Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18698 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18698 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BARLETTA il 29/06/1956
avverso la sentenza del 19/02/2024 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Con sentenza resa in data 19.2.2024, la Corte d’Appello di Bari, in parziale riforma della sentenza di condanna di COGNOME emessa dal g.u.p. del Tribunale di Trani in data 4.2.2022, ha dichiarato non doversi procedere per il reato sub c) di ricettazione della pistola provento di furto e ha rideterminato in anni uno e mesi otto di reclusione la pena inflitta all’imputato per i restanti reati.
Avverso la predetta sentenza, il difensore dell’imputato ha proposto ricorso, articolandolo in quattro motivi.
2.1 I primi due motivi, entrambi riguardanti la qualificazione della pistola a tamburo, sono manifestamente infondati.
Alla luce della testuale motivazione della sentenza, non è affatto in dubbio, come ipotizza il ricorso, la natura di “arma clandestina” della pistola in questione: quando la Corte d’Appello richiama gli accertamenti tecnici svolti sull’arma, lo fa per rispondere al motivo d’appello che definiva la pistola non funzionante e per evidenziare che invece le prove espletate avevano consentito di accertarne il “regolare funzionamento”.
La definizione della pistola, nell’ambito di quello specifico ragionamento, come “arma comune da sparo”, dunque, serve a significare che si trattava di pistola efficiente (da cui la sua natura di arma) e non è alternativa alla definizione di essa quale “arma clandestina”, come reso evidente dalla lettera dall’art. 23, n. 1), L. n. 110 del 1975 secondo cui sono considerate clandestine “le armi comuni da sparo non catalogate”.
2.2 Quanto al terzo motivo, la motivazione della Corte d’Appello, confermando il diniego delle circostanze attenuanti generiche della sentenza di primo grado, ha aggiunto la considerazione della irrilevanza, ai fini del trattamento sanzionatorio, della circostanza della presunta collaborazione di COGNOME in sede di perquisizione, per rispondere allo specifico motivo di appello dell’imputato sul punto.
I giudici di secondo grado hanno altresì preso in considerazione anche l’altro aspetto segnalato nel motivo di ricorso, e cioè che il difensore dell’imputato avesse solo nel corso dell’udienza depositato il provvedimento con cui era stata revocata una precedente sentenza di applicazione di pena ex art. 444 cod. proc. pen. nei confronti di COGNOME in ordine al reato di cui all’art. 46 L. n. 298 del 19745per abolitio criminis.
Il ricorso lamenta che fosse stato prodotto anche un provvedimento con cui era stata dichiarata l’estinzione, ex art. 445, comma 2, cod. proc. pen., di reati per i quali era stata applicata all’imputato la pena concordata di anni uno di reclusione e lire 600.000 di multa.
Tuttavia, si tratta di una doglianza priva di rilievo, atteso che, ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche, la sentenza di applicazione della
pena, in quanto equiparata a sentenza di condanna, è valutabile anche nell’ipotesi in cui sia già intervenuta, ai sensi dell’art. 445, secondo comma, cod. proc. pen.,
l’estinzione del reato cui essa si riferisce (Sez. 3, n. 23952 del 30/4/2015,
Rv. 263850 – 01).
2.4 Anche il quarto motivo, infine, è manifestamente infondato.
Almeno una delle due precedenti sospensioni condizionali della pena riguarda un reato dichiarato estinto ai sensi dell’art. 445 cod. proc. pen., e, dunque, se ne
deve comunque tenere conto.
Ai fini del diniego della sospensione condizionale della pena, infatti, la sentenza di applicazione della pena, in quanto equiparata a sentenza di condanna,
costituisce un precedente penale, valutabile anche nell’ipotesi in cui sia già
intervenuta, ai sensi dell’art. 445, comma 2, cod. proc. pen., l’estinzione del reato cui essa si riferisce (Sez. 3, n. 43095 del 12/10/2021, Rv. 282377 – 01).
Giacché la pena relativa al reato dichiarato estinto ai sensi dell’art. 445 cod.
proc pen. era pari ad un anno di reclusione e quella irrogata con la sentenza impugnata è pari ad un anno e otto mesi di reclusione, i limiti entro i quali, ai sensi degli artt. 163 e ss. cod. pen., può essere concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena risultano ampiamente superati.
Per quanto fin qui osservato, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 30.1.2025