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Arresti domiciliari: permessi non automatici

La Corte di Cassazione ha confermato il diniego di un permesso di uscita di quattro ore a un individuo in arresti domiciliari esecutivi. La sentenza chiarisce la netta distinzione tra questa misura e la detenzione domiciliare sostitutiva, sottolineando che ogni richiesta viene valutata discrezionalmente dal giudice in base alla pericolosità del soggetto e alle esigenze concrete, non per automatica estensione di altre normative.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Arresti Domiciliari: Non Tutti i Permessi Sono Uguali

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto un’importante occasione per fare chiarezza sulle diverse forme di detenzione domiciliare previste dal nostro ordinamento. Il caso riguarda la richiesta di un condannato in arresti domiciliari di ottenere un permesso di uscita di quattro ore giornaliere. La decisione della Suprema Corte non solo ha respinto il ricorso, ma ha anche delineato con precisione i confini tra istituti giuridici simili solo nel nome, ma profondamente diversi nella sostanza e nelle finalità.

I Fatti del Caso

Un soggetto, già sottoposto alla misura degli arresti domiciliari esecutivi ai sensi dell’art. 656, comma 10, c.p.p., presentava un’istanza al Magistrato di Sorveglianza per essere autorizzato ad allontanarsi dalla propria abitazione per quattro ore al giorno, al fine di soddisfare le proprie esigenze di vita. Il Magistrato rigettava la richiesta, motivando la decisione sulla base dei numerosi e gravi precedenti penali del condannato e considerando che l’applicazione del braccialetto elettronico già costituiva un elemento di controllo. Insoddisfatto, il condannato ricorreva in Cassazione.

Il Cuore del Ricorso: un Errato Paragone tra Misure

L’argomentazione principale del ricorrente si basava su un’asserita violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.). Egli sosteneva che, poiché la legge sulla depenalizzazione (L. 689/1981) prevede per la detenzione domiciliare sostitutiva la possibilità di lasciare il domicilio per almeno quattro ore al giorno, lo stesso diritto dovesse essere garantito anche a chi, come lui, si trovava in arresti domiciliari esecutivi. A suo dire, una diversa interpretazione avrebbe creato una discriminazione ingiustificata.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, smontando pezzo per pezzo la tesi difensiva e chiarendo punti fondamentali del diritto penitenziario.

In primo luogo, la Corte ha sottolineato la profonda differenza tra le misure messe a confronto:
1. Arresti domiciliari esecutivi (art. 656 c.p.p.): Si tratta di una modalità di esecuzione della pena che interviene quando la sentenza diventa definitiva e il condannato è già agli arresti domiciliari a titolo cautelare. La sua gestione è equiparata a quella della misura alternativa della detenzione domiciliare.
2. Detenzione domiciliare come misura alternativa (art. 47-ter Ord. Pen.): Viene concessa dal Tribunale di Sorveglianza dopo una valutazione della personalità del condannato e sulla base di una prognosi favorevole di reinserimento sociale. È una misura finalizzata al recupero del reo.
3. Detenzione domiciliare sostitutiva (art. 56 L. 689/1981): Non è una misura alternativa, ma una vera e propria pena applicata direttamente dal giudice del processo (giudice della cognizione) in sostituzione di una pena detentiva breve. Ha una natura e una finalità diverse, più punitive che rieducative.

La Cassazione ha stabilito che paragonare istituti così diversi è giuridicamente errato. Le regole previste per la detenzione domiciliare sostitutiva non possono essere automaticamente estese agli arresti domiciliari esecutivi.

In secondo luogo, e questo è il punto cruciale, la Corte ha rilevato come la questione di legittimità costituzionale sollevata fosse priva di concreta rilevanza. Il Magistrato di Sorveglianza, infatti, non aveva negato il permesso a causa di un divieto di legge, ma a seguito di una valutazione discrezionale basata su elementi concreti: la carente dimostrazione delle esigenze del condannato e, soprattutto, il giudizio di pericolosità sociale espresso a suo carico.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio cardine dell’esecuzione penale: la concessione di benefici e permessi non è mai un automatismo, ma il risultato di una valutazione individualizzata da parte del giudice competente. Non è sufficiente invocare una norma prevista per un altro istituto giuridico per pretendere un diritto. Il giudice deve sempre ponderare le specifiche esigenze del condannato con le imprescindibili necessità di controllo e sicurezza sociale, basando la propria decisione su un’analisi approfondita della personalità e della pericolosità del soggetto. In questo caso, il diniego non è derivato da una lacuna normativa, ma da un motivato giudizio di merito, insindacabile in sede di legittimità.

Una persona in arresti domiciliari esecutivi ha automaticamente diritto a un permesso di uscita giornaliero come previsto per la detenzione domiciliare sostitutiva?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che si tratta di due istituti giuridici distinti, con finalità e regole diverse. Non è possibile applicare automaticamente le norme di uno all’altro; la richiesta deve essere valutata secondo le regole proprie della misura in esecuzione.

Per quale motivo è stata respinta la richiesta di permesso nel caso di specie?
La richiesta è stata respinta non per un divieto di legge, ma per una valutazione discrezionale del Magistrato di Sorveglianza. Questi ha ritenuto che il condannato fosse socialmente pericoloso, dati i suoi numerosi e gravi precedenti penali, e che non avesse dimostrato un’effettiva necessità di allontanarsi dal domicilio.

È incostituzionale prevedere trattamenti diversi per situazioni di detenzione domiciliare differenti?
La Corte non si è pronunciata su questo punto, giudicando la questione irrilevante per la decisione del caso. Il rigetto dell’istanza non è dipeso da una presunta disparità di trattamento normativa, ma dalla valutazione di merito sulla pericolosità del singolo individuo, un potere discrezionale che la legge attribuisce al giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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