Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 24115 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 24115 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a MILETO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/01/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio del provvedimento impugNOME, limitatamente alla riqualificazione del fatto-reato, e la declaratoria di inammissibilità del ricorso nel resto.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 25 gennaio 2023 la Corte di appello di Catanzaro ha condanNOME NOME COGNOME per i reati di cui agli artt. 3 legge n. 110/1975, 23, comma 3, legge n. 110/1975, 2 e 7 legge n. 895/1967 commessi il 05/12/2020, avendo alterato una carabina giocattolo ad aria compressa, rendendola idonea allo sparo, e avendo detenuto illegalmente la predetta arma da sparo, di natura clandestina, ed altre parti di armi comuni da sparo, oggetti tutti rinvenuti a seguito di perquisizione.
Il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Vibo Valentia aveva ritenuto il COGNOME responsabile di detti reati, stante l’evidenza ‘della detenzione delle varie armi e parti di esse, e la inattendibilità delle sue giustificazioni. L Corte di appello ha respinto le tesi difensive, ribadendo che il fucile giocattolo era stato alterato rendendolo capace di sparare, come accertato dal RIS di Messina, trasformandolo così in un’arma da sparo clandestina, e che la natura degli altri oggetti sequestrati era stata ugualmente accertata con perizia, nonché ammessa dallo stesso imputato. Ha confermato, infine, il trattamento sanzioNOMErio e la esclusione della concedibilità delle attenuanti generiche.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo dei suoi difensori AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce la inosservanza della legge e la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod.proc.pen.
La sentenza ha qualificato la condotta contestata al capo A), relativa alla alterazione di una carabina ad aria compressa per renderla idonea allo sparo, come violazione dell’art. 3 legge n. 110/1975, ma la corte di cassazione ha ritenuto che tale reato sussista quando viene alterata un’arma già qualificabile come “da fuoco”, e non se viene alterato, come nel presente caso, un oggetto che non ha quale sua destinazione naturale lo sparo e l’offesa alla persona, rendendolo idoneo a tale fine.
2.2. Con il secondo motivo deduce la errata applicazione della legge penale in relazione agli artt. 2 e 7 legge n. 895/1967, con violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod.proc.pen.
Il D.M. n. 362/2001, all’art. 11, indica che le parti di arma di cui all’art. non si considerano parti di arma comune da sparo, per cui il reato contestato al capo C) è insussistente.
2.3. Con il terzo motivo deduce la inosservanza della legge e il vizio di motivazione in relazione all’art. 62-bis cod.pen., con violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod.proc.pen.
La Corte di appello ha negato le attenuanti generiche solo motivando l’assenza di elementi valutabili positivamente e la gravità dei fatti contestati, senza dare conto, quindi, delle ragioni e dei criteri utilizzati per tale decisione
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto l’accoglimento del primo motivo di ricorso, con annullamento del provvedimento impugNOME e rinvio per un nuovo giudizio in ordine alla esatta qualificazione del fatto-reato, e la declaratoria di inammissibilità degli ulteriori motivi.
AVV_NOTAIO ha depositato conclusioni scritte, con le quali si riporta ai motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non è accoglibile con riferimento ad alcuno dei suoi motivi.
Il primo motivo di ricorso lamenta la erronea qualificazione del reato contestato al capo A) come violazione dell’art. 3, legge n. 110/1975, operata dal giudice di primo grado e confermata dal giudice di appello. COGNOME La censura è fondata, ma non comporta l’annullamento della sentenza, sul punto, come richiesto dal ricorrente.
Questa Corte ha affermato che «Il reato di alterazione dell’arma, previsto dall’art. 3 della legge n. 110 del 1975, è configurabile quando la modificazione sia eseguita su uno strumento già qualificabile come “arma da fuoco” e sia volta ad incrementarne l’offensività o ad agevolarne l’uso, il porto o l’occultamento, ma non quando l’intervento venga compiuto su un oggetto la cui destinazione naturale non sia lo sparo e l’offesa alla persona, e lo stesso, per effetto delle modifiche, sia reso idoneo a tale fine» (Sez. 1, n. 18137 del 07/03/2014, Rv. 262268). Nel caso di specie, l’arma modificata è stata descritta come un «fucile giocattolo ad aria compressa … in origine cal. 7 mm. (gommini di plastica molle)», trasformata in arma da sparo per munizioni cal. 8 mm Magnum. Risulta quindi corretta l’affermazione secondo cui l’arma non era originariamente “da sparo”. La condotta del ricorrente, consistita, secondo quanto ritenuto accertato dalle due sentenze di merito, nell’avere trasformato l’arma giocattolo nel modo indicato, non costituisce, quindi, il reato di cui all’art. 3 legge n 110/1975.
2.1. La sua condotta era stata originariamente contestata come violazione dell’art. 23, comma 2, legge n. 110/1975, e tale qualificazione risulta corretta. Secondo i principi di questa Corte, infatti, ove l’alterazione si sostanzi nella trasformazione di un’arma-giocattolo in arma da sparo si configura il reato di cui all’art. 23, comma 2, legge n. 110/1975 perché ogni arma da fuoco, per la legislazione nazionale, è incompatibile con la clandestinità (Sez. F. n. 31873 del 09/08/2011, Rv. 250896, in motivazione; Sez. 1, n. 2637 del 03/03/1986, Rv. 175247; Sez. 1, n. 16887 del 21/12/2017, dep. 2018, n.m.)
Nel caso di specie la sentenza impugnata precisa che l’arma è risultata funzionante nelle prove di armamento nonché priva di contrassegno, condizioni che ne consentono la qualificazione come arma da sparo clandestina. Il reato di cui al capo A) deve, pertanto, essere riqualificato in quello di cui all’art. 23 comma 2, legge n. 110/1975, come originariamente contestato.
Tale riqualificazione può essere disposta d’ufficio, dal giudice di legittimità, perché «La Corte di cassazione, al pari dei giudici di merito, dispone del potere di assegnare ex officio una qualificazione giuridica più grave al fatto accertato, in quanto si tratta di un intervento che, non incidendo sulla quantificazione della pena, non è mai inquadrabile come reformatio in peius, vietata ai sensi dell’art. 597 cod. proc. pen., sempre che la modifica non implichi la rivalutazione delle prove – che imporrebbe l’annullamento con rinvio al giudice di merito – e che sia garantito, in coerenza con la giurisprudenza convenzionale, il contraddittorio sulla nuova ed eventuale definizione giuridica – comunicando alle parti il diverso inquadramento prospettabile con concessione di un termine a difesa» (Sez. 2, n. 15585 del 23/02/2021, Rv. 281118; Sez. 4, n. 18793 del 28/03/2019, Rv. 275762). Deriva, infatti, dalla sentenza 11 dicembre 2007, Drassich contro Italia, la regola di sistema espressa dalla Corte EDU, secondo cui la garanzia del contraddittorio deve essere assicurata all’imputato anche in ordine alla diversa qualificazione giuridica del fatto operata da giudice ex officio.
Nel presente caso, peraltro, la riqualificazione non costituisce un atto a sorpresa, né vi è mai stata limitazione del diritto al contraddittorio, dal momento che la corretta qualificazione, ripristinata con la presente sentenza, era oggetto dell’originaria contestazione, e l’imputato ha potuto interloquire su di essa, dal momento che, come risulta dalla sentenza di primo grado, la diversa qualificazione fu proposta in udienza dal pubblico ministero, e fu pertanto oggetto di esame e valutazione nel pieno del contraddittorio. L’erroneità della diversa qualificazione giuridica del fatto, operata dai giudici di merito, è stata peraltro rilevata dallo stesso ricorrente, che era pertanto consapevole della possibilità di una sua correzione.
Deve, perciò, applicarsi il principio secondo cui «In tema di correlazione tra accusa e sentenza, la diversa qualificazione giuridica del fatto effettuata in sentenza dalla Corte di cassazione senza preventivamente renderne edotte le parti non determina alcuna compressione o limitazione del diritto al contraddittorio, in conformità dell’art. 111, comma 2, Cost. e dell’art. 6 CEDU, secondo l’interpretazione della giurisprudenza della Corte EDU nella sentenza 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia, ove non avvenga a sorpresa, allorché l’imputato e il suo difensore siano stati posti in condizione sin dall’inizio del processo di interloquire sulla questione, ed il fatto storico non sia radicalmente trasformato nei suoi elementi essenziali rispetto all’originaria imputazione» (Sez. 5, n. 27905 del 03/05/2021, Rv. 281817)
2.2. La diversa qualificazione, peraltro, non può comportare un diverso calcolo della pena, benché questa sia stata irrogata sulla base dei più modesti limiti edittali dell’art. 3 legge n. 110/1975, perché, in presenza di un’impugnazione del solo imputato, l’aumento della sanzione costituirebbe una inammissibile reformatio in peius (vedi Sez. 3, n. 30286 del 09/03/2022, Rv. 283650).
Il primo motivo di ricorso, pertanto, pur essendo fondato nell’affermazione della erroneità della qualificazione del fatto, non può essere accolto quanto alla richiesta di annullamento della sentenza, perché la rilevanza penale della condotta contestata al capo A) non deve essere esclusa, bensì solo qualificata diversamente, come violazione dell’art. 23, comma 2, legge n. 110/1975, così come originariamente contestato. La pena irrogata per questo reato, perciò, non deve essere eliminata, e non può essere modificata, benché inferiore ai limiti edittali stabiliti dalla norma correttamente applicata, stante il divieto di reformatio in peius.
3. Il secondo motivo è inammissibile perché del tutto generico.
Il ricorrente afferma che gli oggetti rinvenuti e sequestrati, la cui illecita detenzione è contestata al capo C), non costituirebbero parti di arma comune da sparo sulla base della consulenza di parte redatta dai dottori COGNOME e COGNOME, ma non allega tale documento, e neppure indica, in modo dettagliato, a quali oggetti si riferisca. La sentenza impugnata, invece, ha respinto il motivo di appello sul punto affermando che la natura di tali oggetti come «parti di armi comuni da sparo» emerge dalla relazione tecnica balistica del RIS di Messina ed è stata ammessa dallo stesso imputato, che avrebbe dichiarato la loro provenienza da armi da lui stesso smontate anni prima.
Il ricorso, pertanto, non si confronta con la motivazione del provvedimento impugNOME, non contestando neppure la fondatezza della relazione tecnica citata,
e non rispetta il principio di autosufficienza, avendo omesso di allegare il documento sul quale basa la propria affermazione difensiva. Esso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Infatti «È inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il vizio di manifesta illogicità della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze» (Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Rv. 256723; Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Rv. 270071)
4. Il terzo motivo di ricorso è infondato e deve essere respinto.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata che, analogamente a quella di primo grado, ha negato la concessione delle attenuanti generiche per la gravità dei fatti e l’assenza di elementi valutabili positivamente, lamentando la genericità della motivazione, che non consentirebbe di comprendere l’iter argomentativo seguito.
Questa Corte ha stabilito che «In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione.» (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269). La sentenza impugnata, sia pure con una motivazione succinta, ha applicato i criteri di cui all’art. 133 cod.pen., avendo tenuto conto della gravità del reato, ed in particolare della natura e delle modalità dei reati, tali da suscitare grave pericolo e «rilevante allarme sociale», e della personalità del ricorrente, soggetto che, secondo quanto riferito dal giudice di primo grado, è gravato da precedenti condanne, e non ha evidenziato «elementi positivamente valutabili». Il ricorrente, inoltre, non ha lamentato l’erroneità di quest’ultima affermazione, ed ha omesso di indicare aspetti positivi, inerenti la propria personalità o il proprio stile di vita, che non sarebbero stati adeguatamente valutati dai giudici di merito.
La sentenza impugnata, pertanto, ha applicato correttamente il principio sopra indicato, fornendo una motivazione sufficiente, che il ricorso non contrasta in modo specifico; non sussistono, pertanto, ragioni per il suo annullamento.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere respinto, e il ricorrente deve essere condanNOME al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Riqualificato il reato di cui al capo A) quale violazione dell’art. 23, comma 2, legge n. 110 del 1975, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 03 aprile 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente