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Area marina protetta: no scusa per sosta abusiva

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un diportista condannato per sosta abusiva in un’area marina protetta. L’uomo aveva invocato lo stato di necessità, sostenendo di essere entrato nella riserva per soccorrere il padre caduto in acqua. I giudici hanno ritenuto la giustificazione inverosimile e fantasiosa, confermando la condanna e sottolineando che le censure sul merito dei fatti non sono ammissibili in sede di legittimità.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sosta in Area Marina Protetta: la scusa del soccorso non basta

Entrare e sostare in un’area marina protetta con la propria imbarcazione costituisce un reato ambientale. Ma cosa succede se tale comportamento è dettato dalla necessità di soccorrere una persona in pericolo? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui limiti della scusante dello stato di necessità, chiarendo che non può essere invocata sulla base di racconti inverosimili. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le conclusioni dei giudici.

I Fatti del Caso: Sosta Illegittima in un Parco Sommerso

Il caso riguarda il proprietario di un gommone condannato per aver sostato abusivamente all’interno di una riserva marina, in violazione della legge quadro sulle aree protette (L. 394/1991). L’uomo, per giustificare la sua presenza nell’area marina protetta, aveva sostenuto di essere stato costretto a entrare nella zona vietata per prestare soccorso al suo anziano padre, che era accidentalmente caduto in acqua e non riusciva a risalire a bordo.

Contro la sentenza di condanna del Tribunale, l’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su quattro motivi principali: la violazione di legge per il mancato riconoscimento dello stato di necessità, la contestazione della sua responsabilità, l’avvenuta prescrizione del reato e, infine, la mancata concessione delle attenuanti generiche e l’eccessività della pena.

La Decisione della Cassazione: Quando lo Stato di Necessità in un’Area Marina Protetta non Sussiste

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria. La decisione si fonda su argomentazioni precise che distinguono nettamente tra le questioni di fatto, non riesaminabili in sede di legittimità, e le questioni di diritto.

Inammissibilità delle Censure di Merito

I giudici hanno innanzitutto chiarito che i primi due motivi di ricorso, relativi alla ricostruzione dei fatti e alla sussistenza dello stato di necessità, esulavano dalle loro competenze. La Corte di Cassazione, infatti, non è un terzo grado di giudizio dove si possono rivalutare le prove, ma un organo che verifica la corretta applicazione della legge. Nel caso specifico, il Tribunale aveva fornito una motivazione logica e coerente, definendo la tesi difensiva ‘inverosimile e persino fantasiosa’. Pertanto, tentare di ottenere una nuova e più favorevole lettura dei fatti in Cassazione è un’operazione non consentita.

La Manifesta Infondatezza della Prescrizione e delle Attenuanti

Anche gli altri motivi sono stati respinti. La Corte ha verificato che il termine di prescrizione quinquennale non era decorso al momento della sentenza di primo grado. Riguardo alle attenuanti, i giudici hanno confermato la decisione del Tribunale, il quale non aveva ravvisato alcun elemento positivo a favore dell’imputato che potesse giustificare una riduzione di pena. La sanzione applicata, una multa di 200 euro, è stata inoltre considerata proporzionata alla scarsa gravità del fatto.

Le Motivazioni della Corte

La motivazione centrale della decisione risiede nella valutazione della tesi difensiva. Secondo la Corte, il giudice di merito ha correttamente escluso lo stato di necessità evidenziando non solo l’inverosimiglianza del racconto, ma anche e soprattutto ‘la carenza di pericolo grave ed inevitabile di danno alla persona e la sussistenza di soluzioni alternative, più pratiche e credibili’. In altre parole, per invocare con successo lo stato di necessità, non basta affermare l’esistenza di un pericolo, ma bisogna dimostrare che tale pericolo era concreto, grave, imminente e, soprattutto, non fronteggiabile con altri mezzi leciti e meno dannosi. La Corte ha implicitamente confermato che la tutela dell’ambiente, cristallizzata nel divieto di accesso all’area marina protetta, non può essere sacrificata sulla base di giustificazioni fantasiose e prive di riscontri oggettivi.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: il rispetto delle normative a tutela dell’ambiente è un obbligo inderogabile. La scusante dello stato di necessità, pur prevista dall’ordinamento, può essere applicata solo in circostanze eccezionali e rigorosamente provate. Chi viola un divieto, come quello di sosta in un’area marina protetta, non può sperare di eludere la sanzione adducendo motivazioni pretestuose o non supportate da prove concrete. La decisione serve da monito per tutti i diportisti, sottolineando che la protezione del nostro patrimonio naturale prevale su condotte negligenti o giustificate da argomenti deboli e non verificabili.

È possibile sostare con un’imbarcazione in un’area marina protetta invocando lo stato di necessità?
In linea di principio sì, ma solo se si dimostra in modo credibile l’esistenza di un pericolo attuale e inevitabile di un danno grave alla persona, e che non esistevano soluzioni alternative per farvi fronte. Nel caso di specie, la giustificazione è stata respinta perché ritenuta ‘inverosimile e fantasiosa’ dal giudice.

Perché la Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché le principali doglianze del ricorrente miravano a una nuova valutazione dei fatti e delle prove, attività preclusa al giudice di legittimità. La Cassazione può giudicare solo sulla corretta applicazione della legge, non riesaminare il merito della vicenda.

Quali sono le conseguenze se un ricorso viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, la condanna diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro a favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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