Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 19455 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 19455 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 14/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nata a MESSINA il 03/12/1992
avverso l’ordinanza del 15/10/2024 del MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA di Messina udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 15 ottobre 2024 il magistrato di sorveglianza di Messina ha respinto l’istanza di autorizzazione ad allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari esecutivi dalle 8.00 alle 14.00 dal lunedì al venerdì, per svolgere attività lavorativa, presentata dalla condannata NOME COGNOME
Il magistrato d i sorveglianza ha respinto l’istanza, in quanto ha ritenuto che l’accoglimento della stessa fosse precluso dal regime giuridico cui la stessa è sottoposta, dall’epoca recente dei fatti di cui alla condanna, e dalla pendenza di altro procedimento.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto reclamo, riqualificato in ricorso per cassazione dal Tribunale di sorveglianza, la condannata, per il tramite del difensore, che, con unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari ai sensi de ll’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., deduce che la istanza avrebbe dovuto essere accolta perché la condannata ha bisogno di lavorare, trovandosi in situazioni di indigenza, e perché l’ordinanza non contiene alcuna indicazione circa esigenze di salvaguardia della collettività di rilevanza tali da giustificare il diniego; essa si pone,
inoltre, in antitesi rispetto ad altri provvedimenti con cui il magistrato di sorveglianza ha autorizzato la stessa ad allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari.
Con requisitoria scritta, il Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
È orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità che i provvedimenti del magistrato di sorveglianza in materia di esecuzione della detenzione domiciliare, come le autorizzazioni ad allontanarsi dal luogo di detenzione, siano, a certe condizioni, ricorribili in cassazione per violazione di legge, in diretta applicazione del disposto dell’art. 111, comma 7, Cost.
In particolare, mentre è stato ritenuto che non siano ricorribili i provvedimenti relativi ad autorizzazioni richieste per singole ed occasionali licenze (Sez. 1, n. 15684 del 13/12/2002, dep. 2003, COGNOME, Rv. 224016; Sez. 1, n. 108 del 30/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254166), questa Corte ha stabilito, invece, che «avverso i provvedimenti adottati dal magistrato di sorveglianza a seguito di richieste di modifica delle modalità di esecuzione della detenzione domiciliare (art. 47-ter, comma secondo, Ord. pen.), è esperibile il ricorso in cassazione per violazione di legge, trattandosi di provvedimenti che incidono sulla libertà personale» (Sez. 1, n. 52134 del 07/11/2019, Z., Rv. 277884; Sez. 1, n. 7503 del 17/01/2025, n.m.).
Nel caso in esame, il provvedimento impugnato è destinato ad incidere in modo significativo sulla libertà personale della ricorrente, dal momento che la stessa chiede di essere autorizzata a svolgere in modo continuativo un’attività lavorativa, che le permetterebbe di allontanarsi dall’abitazione, in cui è detenuta agli arresti domiciliari cosiddetti esecutivi, per cinque giorni alla settimana. In astratto deve ritenersi, pertanto, ammessa la possibilità di presentare ricorso per cassazione, e correttamente il Tribunale di sorveglianza ha qualificato come ‘ricorso’ il reclamo proposto.
Però, in concreto il ricorso in trattazione si rivela comunque inammissibile, perché propone motivi non consentiti dalla legge.
A fronte, infatti, di una motivazione del provvedimento impugnato che evidenzia, sia pure in modo sintetico, l’esistenza di una pericolosità della condannata (derivante dall’esser stato commesso in epoca recente il reato che è in espiazione e dalla pendenz a di un procedimento penale) che ha indotto a rigettare l’istanza, il ricorso deduce un argomento – la necessità per la condannata di lavorare per la situazione in indigenza in cui la stessa si troverebbe – che non è pertinente alla motivazione usata dal magistrato, e che quindi è inammissibile per difetto di specificità, ed un argomento sulla
contraddittorietà della motivazione, che è precluso in un ricorso ammesso per mera violazione di legge.
La stessa censura pure contenuta in ricorso, secondo cui l’ordinanza non conterrebbe la indicazione della importanza delle esigenze di salvaguardia della collettività che avrebbero giustificato il diniego, attiene alla congruità e sufficienza della motivazione sulla valutazione di pericolosità, e non è consentita in un ricorso ex art. 111, comma 7, Cost., in cui è censurabile, al più, solo la inesistenza o la apparenza della motivazione.
In definitiva, il ricorso è inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così è deciso, 14/05/2025
Il Consigliere estensore COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME