordine rimanga nei confini della legittimità procedurale. L’arresto, in questo contesto, è stato ritenuto legittimamente eseguito e l’ordinanza del Tribunale annullata.

L’uso di un localizzatore GPS per rintracciare un ladro è considerata un’indagine che impedisce l’arresto in flagranza?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’uso di un dispositivo di geolocalizzazione per individuare il responsabile poco dopo un furto non costituisce un’indagine, ma si configura come un ‘inseguimento virtuale’, pienamente compatibile con l’arresto in flagranza o quasi flagranza.

Cosa si intende per ‘quasi flagranza’ di reato?
La ‘quasi flagranza’ si verifica quando una persona, subito dopo la commissione di un reato, viene sorpresa in possesso di cose o tracce che dimostrano in modo evidente il suo coinvolgimento. Non è necessario che le forze dell’ordine abbiano assistito direttamente al reato, ma è sufficiente che percepiscano immediatamente le prove che collegano il sospettato al crimine appena commesso.

Perché la Cassazione ha annullato la decisione del Tribunale ‘senza rinvio’?
La Corte ha annullato la decisione ‘senza rinvio’ perché il ricorso riguardava una fase del procedimento (la convalida dell’arresto) ormai conclusa e superata. Un eventuale rinvio a un altro giudice avrebbe portato a una pronuncia puramente formale, senza alcun effetto pratico o giuridico sul prosieguo del procedimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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