Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 11748 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 11748 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: I MILANO
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE nel procedimento a carico di:
COGNOMECUI COGNOME nato il 01/01/1983
avverso l’ordinanza del 06/08/2024 del GIP TRIBUNALE di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette/sentite le conclusioni del PG
udito il difensore
IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con l’ordinanza di cui in epigrafe il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Milano non convalidava l’arresto di NOME COGNOME operato dalla polizia giudiziaria, disattendendo la richiesta del pubblico ministero formulata in relazione al reato di cui all’art. 497 bis, co. 2, cod. pen., in quanto l’indagato, all’esito di un controllo eseguito da personale della Questura di Milano presso l’albergo dove alloggiava, era stato trovato in possesso di una carta d’identità greca, valida per l’espatrio, apparentemente rilasciata dalle competenti autorità locali, riportante la sua effigie e i dati anagrafici di tal NOMECOGNOME nato 1’1.1.1983, in Grecia, documento e dati, di cui era stata accertata la falsità dagli agenti operanti.
Rilevava, in particolare, il giudice procedente, dopo avere premesso che “l’intervento del personale della Questura di Milano è avvenuto alle ore 7.20, ma il COGNOME è stato dichiarato in stato di arresto alle ore 10.30, dopo che sono stati effettuati accurati accertamenti per acquisire la certezza della contraffazione del documento”, che l’arresto non è avvenuto nella flagranza o quasi flagranza del reato contestato, “in quanto la carta di identità contraffatta è stata esibita agli operanti dall’indagato alcune ore prima che fosse stato dichiarato in arresto”.
2. Avverso la menzionata decisione ha proposto ricorso per cassazione il pubblico ministero presso il tribunale di Milano, lamentando violazione di legge, in relazione agli artt. 391, co. 4, e 382, cod. proc. pen., rilevando come non si sia verificata alcuna soluzione di continuità tra la condotta commissiva del reato (possesso del documento d’identità recante la foto del possessore con false generalità) e la percezione della stessa da parte della polizia giudiziaria, non potendo ritenersi che il tempo strettamente necessario per effettuare i dovuti accertamenti sull’identità dell’autore del reato e sulla natura del documento rivenuto nella sua disponibilità sia idoneo a elidere tale stretto collegamento tra la condotta criminosa e la percezione di essa da parte della polizia giudiziaria.
2.1. Con requisitoria scritta del 2.10.2024, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott. ssa NOME COGNOME chiede che il ricorso venga accolto.
Il ricorso del pubblico ministero va accolto, essendo fondati i motivi che lo sostengono.
Come correttamente rilevato dal sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione nella sua requisitoria scritta, la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che lo stato di flagranza, ai sensi dell’art. 382 cod. proc. pen., si caratterizza per lo stretto collegamento tra la condotta commissiva del reato, o quella ad essa immediatamente successiva, e la percezione della medesima da parte della polizia giudiziaria. Il collegamento sussiste, e l’arresto è legittimamente operato, quando sia trascorso un certo lasso di tempo, anche non breve, durante il quale l’azione della polizia giudiziaria si sia svolta senza soluzione di continuità, anche con la finalità di espletare quegli accertamenti volti a qualificare la gravità del fatto, al fine di valutare l’esercizio della facoltà di arresto (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 10392 del 14/01/2004, Rv. 228466).
In questa prospettiva si è ulteriormente chiarito che, in tema di arresto operato d’iniziativa dalla polizia giudiziaria nella quasi flagranza del reato, il requisito – previsto dall’art. 382, comma primo, cod. proc. pen. della “sorpresa” dell’indiziato “con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima” non richiede che la polizia giudiziaria abbia diretta percezione dei fatti, né che la sorpresa avvenga in modo non casuale, correlandosi invece alla diretta percezione da parte della stessa soltanto degli elementi idonei a farle ritenere sussistente, con altissima probabilità, la responsabilità del medesimo, nei limiti temporali determinati dalla commissione del reato “immediatamente prima”, locuzione dal significato analogo a quella (“poco prima”) utilizzata dal previgente codice di rito, di cui rappresenta una mera puntualizzazione quanto alla connessione temporale tra reato e sorpresa. (Fattispecie in cui la Corte, in riforma dell’impugnata ordinanza, ha ritenuto che legittimamente i carabinieri avessero
proceduto all’arresto, nella quasi flagranza del reato di furto aggravato, di un soggetto – peraltro reo confesso – sorpreso, durante un normale controllo al confine di Stato, alla guida di un’autovettura risultata rubata poche ore prima in una città vicina cfr. Sez. 2, n. 19948 del 04/04/2017, Rv. 270317).
Nel prosieguo della sua elaborazione la Suprema Corte ha evidenziato come, in tema di arresto nella quasi flagranza del reato, il requisito della sorpresa del “reo” con cose o tracce del reato richieda l’esistenza di una stretta contiguità fra la commissione del fatto e la successiva sorpresa del presunto autore di esso con le “cose” o le “tracce” del reato, e dunque il susseguirsi, senza soluzione di continuità, della condotta del reo e dell’intervento degli operanti a seguito della percezione delle cose o delle tracce (cfr. Sez. 2, n. 20687 del 11/04/2017, Rv. 270360).
In tema di arresto in flagranza, dunque, la c.d. “quasi flagranza” ricorre quando l’arresto è operato dalla polizia giudiziaria sulla base della immediata ed autonoma percezione delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato.
Nella fattispecie portata all’attenzione del giudice di legittimità, è stata annullata l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari che, in un caso di incidente stradale con fuga del conducente, non ne aveva convalidato l’arresto in considerazione del lasso di tempo trascorso dal fatto alla redazione del verbale di arresto, nonostante la polizia fosse giunta sul posto pochi minuti dopo i fatti e, senza intervalli temporali, avesse proceduto all’accertamento dei fatti che aveva, sempre senza soluzione di continuità, condotto all’identificazione dell’autore del reato ed alla sua apprensione presso l’abitazione (cfr. Sez. 4, n. 1797 del 18/10/2018, Rv. 274909, nonché, nello stesso senso, Sez. 6, n. 25331 del 19/05/2021, Rv. 281749).
Tanto premesso il provvedimento oggetto di ricorso non appare conforme ai principi ora richiamati.
Invero il personale della Questura di Milano ha proceduto all’arresto dell’indagato non appena avuto la certezza della falsità del documento in suo possesso, dopo avere avuto dubbi sull’autenticità del documento
medesimo sin dal momento in cui venne operato il controllo presso l’albergo dove alloggiava il Tayfun, in quanto, come si evince dal verbale di arresto, atto consultabile in questa sede, essendo stato dedotto un error in procedendo, da un lato, quest’ultimo, pur esibendo una carta di identità greca, riportante i dati anagrafici di un cittadino greco, nato in Grecia, aveva riferito di conoscere e parlare unicamente la lingua turca; dall’altro, la carta d’identità in suo possesso aveva fatto sorgere dei dubbi negli agenti operanti sull’autenticità della stessa, presentando alcune difformità dal modello legale, attualmente in vigore in Grecia.
Appare, pertanto, evidente come gli agenti operanti abbiano agito sulla base della immediata ed autonoma percezione delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato, senza che si sia verificata alcuna soluzione di continuità tra la condotta dell’indagato e l’intervento degli operanti a seguito della percezione delle cose o delle tracce della condotta criminosa del NOMECOGNOME
Al riguardo si osserva che, allo stato degli atti, tale condotta risulta riconducibile, quanto meno, all’ipotesi di cui all’art. 497 bis, co. 1, cod. pen., che punisce il possesso di un documento falso valido per l’espatrio, unica condotta sicuramente posta in essere dall’indagato, in ragione della acclarata detenzione da parte sua della falsa carta di identità, immediatamente prima di essere sorpreso dagli agenti operanti, laddove non vi è prova che la contraffazione del documento, integrante la diversa fattispecie di cui all’art. 497 bis, co. 2, cod. pen., a lui astrattamente imputabile anche per il semplice fatto di avere fornito la sua effige fotografica per la formazione della falsa carta di identità, sia intervenuta poco prima dell’intervento delle forze dell’ordine.
Si tratta, tuttavia, di un rilievo che non incide sulla questione di diritto che ci occupa.
Infatti, dal punto di vista della legittimità dell’arresto, essendo il giudice per le indagini preliminari chiamato esclusivamente a valutare la sussistenza, con giudizio ex ante, degli elementi che legittimavano l’adozione del provvedimento, cioè se la situazione di osservazione e di intervento da parte della polizia giudiziaria integrasse o meno la
flagranza di un fatto “configurabile” come reato (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 2599 del 20/06/1997, Rv. 208843), non è revocabile in dubbio l’assoluta conformità alla previsione normativo del comportamento della polizia giudiziaria, posto che l’art. 380, co. 2, lett. m bis), cod. proc. pen., prevede espressamente l’arresto obbligatorio in flagranza per i delitti di fabbricazione, detenzione o uso di documento di identificazione falso previsti dall’art. 497 bis, cod. pen., senza operare alcuna distinzione tra le due diverse fattispecie previste dal primo e dal secondo comma di tale ultimo articolo
Sulla base delle svolte considerazioni l’impugnata ordinanza va, pertanto, annullata senza rinvio, essendo stato l’arresto legittimamente eseguito.
Come affermato, infatti, da un condivisibile arresto della giurisprudenza di legittimità, l’annullamento da parte della Corte di Cassazione dell’ordinanza di non convalida dell’arresto in flagranza va disposto con la formula “senza rinvio”, poiché il ricorso, avendo ad oggetto la rivisitazione di una fase ormai perenta, è finalizzato esclusivamente alla definizione della correttezza dell’operato degli agenti di polizia giudiziaria e l’eventuale rinvio solleciterebbe una pronuncia meramente formale, priva di ricadute quanto ad effetti giuridici (cfr. Cass., Sez. 5, n. 15387 del 19/02/2016, Rv. 266566).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata perché l’arresto è stato legittimamente eseguito.
Così deciso in Roma il 21.11.2024.