Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12526 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12526 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 10/01/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a GIOIOSA COGNOME il 15/05/1944
avverso la sentenza del 04/06/2024 della Corte d’appello di Reggio calabria udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, la Corte d’appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Locri in data 05/02/2019, con la quale NOME COGNOME Ł stato dichiarato responsabile dei reati di detenzione d’arma clandestina di cui all’art. 23 della legge 18 aprile 1975, n. 110 (capo C) – in esso assorbito il delitto di detenzione d’arma comune da sparo, contestato al capo A)- e di alterazione di un’arma di cui all’art. 3 della legge 18 aprile 1975, n. 110 (capo B), e condannato alla pena di un anno e nove mesi di reclusione, ed € 3.600 di multa.
I Giudici di merito, con concorde valutazione, hanno così ricostruito i fatti: il 05/03/2016 militari della Stazione Carabinieri di Marina di Gioiosa Jonica eseguivano una perquisizione domiciliare presso l’abitazione dell’imputato, che portava al rinvenimento, e sequestro, di una carabina ad aria compressa, un contenitore con piombini, e due mirini di precisione, uno dei quali montato sulla carabina. Il contestuale rinvenimento di una molla spezzata induceva gli inquirenti a ritenere che la carabina fosse stata modificata. Una prima consulenza balistica, disposta dal P.M. in corso di indagini (affidata all’armiere NOME COGNOME), confermava l’ipotesi investigativa, dal momento che le tre prove di sparo effettuate (senza smontaggio dell’arma) consentivano di accertare che la capacità cinetica dell’arma era superiore al limite di legge di 7,5 joule (precisamente, nelle tre prove la velocità era stata pari a 8,65, 8,93 d 9.12 joule).
Il consulente della difesa, dott. NOME COGNOME sulla base dell’esame esterno della carabina,
evidenziava non vi fossero segni recenti di montaggio o smontaggio; senza rieffettuare prove di sparo, e riesaminando in senso critico le conclusioni cui era pervenuto il consulente del P.M., riteneva che la capacità cinetica della carabina potesse al massimo essere pari ad 8 joule.
Esercitata l’azione penale, in sede di udienza preliminare, l’imputato chiedeva di essere giudicato con rito abbreviato; il GUP, ritenuto di non poter decidere allo stato degli atti, disponeva, ai sensi dell’art. 441 comma 5 cod. proc. pen., un accertamento peritale nominando perito il dott. COGNOME in servizio presso i RIS di Messina. Il perito effettuava nuovamente prove di sparo che determinavano la capacità cineteca dell’arma pari a 16,4 joule; operava altresì lo smontaggio della carabina, da cui emergeva che la stessa era stata modificata mediante otturazione di un foro di sfiato che ne aveva aumentato la capacità cinetica.
Il P.M. provvedeva a modificare l’imputazione in senso conforme alle nuove risultanze; l’imputato, a quel punto, revocava la richiesta di rito alternativo e chiedeva di essere giudicato con rito ordinario.
All’esito del giudizio, il Tribunale di Locri adottava le statuizioni sintetizzate in premessa, confermate integralmente dalla Corte di appello di Reggio Calabria nell’impugnata sentenza.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato per il tramite del difensore, avv. NOME COGNOME deducendo i vizi di seguito riassunti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo deduce inosservanza di legge processuale e difetto di correlazione tra imputazione e sentenza con conseguente nullità del decreto di rinvio a giudizio.
L’imputato Ł stato giudicato e condannato in relazione ad un fatto nuovo (alterazione mediante smontaggio dell’arma e saldatura di un tappo metallico), per il quale non Ł mai stato posto nelle condizioni di approntare un’adeguata difesa, in violazione anche dell’art. 6 CEDU; il GUP di Locri avrebbe infatti dovuto, ai sensi dell’art. 521 comma 2 cod. proc. pen., ordinare la restituzione degli atti al PM, essendosi verificata una sostanziale differenza tra il fatto reale (esistenza di un tappo nella camera di sfiato) e quello espresso nella richiesta di rinvio a giudizio (sostituzione della molla della carabina).
Nel respingere il corrispondente motivo di gravame la Corte d’appello ha contraddittoriamente richiamato una giurisprudenza (sez. 1, n. 10419 del 15/12/2020 – dep. 2021, RV. 280938) che rafforza l’eccezione difensiva, chiarendo che per fatto nuovo deve ritenersi anche il fatto che presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria rendendo necessaria una puntualizzazione nella ricostruzione degli elementi essenziali del reato.
2.2. Con il secondo e terzo motivo deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. per carenza ed illogicità della motivazione in ordine al capo C) in esso assorbiti i capi A) e B).
Secondo la difesa non Ł stato rispettato il combinato disposto di cui agli artt. 546, comma 1, lett. e) e 192 e ss. cod. proc. pen., essendo la Corte di merito pervenuta ad una sentenza errata, illogica ed ingiusta, senza una base probatoria dotata di certezza ed una congrua argomentazione.
La difesa contesta l’affermazione di responsabilità dell’imputato sotto un duplice profilo.
Da un lato Ł mancato l’accertamento giudiziale circa la reale ed effettiva potenza della carabina: le relazioni tecniche redatte dai consulenti COGNOME e COGNOME non consentono logicamente di pervenire al convincimento che la carabina avesse effettivamente una potenza di tiro superiore ai 7,5 joule. Sotto altro profilo, non Ł stata provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’effettiva manomissione della stessa da parte dell’imputato, il quale ha dimostrato di avere ricevuto la carabina dalla nuora, NOME COGNOME che a sua volta l’aveva acquistata il 7 gennaio 2013 presso l’armeria Pugliese.
Inoltre, tutti gli esperti, consulenti tecnici e perito, hanno sostenuto che per smontare
completamente la carabina ed eseguire la saldatura occorrevano particolari capacità e attrezzature idonee per una simile modifica dell’arma.
Costituisce una mera supposizione che l’alterazione sia stata effettuata dal Commisso, ben potendo essa dipendere da un mero difetto di fabbrica.
Hanno errato i giudici di merito nel ritenere che le prove di tiro effettuate dal perito, con lo stesso modello, tipo, marca di strumento utilizzato dal consulente del PM COGNOME, fossero maggiormente degne di affidamento rispetto ai precedenti accertamenti; sul punto, i consulenti COGNOME e COGNOME avevano correttamente sostenuto che la diversità sostanziale degli esiti delle prove di sparo raggiunte dal perito rispetto a quelle precedenti del consulente COGNOME fossero dovute al difettoso funzionamento del cronografo dei RIS.
Stante la difformità delle tre relazioni degli esperti non può ritenersi provata la natura di arma comune da sparo della carabina sequestrata.
2.3. Con il quarto motivo deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. per mancanza di motivazione ed illogicità manifesta in punto riferibilità della presunta modifica anche con riferimento all’elemento soggettivo del reato.
La difesa eccepisce il difetto assoluto di motivazione sull’elemento soggettivo del dolo in capo all’imputato, anche nella forma eventuale per le caratteristiche della carabina. Oltre a non essere emersa alcuna prova che l’imputato fosse l’autore dell’alterazione della carabina, detta alterazione ha comunque determinato solo una maggiore velocità di espulsione, cui corrisponde una minore precisione, con la conseguenza che l’alterazione non ha trasformato la carabina in arma comune da sparo.
Non essendo un’arma comune da sparo, non sussiste neppure il delitto di detenzione di arma clandestina; infatti, la condotta di detenzione di arma clandestina può avere ad oggetto solo armi comuni da sparo che sono le sole immatricolate e alle quali vengono imposti dal banco di prova i numeri ed i segni indicati nell’articolo 11 legge 110 del 75.
Nel caso di specie, la carabina in sequestro Ł in libera vendita, Ł stata acquistata presso un’armeria autorizzata, e solo dopo tempo Ł pervenuta all’odierno imputato da una stretta congiunta. L’imputato ha quindi confidato nella legittima provenienza e liceità della sua detenzione.
2.4. Con il quinto motivo deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. per inosservanza di legge ed omessa applicazione della diminuente speciale di cui all’art. 5 legge 895 del 1967.
La pena irrogata andava diminuita in applicazione della diminuente di cui all’art. 5 legge 895 del 1967, in quanto, per la qualità dell’arma, il fatto deve ritenersi di lieve entità: secondo la valutazione di tutti gli esperti che hanno effettuato accertamenti sull’arma, infatti, la stessa aveva comunque modeste capacità offensive.
2.5. Con il sesto motivo deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. per errata dosimetria della pena ed applicazione dell’aumento per la ritenuta recidiva con omessa concessione delle attenuanti generiche.
Non costituisce idonea motivazione, in un caso come il presente, connotato da mancanza di gravità specifica del fatto, il richiamo ai precedenti penali per negare la concessione delle attenuanti generiche; difetta poi la motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della contestata recidiva, considerata la lontananza del tempo dall’ultimo reato, l’età dell’imputato e la soggettiva scarsa colpevolezza dimostrata nell’occorso.
Il Procuratore generale, NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta, con la quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, proposto sulla base di censure manifestamente infondate ovvero generiche o non consentite, deve essere dichiarato inammissibile con ogni conseguenza di legge.
Il primo motivo, con il quale la Difesa lamenta il difetto di correlazione tra imputazione e sentenza, Ł manifestamente infondato.
Come evincibile dall’esame degli atti, e correttamente riportato nelle sentenze di merito, l’imputazione sub A) si fondava sull’esito della perquisizione domiciliare a carico dell’imputato, che aveva portato al sequestro di una carabina ad aria compressa, che risultava essere modificata, essendo stata rinvenuta una molla spezzata, potenzialmente idonea ad aumentarne la potenza; nel corso del giudizio abbreviato richiesto dall’imputato, il G.U.P. del Tribunale di Locri, alla luce delle divergenti conclusioni in ordine alla modifica dell’arma ed alla sua potenzialità raggiunte dai consulenti tecnici, rispettivamente del P.M., NOME COGNOME e della difesa, NOME COGNOME disponeva perizia balistica e nominava all’uopo il dott. COGNOME del RIS di Messina, il quale, dopo avere effettuato prove di sparo ed avendo smontato la carabina, accertava che la stessa aveva una capacità cinetica di 16,4 joule, e che la modifica dell’arma era avvenuta, non già attraverso la sostituzione della molla (come originariamente ritenuto e contestato), bensì a causa dell’otturazione di un foro di sfiato.
Il pubblico ministero modificava quindi l’imputazione nei termini risultanti dall’accertamento peritale, e l’imputato chiedeva che il procedimento proseguisse nelle forme del rito ordinario, ai sensi dell’arti. 441 bis cod. proc. pen.
Così brevemente ricostruita la sequenza procedimentale, giova ricordare come la lamentata violazione di correlazione tra fatto e sentenza si verifica solo quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale; per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa, sicchØ l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchØ, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione Ł del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (v., da ultimo, Sez. 3, n. 24932 del 10/02/2023 Rv. 284846 – 04); inoltre, a fini del rispetto del principio della correlazione tra accusa e sentenza, «deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicchØ questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sull’intero materiale probatorio posto a fondamento della decisione» (Sez. 6, n. 5890 del 22/01/2013, Lucera, Rv. 254419 – 01).
Appare quindi evidente come, nel caso che ci occupa, alcuna violazione tra contestazione e sentenza si sia verificata, dal momento che l’imputato Ł stato giudicato, e ritenuto responsabile, in relazione al fatto così come correttamente contestatogli, all’esito di un giudizio ordinario, nel quale l’imputato ha potuto esplicare tutte le sue difese.
Correttamente il ‘fatto’ oggetto della modifica dell’imputazione da parte del P.M. Ł stato ritenuto ‘diverso’, con conseguente applicazione dell’art. 423 comma 1 cod. proc. pen., dovendosi intendere per ‘fatto diverso’, non solo un fatto che integri una imputazione diversa, restando esso invariato, ma anche un fatto che presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, rendendo necessaria una puntualizzazione nella ricostruzione degli
elementi essenziali del reato (Sez. 4 , n. 10149 del 15/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280938 01).
Il secondo, terzo e quarto motivo, con i quali il ricorrente censura l’affermazione di responsabilità in ordine ai reati di cui ai capi C) e B) dell’imputazione, che possono essere trattati congiuntamente attesa l’interconnessione logica delle ragioni sottese alle critiche avanzate dal ricorrente alle sentenze di merito, sono generici, meramente reiterativi di doglianze risolte adeguatamente dalla Corte territoriale, e manifestamente infondati.
Con riferimento al reato di alterazione di un’arma di cui all’art. 3 della legge 18 aprile 1975, n. 110, contestato al capo B), da un punto di vista oggettivo, i Giudici di merito hanno bene evidenziato le risultanze degli accertamenti tecnici, ed in particolare le conclusioni cui Ł pervenuto il perito nominato dal GUP di Locri, evidenziando come la perizia COGNOME fosse da ritenersi piø attendibile rispetto agli accertamenti effettuati dai consulenti tecnici di parte (del PM e della difesa), in considerazione della completezza degli accertamenti. Quanto alla consulenza della difesa COGNOME, si rilevava come la stessa fosse stata condotta esclusivamente sulla base di un esame esterno della carabina, non avendo l’esperto neppure provveduto ad effettuare prove di sparo. Quanto alla discrepanza dei risultanti raggiunti dal perito rispetto a quelli accertati dal consulente tecnico del P.M., COGNOME, la Corte territoriale ha ricordato le stesse spiegazioni che, in dibattimento, erano state fornite dal medesimo COGNOME, che «sentito in aula, riconosceva la possibile inadeguatezza della sua attrezzatura, ammettendo che la tecnologia dei RIS era probabilmente di livello superiore alla sua».
Quanto al reato di detenzione di arma clandestina di cui al capo C), contrariamente a quanto dedotto in ricorso, la sua integrazione non Ł limitata alle sole armi comuni da sparo catalogate; Ł infatti consolidato il principio per cui Ł arma clandestina, la cui detenzione integra il reato previsto dall’art. 23 della legge 18 aprile 1975, n. 110, anche una pistola a salve, in quanto tale priva di matricola, artigianalmente trasformata in arma da sparo (sez. 1, n. 28814 del 22/02/2019, Largitto, Rv. 276493 – 01; conf. Sez. 3 n. 9286 del 10/02/2011 COGNOME, Rv. 249757 – 01, che in motivazione ha disatteso la tesi difensiva secondo cui il reato sarebbe configurabile solo per le armi catalogate, oggetto di successiva alterazione dei segni distintivi).
Quanto alle ulteriori doglianze genericamente volte ad avvalorare la tesi difensiva per cui l’imputato sarebbe entrato in possesso dell’arma a modificazione già avvenuta, i Giudici di merito le hanno correttamente disattese, rilevando come si dovesse escludere, come peraltro affermato in dibattimento dal perito COGNOME (pag. 6, sentenza di primo grado) «che il Banco di prova, che compie rigorose verifiche, possa aver messo in vendita una carabina alterata».
Con discorso privo di aporie logiche e aderente alle risultanze probatorie, la Corte d’appello ha quindi ritenuto pienamente integrati i contestati reati di detenzione d’arma clandestina di cui all’art. 23 della legge 18 aprile 1975, n. 110 (capo C) – in esso assorbito il delitto di detenzione d’arma comune da sparo, contestato al capo A) – e di alterazione di un’arma di cui all’art. 3 della legge 18 aprile 1975, n. 110 (capo B).
In definitiva, ritiene questo Collegio che vi sia stata ampia e doviziosa risposta ad ogni censura formulata dalla difesa in sede di gravame; nØ i motivi di ricorso riescono a formulare una fondata critica alla decisione, in punto di tenuta logica, coerenza o contraddittorietà, arrestandosi alla mera critica confutativa.
Il quinto motivo, con il quale la difesa si duole del mancato riconoscimento dell’attenuante ex art. 5 legge 2 ottobre 1967 n. 895, Ł inammissibile perchØ meramente reiterativo di doglianza avanzata in appello e risolta correttamente dalla Corte territoriale, con argomenti con i quali il ricorso
non si confronta.
¨ infatti consolidato il principio di diritto secondo il quale l’attenuante del fatto di lieve entità, prevista dall’art. 5 della legge 2 ottobre 1967 n. 895 non Ł applicabile alle ipotesi disciplinate dalla successiva legge 18 aprile 1975 n. 110 (Sez. 1, n. 15575 del 08/03/2001 Rv. 219272 – 01).
Piø recentemente Ł stato ulteriormente chiarito che la circostanza attenuante del fatto di lieve entità, prevista dall’art. 5 legge n. 895 del 1967, non Ł applicabile alle armi clandestine, costituendo la clandestinità una qualità dell’arma che le attribuisce una specifica pericolosità per l’ordine pubblico, in ragione dell’impossibilità di risalire alla sua provenienza (Sez. 1 n. 43805 del 15/11/2017 dep. 2018 2018, Rv. 274484 – 01; Sez. 1, n. 43719 del 10/11/2011, COGNOME, Rv. 251459; conformi: Sez. 1, n. 14624 del 06/03/2008, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 239905; Sez. 1, n. 1487 del 24/10/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 212337).
Del pari inammissibile perchØ generico, aspecifico e comunque manifestamente infondato Ł il sesto motivo.
La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche Ł giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità (in particolare l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo), circostanza che rende la statuizione in parola insindacabile in sede di legittimità (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, COGNOME e altri, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non Ł necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma Ł sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, COGNOME e altri, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244).
Quanto alla mancata esclusione della recidiva, la Corte ha logicamente argomentato, con motivazione congrua e quindi insindacabile in questa sede, come il sia pur risalente precedente riportato dal Commisso fosse idoneo a fondare la contestazione della recidiva atteso che si trattava di una condanna per detenzione di numerosi armi, «ragion per cui l’episodio per cui oggi Ł processo non può certamente ritenersi essere avulso dalle precedenti condotte delittuose, tenuto conto dell’intervallo di tempo trascorso in stato di detenzione dall’imputato». La difesa si limita a censurare la motivazione reiterando l’argomento incentrato sulla lontananza nel tempo del precedente riportato dal Commisso, mancando tuttavia di confrontarsi con la perspicua motivazione della Corte, ed incorrendo i tal modo anche nel vizio di aspecificità.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone la declaratoria di inammissibilità del ricorso; tale decisione postula la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchØ di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 10/01/2025.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME