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Area interdetta: inammissibile il ricorso di fatto

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo condannato per aver violato un provvedimento che gli interdiceva l’accesso a una determinata area interdetta. L’appello è stato rigettato perché basato su mere doglianze di fatto, già valutate logicamente dalla corte territoriale, confermando che la semplice presenza nella zona proibita, provata da testimonianza, è sufficiente per integrare il reato.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Area Interdetta: Quando la Semplice Presenza Integra il Reato

L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame affronta un tema cruciale relativo alla violazione di un’ area interdetta, chiarendo i limiti del sindacato di legittimità e le condizioni per la configurabilità del reato. Quando un ricorso si basa su contestazioni fattuali già esaminate, la sua sorte è segnata: l’inammissibilità. Analizziamo insieme questa importante pronuncia per capire le sue implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso

Un individuo proponeva ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello che lo aveva condannato per il reato di cui all’art. 21-ter del d.l. n. 113 del 2018. All’imputato era stato contestato di essere stato presente in una zona il cui accesso gli era stato formalmente interdetto con un provvedimento del Questore, regolarmente notificato.

La difesa sosteneva che per la consumazione del reato non fosse sufficiente il mero attraversamento dell’area, ma fosse necessaria una verifica sull’effettivo stazionamento. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva già rigettato questa tesi, basando la condanna sulla deposizione di un testimone che aveva confermato di aver visto l’imputato, in una data e ora precise, trovarsi all’interno dell’area vietata mentre era intento a parlare con altre due persone.

La Decisione della Corte e la Violazione dell’Area Interdetta

La Corte di Cassazione, con la presente ordinanza, dichiara il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del giudizio di legittimità: l’impossibilità di rivalutare il merito dei fatti. I giudici supremi hanno rilevato che le argomentazioni del ricorrente non erano altro che “mere doglianze in punto di fatto”, peraltro riproduttive di censure già esaminate e respinte dalla Corte territoriale.

Le Motivazioni: Perché il Ricorso è Stato Ritenuto Inammissibile

La motivazione della Corte di Cassazione è netta e si articola su due punti fondamentali.

In primo luogo, si sottolinea che la valutazione della Corte d’Appello non è stata “manifestamente illogica”. La corte territoriale aveva infatti ritenuto provata la responsabilità penale sulla base di una testimonianza chiara e precisa. Contestare tale valutazione significa chiedere alla Cassazione un nuovo esame del fatto, compito che esula dalle sue competenze.

In secondo luogo, la Corte ribadisce che il provvedimento del Questore non conteneva alcuna eccezione relativa alle ragioni di accesso o stazionamento. Pertanto, la semplice presenza dell’individuo nell’ area interdetta, accertata oltre ogni ragionevole dubbio, era di per sé sufficiente a integrare la fattispecie di reato contestata. Non era richiesta alcuna prova ulteriore, come quella di uno stazionamento prolungato.

Di conseguenza, stante l’inammissibilità del ricorso e l’assenza di colpa nella sua proposizione, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza offre importanti spunti di riflessione. Anzitutto, conferma che la violazione di un divieto di accesso a un’ area interdetta è un reato di pericolo la cui consumazione può essere provata dalla semplice presenza del soggetto nella zona proibita, senza che sia necessario dimostrare ulteriori condotte. In secondo luogo, essa serve da monito sulla corretta impostazione dei ricorsi per Cassazione: è inutile insistere su questioni di fatto già vagliate dai giudici di merito con motivazioni logiche e coerenti. Un ricorso così strutturato è destinato all’inammissibilità, con conseguente condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria.

Cosa è sufficiente per provare il reato di violazione di un’area interdetta?
Secondo questa decisione, la prova della semplice presenza dell’individuo all’interno della zona proibita, fornita ad esempio da una testimonianza, è sufficiente per integrare il reato, senza necessità di dimostrare un tempo di permanenza o stazionamento specifico.

Perché il ricorso alla Corte di Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le argomentazioni presentate erano “mere doglianze in punto di fatto”, ovvero contestazioni sulla ricostruzione degli eventi, e non sulla violazione della legge. La Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo la corretta applicazione delle norme.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso penale inammissibile?
In caso di inammissibilità del ricorso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una sanzione pecuniaria alla Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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