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Arma clandestina: quando il porto non si prescrive

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per il porto di un’arma clandestina (una penna-pistola). La Corte ha stabilito che la prescrizione del reato di detenzione non si estende automaticamente a quello di porto, in quanto si tratta di condotte distinte. Inoltre, ha ribadito che la contestazione sulla funzionalità dell’arma deve essere specifica e non generica per essere considerata ammissibile.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Arma Clandestina: La Cassazione chiarisce la differenza tra porto e detenzione

Introduzione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso relativo al possesso di un’arma clandestina, offrendo importanti chiarimenti sulla distinzione tra i reati di detenzione e porto illegale, e le loro conseguenze in termini di prescrizione. La decisione sottolinea come queste due condotte, sebbene collegate, mantengano una propria autonomia giuridica, con implicazioni significative per la difesa dell’imputato.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dal controllo di un individuo, trovato in possesso di una ‘penna-pistola’ calibro 22, sprovvista di matricola e quindi qualificata come arma clandestina. In primo grado, l’imputato era stato condannato per i reati di detenzione e porto sia di arma comune da sparo sia di arma clandestina.

La Corte d’Appello, in riforma della prima sentenza, aveva correttamente applicato il principio di specialità, ‘assorbendo’ i reati relativi all’arma comune in quelli, più gravi, relativi all’arma clandestina. Successivamente, i giudici di secondo grado avevano dichiarato estinto per intervenuta prescrizione il reato di detenzione dell’arma clandestina, ma avevano confermato la responsabilità per il reato di porto della stessa.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali:
1. Violazione di legge sulla funzionalità dell’arma: Si sosteneva che la reale capacità offensiva dell’arma non fosse stata accertata tramite una perizia tecnica, essendo stata trovata priva di munizioni.
2. Errata applicazione della legge sull’assorbimento e prescrizione: Secondo la difesa, anche il reato di porto di arma clandestina avrebbe dovuto essere considerato assorbito in quello di detenzione e, di conseguenza, dichiarato anch’esso prescritto.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le argomentazioni della difesa con motivazioni precise.

Sulla funzionalità dell’arma

Il primo motivo è stato giudicato generico e reiterativo. I giudici hanno evidenziato che la Corte d’Appello aveva già dato conto degli accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria, i quali avevano confermato la natura e la potenzialità dell’arma. Il ricorrente si era limitato a contestare genericamente tale valutazione senza fornire alcun elemento concreto che potesse far dubitare della funzionalità della penna-pistola. Per la Cassazione, una mera affermazione ipotetica non è sufficiente per mettere in discussione l’accertamento dei giudici di merito.

Sulla distinzione tra detenzione e porto dell’arma clandestina

Il secondo motivo è stato ritenuto manifestamente infondato. La Corte ha chiarito un punto cruciale del diritto delle armi: detenzione e porto sono due condotte distinte. Mentre la detenzione si configura come la disponibilità materiale dell’arma in un dato luogo, il porto implica il portare con sé l’arma al di fuori di tale luogo. Citando una precedente sentenza delle Sezioni Unite (n. 41588/2017), la Corte ha ribadito che il principio di specialità opera nel confronto tra il reato di detenzione/porto di arma comune e quello di detenzione/porto di arma clandestina (facendo prevalere quest’ultimo), ma non serve a far ‘assorbire’ il porto nella detenzione della medesima arma.

La Corte d’Appello aveva correttamente dichiarato prescritta solo la detenzione. Il porto, essendo una condotta diversa e autonoma, segue un proprio percorso ai fini della prescrizione. L’inammissibilità del ricorso ha quindi confermato la condanna per il solo reato di porto di arma clandestina.

Le conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio fondamentale: la detenzione e il porto di un’arma, anche se clandestina, costituiscono due reati autonomi che possono concorrere. La prescrizione di uno non comporta automaticamente l’estinzione dell’altro. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, questa decisione serve come monito sulla gravità del portare con sé un’arma clandestina, un reato la cui punibilità non viene meno neanche quando la semplice detenzione è ormai prescritta. La Corte ha inoltre ribadito che le contestazioni in sede di legittimità devono essere specifiche e fondate su elementi concreti, e non su mere supposizioni generiche.

È sufficiente affermare che un’arma potrebbe non essere funzionante per ottenere l’annullamento di una condanna?
No, secondo la Corte di Cassazione, una contestazione generica sulla funzionalità dell’arma, non supportata da elementi specifici, è inammissibile. È necessario indicare elementi concreti dai quali possa emergere la non funzionalità.

Il reato di porto di arma clandestina è assorbito da quello di detenzione della stessa arma?
No, la sentenza chiarisce che il porto e la detenzione sono condotte distinte e non si assorbono a vicenda. Il principio di specialità opera per assorbire i reati relativi ad un’arma comune in quelli, più gravi, relativi ad un’arma clandestina, ma non per far confluire il porto nella detenzione.

Se il reato di detenzione di un’arma clandestina si prescrive, si prescrive automaticamente anche il reato di porto?
No, la prescrizione del reato di detenzione non comporta l’automatica prescrizione del reato di porto. Essendo due reati autonomi, ciascuno segue il proprio termine di prescrizione. Pertanto, è possibile essere condannati per il porto illegale anche se il reato di detenzione è stato dichiarato estinto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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