Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 13841 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 13841 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 11/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME, nato a Roma il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 26/09/2023 del Tribunale di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 26 settembre 2023, il Tribunale di Roma ha rigettato l’appello proposto dall’interessato, sottoposto ad arresti domiciliari per reati in materia di stupefacenti, avverso l’ordinanza emessa dal GIP del medesimo Tribunale I’ll luglio 2023, con la quale era stata respinta l’istanza difensiva di autorizzazione allo svolgimento di attività lavorativa presso un ristorante dal lunedì al venerdì dalle ore 11:30 alle ore 15:30 e dalle ore 19:00 alle ore 22:30.
Avverso l’ordinanza, l’imputato, tramite difensore, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, con un unico motivo di doglianza, la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alla ritenuta incompatibilità dell’attività lavorativa di carrieriere e con la misura degli arresti domiciliari. Non s sarebbe considerato che il reato associativo contestato si era consumato nel luglio 2019, non avendo più l’interessato partecipato al sodalizio criminoso, né che lo stesso aveva svolto un’attività lavorativa, in parte al nero, fino all’arresto, seguito dell’ordinanza applicativa della misura cautelare del 27 marzo 2023. Si sostiene che manchino elementi da cui desumere che il fatto di incontrare i clienti in veste di cameriere costituisca una effettiva occasione di reiterazione del reato.
Si contesta, altresì, la motivazione dell’ordinanza nella parte in cui ritiene non provata la sussistenza di uno stato di assoluta indigenza, pure a fronte del fatto che l’indagato è oggi ospite di un soggetto estraneo al nucleo familiare, dalla cui disponibilità è ‘totalmente dipendente, e che vi è un reddito di cittadinanza percepito dalla madre, unica componente del nucleo familiare, peraltro non convivente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché formulato in modo non specifico. Nel caso di specie, il ricorrente non offre la compiuta rappresentazione di alcuna evidenza, di per sé dotata di univoca, oggettiva e immediata valenza esplicativa, tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da · ogni valutazione personale, il costrutto argomentativo della decisione impugnata. La prospettazione difensiva, inoltre, si esaurisce in mere valutazioni di ordine fattuale, dirette semplicemente ad ottenere un diverso apprezzamento di circostanze già adeguatamente considerate dal Tribunale.
Anche a prescindere da tali assorbenti considerazioni, deve rilevarsi come la motivazione del provvedimento sia pienamente logica e coerente, laddove – sulla premessa della genericità della prospettazione difensiva – evidenzia: a) l’incompatibilità della misura degli arresti domiciliari, con prescrizione del divieto di incontro con persone diverse dei familiari conviventi e con l’uso di braccialetto elettronico, rispetto ad un’attività lavorativa che comporterebbe l’incontro con un numero indeterminato di persone; b) la mancanza del presupposto dell’assoluta indigenza, confermata dalla stessa prospettazione difensiva che si riferisce alla percezione di reddito di cittadinanza da parte della madre del prevenuto; c) la vicinanza del ristorante presso il quale si chiede lo svolgimento dell’attività lavorativa alla piazza di spaccio oggetto del presente procedimento penale.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, equitativamente fissata in C 3000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
Così deciso il 11/01/2024.