Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 16969 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 16969 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 02/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME nato a Foligno il 18/06/1973; avverso l’ordinanza del 21/10/2024 del GIP del Tribunale di Spoleto; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della ordinanza impugnata, con trasmissione degli atti al Tribunale di Spoleto, per l’ulteriore corso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 21 ottobre 2024, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Spoleto, decidendo sulla richiesta di archiviazione ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen. del procedimento iscritto nei confronti di NOME COGNOME all’esito dell’udienza fissata ai sensi dell’art. 409, comma 2, cod. proc. pen., ha ravvisato gli estremi del reato di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, di cu ha ordinato l’archiviazione per particolare tenuità del fatto, in ragione del carattere meramente occasionale della condotta delittuosa e della parziale restituzione delle somme indebitamente percepite aderendo all’istituto del riversamento spontaneo del credito di imposta compensato.
2. Avverso l’indicata ordinanza, NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost., -per abnormità dell’ordinanza, — per violazione dell’art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen. per mancata analisi dell’atto di imputazione, sia perchè la riconosciuta riqualificazione della norma contestata nel corpo dell’ordinanza non è richiamata nel dispositivo della stessa, sia per la mancata analisi del compendio probatorio nella parte in cui il G.I.P. dà atto esclusivamente del riversamento spontaneo parziale e non del riversamento totale delle somme, — per violazione dell’art. 13 d.lgs. n. 74 del 2000, per non aver riconosciuto la non punibilità all’esito del pagamento integrale del c.d. riversamento spontaneo.
In sintesi, la difesa deduce che il G.I.P., dopo aver effettivamente riconosciuto che la condotta attuata dal ricorrente dovesse essere quella prevista dal primo comma dell’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, non ne ha tratto le dovute conseguenze, perché, avendo il ricorrente integralmente riversato le somme richieste dall’Agenzia delle Entrate, il giudicante avrebbe dovuto valutare l’operatività dell’art. 13 d.lgs. n. 74 del 2000, con il conseguente riconoscimento della non punibilità della condotta posta in essere dal ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. E’ opportuno premettere che quando è richiesta dal pubblico ministero l’archiviazione per la particolare tenuità del fatto, in mancanza di opposizione, l’epilogo decisorio (decreto motivato) è comune agli altri casi di archiviazione, mentre, nell’ipotesi in cui la richiesta sia stata opposta e l’opposizione non sia inammissibile, è prevista la definizione del procedimento con ordinanza.
A differenza di tutti gli altri casi di richiesta di archiviazione, la perso sottoposta alle indagini, ai sensi dell’art. 411, comma 1-bis, cod. proc. peri., è legittimata a presentare l’opposizione all’archiviazione che presuppone il
riconoscimento, a monte, di un interesse dell’indagato a vedersi riconosciuto, in prima battuta o eventualmente sollecitando i poteri del giudice ex art. 409, comma 4, cod. proc. pen., un epilogo più favorevole rispetto alla richiesta del pubblico ministero ex art. 131-bis cod. pen., richiesta che, se accolta, determina anche l’iscrizione nel casellario giudiziale del provvedimento di archiviazione per la particolare tenuità del fatto.
Deve a questo punto essere ricordata la ricorribilità, ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost., dell’ordinanza di archiviazione ex art. 131-bis cod. pen., che, pur non avendo la forma della sentenza, di questa ha i caratteri costitutivi in quanto decide, in maniera definitiva, su questioni di diritto soggettivo (Sez. 3, n. 5454 del 27/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284139). Infatti, l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto ha natura sostanziale, in quanto, richiedendo l’analisi e la considerazione della condotta, delle conseguenze del reato e del grado della colpevolezza, presuppone “ponderazioni che sono parte ineliminabile del giudizio di merito” (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266593, in motivazione). Ne deriva che l’ordinanza di archiviazione per particolare tenuità del fatto è impugnabile con il ricorso in sede di legittimità per violazione di legge e per motivazione mancante o meramente apparente e, dunque, per violazione della norma che impone l’obbligo della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali (Sez. 5, n. 36468 del 31/05/2023, Tramo, Rv. 285076).
Venendo al caso in esame, la richiesta di archiviazione ex art. 131-bis cod. pen. è stata formulata dal pubblico ministero sul presupposto dell’utilizzo in compensazione di crediti di imposta per ricerca e sviluppo non spettanti, relativi agli anni di imposta 2017 e 2018, per un importo superiore alla soglia di punibilità, rispetto ai quali il ricorrente aveva fatto accesso all’istituto del riversamento spontaneo ex art. 5 d.l. n. 146/2021, provvedendo al versamento della prima rata e dovendo effettuare gli ulteriori versamenti alle date del 16/12/2024 e del 16/12/2025.
A fronte di opposizione del ricorrente, persona sottoposta alle indagini, il giudice per le indagini preliminari, all’esito dell’udienza camerale, aveva disposto l’archiviazione del procedimento ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., in ragione del carattere meramente occasionale della condotta e della non gravità della stessa, alla luce del comportamento susseguente al reato, avendo l’indagato aderito all’istituto del riversamento spontaneo del credito di imposta compensato, restituendo in parte le somme indebitamente percepite, mostrandosi immediatamente collaborativo e disponibile alla riparazione delle conseguenze dannose della propria condotta.
Il ricorso è manifestamente infondato, perché errato nel presupposto e, comunque, generico e non autosufficiente.
E’ errato nel presupposto nella parte in cui sostiene che la condotta del ricorrente, pur correttamente qualificata dal G.I.P. ai sensi del secondo comma dell’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, rispetto alla richiesta di archiviazione de pubblico ministero, non sia stata poi conseguentemente valutata anche ai fini del riconoscimento dell’operatività della causa di non punibilità di cui all’art. 13 d.lg n. 74 del 2000.
Occorre invero puntualizzare che già il pubblico ministero nella sua richiesta di archiviazione aveva qualificato i fatti ai sensi del primo comma dell’art. 10quater d.lgs. n. 74 del 2000, ritenendo non spettanti i crediti indebitamente utilizzati in compensazione, ed aveva poi concluso per la richiesta di archiviazione ex art. 131-bis cod. pen., avendo il ricorrente restituito solo in parte il cred indebitamente compensato. Il medesimo presupposto è alla base dell’ordinanza di archiviazione del G.I.P.: si legge nel provvedimento che l’indagato, nella qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE aveva restituito solo in parte le somme indebitamente compensate e relative a crediti non spettanti.
Il ricorrente, nel contestare l’assunto della restituzione solo parziale del credito indebitamente compensato, fa riferimento ad un messaggio di posta elettronica indirizzato al commercialista della società RAGIONE_SOCIALE da parte dell’Agenzia delle entrate, in base al quale, in conseguenza del totale riversamento del credito indebitamente utilizzato, era stata inviata integrazione alla Procura della precedente comunicazione della notizia di reato.
Tuttavia, il ricorso difetta di autosufficienza per mancata allegazione del documento richiamato; ma difetta anche di specificità perché il messaggio di posta elettronica, nei termini in cui è stato trascritto nel ricorso, non contiene indicazio o allegazioni che ricolleghino il riversamento del credito indebitamente utilizzato di cui si fa menzione nella nota alla vicenda contestata nel presente procedimento.
In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 02/04/2025.