Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20845 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20845 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME NOME, nato ad Acquaviva delle Fonti il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del 11-09-2023 del Tribunale di Bari; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria di replica trasmessa dall’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia del ricorrente, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza dell’Il settembre 2023, il Tribunale del Riesame di Bari rigettava l’appello cautelare proposto nell’interesse di NOME COGNOME, sottoposto alla misura degli arresti domiciliari in relazione al reato ex art. 74 de d.P.R. n. 309 del 1990 e a vari reati-fine, avverso l’ordinanza del Tribunale di Bari del 19 maggio 2023, con la quale era stata disattesa la richiesta finalizzata a far ottenere all’imputato l’autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio coatto per svolgere l’attività di coltivatore diretto presso la propria azienda, dal lunedì sabato dalle ore 7 alle ore 13 e, di pomeriggio, dalle ore 14 alle ore 16.
Avverso l’ordinanza del Tribunale pugliese, NOME, tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
Con il primo, la difesa deduce la violazione degli art. 284 cod. proc. pen. e 24 Cost., nonché il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, nella misura in cui non è stata riconosciuta la condizione di assoluta indigenza in cui versa il ricorrente, non avendo i giudici cautelari considerato che la mera titolarità di possedimenti immobiliari non è incompatibile con lo stato di indigenza, ove tali beni non producono frutti giuridici, ma costituiscono solo fonte di spese, come nel caso di specie, posto che i terreni di cui COGNOME risulta titolare sono strumentali all’esercizio dell’attività economica dallo stesso condotta, che è in fase di stallo dal giorno dell’arresto, per cui si è in presenza di depauperamento dei terreni, anziché di una loro valorizzazione economica.
Con il secondo motivo, oggetto di doglianza è il difetto di motivazione del provvedimento impugnato rispetto alle obiezioni difensive, con cui era stata rimarcata la molteplicità degli elementi idonei a scongiurare la sussistenza delle esigenze cautelari richieste ai fini della concessione del beneficio, essendosi il Tribunale limitato a profondersi in apodittici giudizi di valore circa la compatibili dell’attività lavorativa indicata con le esigenze di salvaguardia della collettivit ma senza illustrare le ragioni per cui sono state disattese le istanze difensive.
2.1. Con memoria trasmessa il 20 dicembre 2023, il difensore dell’indagato, nel replicare alla requisitoria scritta del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, ha insistito nell’accoglimento del ricorso, ribadendone le argomentazioni rispetto a entrambi i motivi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Premesso che i due motivi di ricorso sono suscettibili di trattazione unitaria, perché tra loro sostanzialmente sovrapponibili, occorre rilevare che l’ordinanza impugnata non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede.
Ed invero, rispetto all’unico tema devoluto, ossia la mancata autorizzazione a svolgere attività lavorativa all’imputato detenuto in regime di arresti domiciliari, il Tribunale del Riesame ha innanzitutto osservato come non sia stata documentata alcuna situazione idonea a provare lo stato di bisogno di NOME, del quale non è stata fornita l’attestazione Isee relativa alla situazione economica complessiva, riferita non solo ai redditi, ma anche alle possidenze immobiliari.
A tal proposito, i giudici cautelari hanno peraltro rimarcato che l’affermazione difensiva circa la proprietà da parte del ricorrente di un terreno donatogli dalla famiglia risultava in aperto contrasto con l’asserita condizione di indigenza di NOME, essendosi a ciò aggiunto, da un lato, che l’attività imprenditoriale dell’imputato (azienda agricola) è ampiamente delegabile, e dall’altro lato che le modalità dell’attività lavorativa da autorizzare (dal lunedì al sabato dalle ore 7 alle ore 13 e, di pomeriggio, dalle ore 14 alle ore 16) erano tali da vanificare l’esigenza di assicurare i necessari controlli e da neutralizzare sostanzialmente il pericolo di recidiva del richiedente, gravemente indiziato di essere partecipe di un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, da cui verosimilmente peraltro egli aveva potuto trarre notevoli redditi non dichiarati.
Orbene, in presenza di un apparato argomentativo non illogico, non vi è spazio per l’accoglimento delle obiezioni difensive, che, rispetto alla mancata prova della condizione di effettiva indigenza del detenuto, propongono differenti apprezzamenti di merito non consentiti in sede di legittimità, mentre il ricorso non si confronta adeguatamente con altri due aspetti in sé comunque dirimenti valorizzati nell’ordinanza impugnata, ossia l’eccessiva dilatazione dei tempi dell’attività lavorativa e la delegabilità ad altri soggetti delle mansioni richie dall’attività agricola da svolgere, risultando in tal senso la valutazione compiuta dal Tribunale del Riesame (e dal G.I.P. prima) coerente con l’affermazione costante di questa Corte (cfr. Sez. 5, n. 27971 del 01/07/2020, Rv. 279532), secondo cui, in tema di autorizzazione ad assentarsi dal luogo degli arresti domiciliari, la valutazione in ordine alle “indispensabili esigenze di vita” deve essere improntata, stante l’eccezionalità della previsione di cui all’art. 284, comma 3, cod. proc. pen., a criteri di particolare rigore, potendo risultare positiva solo in presenza di situazioni obiettivamente riscontrabili che impediscano al soggetto ristretto di poter far fronte in altro modo all’esigenza di vita rappresentata, dovendosi altresì tenere conto della compatibilità dell’attività lavorativa proposta rispetto alle esigenze cautelari poste a base della misura coercitiva (cfr. Sez. 2, n. 9004 del 17/02/2015, Rv. 263237).
Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell’interesse di NOME deve essere pertanto rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 17/01/2024