Area Interdetta: Quando la Semplice Presenza Integra il Reato
L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame affronta un tema cruciale relativo alla violazione di un’ area interdetta, chiarendo i limiti del sindacato di legittimità e le condizioni per la configurabilità del reato. Quando un ricorso si basa su contestazioni fattuali già esaminate, la sua sorte è segnata: l’inammissibilità. Analizziamo insieme questa importante pronuncia per capire le sue implicazioni pratiche.
I Fatti del Caso
Un individuo proponeva ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello che lo aveva condannato per il reato di cui all’art. 21-ter del d.l. n. 113 del 2018. All’imputato era stato contestato di essere stato presente in una zona il cui accesso gli era stato formalmente interdetto con un provvedimento del Questore, regolarmente notificato.
La difesa sosteneva che per la consumazione del reato non fosse sufficiente il mero attraversamento dell’area, ma fosse necessaria una verifica sull’effettivo stazionamento. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva già rigettato questa tesi, basando la condanna sulla deposizione di un testimone che aveva confermato di aver visto l’imputato, in una data e ora precise, trovarsi all’interno dell’area vietata mentre era intento a parlare con altre due persone.
La Decisione della Corte e la Violazione dell’Area Interdetta
La Corte di Cassazione, con la presente ordinanza, dichiara il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del giudizio di legittimità: l’impossibilità di rivalutare il merito dei fatti. I giudici supremi hanno rilevato che le argomentazioni del ricorrente non erano altro che “mere doglianze in punto di fatto”, peraltro riproduttive di censure già esaminate e respinte dalla Corte territoriale.
Le Motivazioni: Perché il Ricorso è Stato Ritenuto Inammissibile
La motivazione della Corte di Cassazione è netta e si articola su due punti fondamentali.
In primo luogo, si sottolinea che la valutazione della Corte d’Appello non è stata “manifestamente illogica”. La corte territoriale aveva infatti ritenuto provata la responsabilità penale sulla base di una testimonianza chiara e precisa. Contestare tale valutazione significa chiedere alla Cassazione un nuovo esame del fatto, compito che esula dalle sue competenze.
In secondo luogo, la Corte ribadisce che il provvedimento del Questore non conteneva alcuna eccezione relativa alle ragioni di accesso o stazionamento. Pertanto, la semplice presenza dell’individuo nell’ area interdetta, accertata oltre ogni ragionevole dubbio, era di per sé sufficiente a integrare la fattispecie di reato contestata. Non era richiesta alcuna prova ulteriore, come quella di uno stazionamento prolungato.
Di conseguenza, stante l’inammissibilità del ricorso e l’assenza di colpa nella sua proposizione, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza offre importanti spunti di riflessione. Anzitutto, conferma che la violazione di un divieto di accesso a un’ area interdetta è un reato di pericolo la cui consumazione può essere provata dalla semplice presenza del soggetto nella zona proibita, senza che sia necessario dimostrare ulteriori condotte. In secondo luogo, essa serve da monito sulla corretta impostazione dei ricorsi per Cassazione: è inutile insistere su questioni di fatto già vagliate dai giudici di merito con motivazioni logiche e coerenti. Un ricorso così strutturato è destinato all’inammissibilità, con conseguente condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria.
Cosa è sufficiente per provare il reato di violazione di un’area interdetta?
Secondo questa decisione, la prova della semplice presenza dell’individuo all’interno della zona proibita, fornita ad esempio da una testimonianza, è sufficiente per integrare il reato, senza necessità di dimostrare un tempo di permanenza o stazionamento specifico.
Perché il ricorso alla Corte di Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le argomentazioni presentate erano “mere doglianze in punto di fatto”, ovvero contestazioni sulla ricostruzione degli eventi, e non sulla violazione della legge. La Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo la corretta applicazione delle norme.
Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso penale inammissibile?
In caso di inammissibilità del ricorso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una sanzione pecuniaria alla Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7578 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7578 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/09/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che il ricorso promosso nell’interesse di NOME COGNOME, che deduce il vizi motivazione per avere i giudici di merito ritenuto sufficiente per la consumazione del rea cui all’art. 21-ter d.l. n. 113 del 2018 il semplice attraversamento dell’area interdetta senz alcuna verifica dell’eventuale stazionamento sull’area medesima, è inammissibile in quanto costituito da mere doglianze in punto di fatto, peraltro riproduttive di censure che la territoriale ha rigettato con una valutazione di merito non manifestamente illogica – e q non censurabile in sede di legittimità – avendo ribadito l’affermazione della pe responsabilità sulla base della deposizione del teste COGNOME, il quale ha dichiarato d contestato I’ll febbraio 2019, verso le ore 11.20, la presenza del COGNOMECOGNOME intento a pa con altri due soggetti, in una delle zone al cui accesso era stato interdetto, com provvedimento del AVV_NOTAIO a lui regolarmente notificato, il quale non conteneva nessuna eccezione in ordine alla ragioni di accesso e stazionamento nell’area interdetta (cfr. p. 2 sentenza impugnata);
stante l’inammissibilità del ricorso e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisa assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 1 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2024.