Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 25806 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 25806 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 16/11/2023 del TRIB. LIBERTA di TRIESTE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letternent-ite le conclusioni del PG NOME COGNOME NOME NOME COGNOME U ( Je. NOME ;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale del riesame di Trieste ha confermato l’ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trieste disponeva la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME, in quanto ritenuto gravemente indiziato del reato di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina di quattro cittadini di nazionalità russa (sottoposti a controllo, la notte del 24 ottobre 2023, presso il valico di Rabuiese, a bordo dell’autovettura condotta dal suddetto).
Avverso detta ordinanza propone ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, NOME COGNOME, deducendo violazione della decisione quadro 2009/829/GAI riguardante il reciproco riconoscimento tra Stati membri della Unione Europea delle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare, attuata con decreto legislativo 15 febbraio 2016, n.36, dell’art 4 di detto decreto, dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., degli artt. 3, 11, 117, comma 1, Cost., dell’art. 14 Cedu, nonché vizio di motivazione, per avere il Tribunale del riesame applicato la custodia cautelare in carcere, piuttosto che gli arresti domiciliari presso l’abitazione della madre del ricorrente in Francia, ove il suddetto risulta avere la residenza.
Invero, la difesa, dopo avere evidenziato che la stessa ordinanza di riesame dà atto del contrasto della giurisprudenza di legittimità sulla possibilità di eseguire gl arresti domiciliari all’estero, lamenta l’adesione alla tesi secondo cui la misura di cui all’art. 284 cod. proc. pen. non rientri nel novero delle misure contemplate dall’art. 4 del d. Igs. 15 febbraio 2016, n. 36, in quanto misura detentiva assimilabile alla custodia cautelare in carcere.
Rileva che la decisione quadro non individua le misure alle quali fa riferimento in base al loro nomen iuris, bensì fornisce una descrizione delle stesse, e che la misura degli arresti domiciliari, imponendo l’obbligo di rimanere in un luogo determinato, rientra tra le ipotesi di cui all’art. 4, lett. c) del predetto decreto legislativo, ess pertanto eseguibile all’estero.
Lamenta, quindi, l’erroneità dell’ordinanza impugnata, che pure avendo ritenuto adeguata alle esigenze cautelari la custodia domiciliare, non l’ha disposta in quanto da eseguire all’estero.
La difesa chiede, infine, di sollevare, in via pregiudiziale, questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 36, in relazione al disposto degli artt. 3, 11 e 117, comma 1, Cost., determinando la non inclusione della misura
degli arresti domiciliari fra le misure alternative alla “detenzione cautelare”, cui si applicano le disposizioni di detto decreto, un contrasto tra dette norme con la ratio della decisione quadro in senso discriminatorio fra soggetti residenti nell’Unione Europea per la sola ragione di non disporre di un domicilio in Italia.
Disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi dell’art. 23 del d. I. n. 137 del 2020, il AVV_NOTAIO generale presso questa Corte, AVV_NOTAIO, conclude, con requisitoria scritta, per il rigetto del ricorso; il difensor dell’indagato, AVV_NOTAIO, chiede in via preliminare di sollevare questione di legittimità costituzionale ed eventualmente rimettere il processo alle Sezioni Unite, e, comunque, di annullare l’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato.
Invero, l’ordinanza impugnata muove dalla considerazione che per il titolo di reato – ex art. 1’Z i comma 4-bis, d. Igs. 25 luglio 1998, n. 286, all’esito della dichiarazione di illegittimità costituzionale con sentenza Corte Cost. n. 331 del 2011 – sussiste una doppia presunzione (relativa) circa le esigenze cautelari e l’adeguatezza della custodia cautelare; e rileva che, nel caso concreto, non emerge alcun elemento idoneo a far ritenere la possibilità di scongiurare il pericolo di recidiva con misure meno afflittive della custodia cautelare in carcere, anche considerato che lo stesso indagato ammetteva all’udienza di convalida dell’arresto che, dopo un primo respingimento al confine croato-sloveno dei migranti, aveva individuato un diverso valico attraverso il quale giungere a quello di Rabuiese, dove era stato fermato dalle forze dell’ordine.
I Giudici del riesame ritengono, inoltre, di non poter accogliere la richiesta di applicazione della misura degli arresti domiciliari, non disponendo l’indagato di luogo nel quale svolgere la misura sul territorio nazionale, sottolineando come con riguardo all’inapplicabilità della misura degli arresti domiciliari in Francia, luogo di residenza di NOME COGNOME, già si siano espressi, propendendo per la tesi più rigorosa.
Le censure difensive, di cui al ricorso in esame, che insistono sull’adeguatezza degli arresti domiciliari e sulla loro eseguibilità in altro Stato dell’Unione Europea, quale la Francia, e sulla illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 d.lgs. 15 febbrai 2016, n. 36, sono infondate.
In primo luogo, si osserva che l’ordinanza di riesame, lungi dal ritenere, come sostenuto in ricorso, adeguata alle esigenze cautelari del caso concreto la misura degli arresti domiciliari, sottolinea come non siano emersi elementi in grado di superare la presunzione ex lege.
Si ritiene, inoltre, assolutamente condivisibile l’orientamento giurisprudenziale più recente, nel quale ha trovato composizione la mancanza di univocità della pregressa giurisprudenza di legittimità, secondo cui la misura cautelare degli arresti domiciliari non rientra nell’ambito applicativo del d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 36, recante disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio, del 23 ottobre 2009, in quanto tale decreto legislativo si riferisce esclusivamente alle misure cautelari non detentive (Sez. 6, n. 2764 del 19/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285709: in motivazione, la Corte ha sottolineato che la diversa interpretazione determina un’indebita sovrapposizione con la disciplina regolativa della procedura attiva di consegna mediante mandato di arresto europeo, che trova applicazione, ai sensi dell’art. 28 legge 22 aprile 2005, n. 69, quando la misura da eseguire sia quella degli arresti donniciliari).
Detta pronuncia, invero, dopo avere ricostruito le opposte tesi – quella secondo la quale gli arresti domiciliari possono trovare esecuzione nello Stato membro dell’Unione europea di residenza dell’interessato, rientrando nell’ambito di applicazione della decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio, del 23 ottobre 2009, sull’applicazione tra gli Stati membri dell’Unione europea del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni sulle “misure alternative alla detenzione cautelare”, e del d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 36, recante disposizioni per conformare il diritto interno a tale decisione, e ciò sulla base di un’interpretazione estensiva dell’espressione “detenzione cautelare” utilizzata da detta decisione quadro (Sez.4, n. 37739 del 15/9/2021, COGNOME, Rv. 281950; Sez.1, n. 8864 del 3/2/2022, Pocev, Rv. 282756); quella secondo cui, invece, la misura cautelare degli arresti domiciliari non rientra nell’ambito applicativo del decreto legislativo in ultimo menzionato, riferendosi lo stesso esclusivamente a misure cautelari non detentive (Sez.3, n. 26010 del 29/4/2021, Syski, Rv. 281937) – argomenta a favore della tesi adottata dalla pronuncia in ultimo menzionata, ritenendola preferibile per una pluralità di ragioni desumibili sia dall’assetto codicistico (equiparando l’art. 284, comma 5, cod. proc. pen. gli arresti domiciliari alla custodia in carcere, al pari dell’art. 385, comma terzo, cod. pen., che prevede un’identica disciplina sanzionatoria in caso di evasione), che dal coordinamento tra il d.lgs. n. 36 del 2016 con la disciplina in tema di mandato di arresto europeo.
Osserva che, in mancanza di una previsione normativa che preveda espressamente l’applicazione di detto decreto legislativo anche alla misura degli arresti domiciliari, deve ritenersi prevalente l’equiparazione tra tale misura e la custodia in carcere stabilita in via generale dal codice di rito; e che in tal senso depone anche l’interpretazione letterale e sistematica della previsione contenuta alli art. 4, lett. c), del d.lgs. n. 36 del 2016, in cui si fa riferimento alle misure alternative al detenzione comportanti l’obbligo di rimanere in un luogo determinato, eventualmente in ore stabilite.
Rileva che: – tale norma appare pienamente compatibile con altra misura cautelare e, precisamente, con l’obbligo di dimora, rispetto al quale può essere previsto anche l’obbligo aggiuntivo di non allontanarsi dall’abitazione in determinate ore del giorno; – la previsione sopra richiamata è perfettamente collimante con la disciplina dell’obbligo di dimora dettata dall’art. 283 cod. proc. pen., piuttosto che con quella prevista in riferimento agli arresti donniciliari dall’art. 284 cod. proc. pen. (che non contempla l’obbligo di permanere in un “luogo determinato”, bensì impone la permanenza nell’abitazione, termine con il quale si fa riferimento ad una nozione ben più ristretta e delimitata rispetto a quella di “luogo determinato”, solitamente coincidente con l’ambito del territorio comunale); – così come il codice di rito distingue l’obbligo di dimora dagli arresti donniciliari, prevedendo per il primo l’obbligo di permanenza in un ambito territoriale esteso, analoga nozione è stata recepita anche nel d.lgs. n. 36 del 2016, lì dove non menziona l’obbligo di permanenza nell’abitazione, bensì in un “luogo determinato”, in tal modo utilizzando una nozione perfettamente riconducibile alla previsione di cui all’art. 283 cod. proc. pen., piuttosto che a quella disciplinante gli arresti domiciliari; – peraltro, anche a voler valorizzare una interpretazione sistematica della normativa, appare evidente che la misura degli arresti domiciliari risulterebbe eccentrica rispetto alle restanti misure cautelari sicuramente contemplate nella decisione quadro e nel d.lgs. n. 36 del 2016 (tutte omogenee tra di loro, riguardando: a) obbligo di comunicare ogni cambiamento di residenza, in particolare al fine di assicurare la ricezione della citazione a comparire a un’audizione o in giudizio nel corso del procedimento penale; b) divieto di frequentare determinati luoghi, posti o zone del territorio dello Stato di emissione o dello Stato di esecuzione; c) obbligo di rimanere in un luogo determinato, eventualmente in ore stabilite; d) restrizioni del diritto di lasciare il territorio d Stato; e) obbligo di presentarsi nelle ore fissate alla autorità indicata nel provvedimento impositivo; f) obbligo di evitare contatti con determinate persone che possono essere a qualunque titolo coinvolte nel reato per il quale si procede; g) divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali); – dette misure Corte di Cassazione – copia non ufficiale
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cautelari si connotano tutte per imporre limitazioni alla libertà personale, ma non certo la privazione della stessa che, invece, costituisce il fondamento della misura degli arresti domiciliari ed è la ragione di fondo per cui tale misura viene equiparata alla custodia cautelare in carcere.
Evidenzia, infine, la pronuncia in esame, in modo assolutamente condivisibile, che l’ultimo argomento di ordine sistematico deponente a favore della tesi secondo cui gli arresti domiciliari non rientrano tra le misure eseguibili all’estero deve essere desunto dal complessivo assetto della disciplina della restrizione delle libertà personali in ambito comunitario, per come prevista nella normativa sul mandato di arresto europeo e in particolare dalla I. 22 aprile 2005, n. 69 (secondo cui i rapporti di consegna, attivi e passivi, tra autorità giudiziarie europee si attuano mediante il ricorso al mandato di arresto europeo e, nel caso di procedura attiva di consegna richiesta dall’autorità italiana, si applica il mandato di arresto europeo non solo nel caso in cui il giudice italiano abbia disposto la custodia in carcere, ma anche qualora la misura da eseguire sia quella degli arresti domiciliari).
Rileva che: – ritenere che il d.lgs. n. 36 del 2016 si applichi anche agli arresti domiciliari determinerebbe una palese incongruenza ed una sovrapposizione con la disciplina in tema di procedura attiva di consegna mediante mandato di arresto europeo (infatti, se all’esito dell’applicazione della misura degli arresti domiciliari nei confronti di un cittadino di uno Stato europeo residente all’estero fosse consentita l’esecuzione della misura nello Stato di residenza, non avrebbe ragione d’essere l’espressa previsione, per tale ipotesi, della procedura attiva di consegna); – in buona sostanza, la normativa in tema di mandato di arresto e quella sul riconoscimento delle ordinanze in materia cautelare richiedono necessariamente un coordinamento, per evitare indebite sovrapposizioni, che può essere raggiunto esclusivamente ritenendo che il mandato di arresto si applichi nei casi in cui il destinatario della misura della custodia cautelare o degli arresti domiciliari risieda all’estero e, per essere sottoposto alla misura, se ne renda necessaria la consegna allo Stato di emissione del provvedimento restrittivo; – per tutte le restanti misure cautelari contemplate dal d.lgs. n. 36 del 2016, invece, l’esecuzione non richiede la consegna allo Stato di emissione della misura, potendo procedersi all’esecuzione all’estero.
La sentenza della Sesta sezione di questa Corte conclude col ritenere, a fronte degli argomenti logico-sistematici dalla stessa indicati, recessiva l’obiezione posta a fondamento dell’orientamento contrario.
Evidenzia, a tale riguardo, che i sostenitori della tesi secondo cui anche la misura degli arresti domiciliari sarebbe eseguibile all’estero fondano tale assunto sul ritenuto rischio di disparità di trattamento, tra cittadini italiani e di altri S tati europei, nel
in cui a questi ultimi potrebbero essere negati gli arresti domiciliari in considerazione dell’indisponibilità di un’abitazione. E osserva – affrontando, quindi, anche la questione di legittimità costituzionale riproposta in questa sede – che si tratta, invero, di un’eventualità che non dipende da una carenza normativa, bensì da specifiche condizioni di fatto che, a ben vedere, possono configurarsi anche nei confronti del cittadino italiano; che l’indisponibilità di un luogo idoneo ove rimanere in regime di arresti donniciliari è un fattore ostativo che vale per chiunque, a prescindere dalla sua nazionalità e residenza; e, infine, che, a fronte della difficoltà pratica di reperire un alloggio, tuttavia, il rimedio non può essere individuato nell’estensione di un istituto (la sottoposizione all’estero di misure non detentive) dettato con riguardo a misure cautelari diverse dagli arresti domiciliari, omettendo di considerare come per le misure restrittive della libertà personale l’ordinamento preveda espressamente il ricorso alla disciplina del mandato di arresto europeo.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Non derivando dalla presente decisione la rimessione in libertà del ricorrente deve disporsi – ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’imputato trovasi ristretto, perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato articolo 94.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 15 marzo 2024.