Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1780 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1780 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a MOGORO il 26/08/1954, parte civile nel procedimento a carico di:
COGNOMENOME nato a MOGORO il 21/04/1954
nel procedimento a carico di quest’ultimo;
COGNOMENOMECOGNOME nato a Mogoro il 21/04/1954;
avverso la sentenza del 06/02/2024 della CORTE APPELLO di PERUGIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso di COGNOME NOME Antonio ed il rigetto del ricorso di COGNOME NOME; lette le conclusioni scritte del difensore del ricorrente COGNOME NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del proprio ricorso ed il rigetto del ricorso della parte civil lette le conclusioni scritte del difensore di COGNOME NOMECOGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità o il rigetto del ricorso di COGNOME NOME Antonio l’accoglimento del proprio ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Perugia, parzialmente riformando la sentenza del Tribunale di Perugia, emessa il 28 febbraio 2022:
ha assolto NOME NOME NOME dai reati di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice e violenza privata contestatigli al capo A, per mancanza dell’elemento soggettivo, revocando le relative statuizioni civili;
ha assolto l’imputato dal reato di furto di cui al capo B, commesso nei confronti della figlia NOME perché non punibile ai sensi dell’art. 649 cod.pen., revocando le statuizioni civili in favore di quest’ultima;
ha confermato la condanna inflitta in primo grado per il reato di cui al capo B, commesso nei confronti dell’ex coniuge NOME qualificando il fatto come appropriazione indebita e non secondo l’originaria imputazione di furto, per l’effetto riducendo la pena e revocando la subordinazione della stessa al pagamento della provvisionale in favore di NOME, ridotta da euro 5000 ad euro 500.
La sentenza impugnata ha ritenuto che l’imputato avesse chiuso a chiave soltanto alcune stanze della ex casa coniugale a lui assegnata dopo la separazione dalla moglie NOME senza violare dolosamente gli accordi di separazione che prevedevano l’uso esclusivo da parte della moglie di una sola stanza, che era stato mantenuto.
Da ciò è scaturita la pronuncia assolutoria per i reati di cui al capo A.
Al contrario, la Corte di appello ha ritenuto che l’imputato si fosse appropriato di beni mobili di proprietà della moglie custoditi nel garage dell’abitazione, condannandolo, previa riqualificazione dei fatti di cui al capo B, per il reato previsto dall’art. 646 cod.pen., applicando, quanto ai beni della figlia, la causa di non punibilità di cui all’art. 649 cod.pen.
Ricorrono per cassazione sia l’imputato che la parte civile NOME COGNOME
Orrù NOMECOGNOME
4.1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per il reato di appropriazione indebita di cui al capo B, siccome qualificato in grado di appello.
La Corte territoriale avrebbe reso illogica e contraddittoria motivazione nella parte in cui, assolvendo l’imputato dai reati di cui al capo A, ha interpretato gli accordi di separazione intervenuti tra i coniugi nel senso che i beni mobili di proprietà della parte civile Grussu dovessero essere riposti nell’unica stanza dell’appartamento a lei assegnata in uso esclusivo, per poi ritenere che detti beni fossero contenuti anche nel garage dell’abitazione e che di essi il ricorrente si fosse indebitamente appropriato.
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Peraltro, non sarebbe stato considerato il lasso temporale intercorrente tra la separazione e la scoperta della sottrazione dei beni da parte della persona offesa – che ne avrebbe consentito il trasferimento nella stanza dell’appartamento ad uso esclusivo – e l’assenza di inventario.
Sarebbe stata anche travisata la deposizione del teste COGNOME il quale aveva dichiarato che nel garage non vi erano mobili ma solo riviste e documenti da cestinare (“cianfrusaglie”), avendo aiutato l’imputato a disfarsene essendo suo amico.
Tali circostanze refluirebbero anche sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla mancata riduzione delle spese di costituzione e difesa liquidate in favore della parte civile, non essendosi tenuto conto del fatto che l’imputato era stato assolto dai reati di cui al capo A e della circostanza che il Tribunale aveva quantificato un aumento dovuto alla difesa di più parti civili, mentre con la sentenza impugnata erano state revocate tutte le statuizioni civili in favore di NOME figlia dell’imputato, originariamente costituitasi.
5. Grussu NOME
5.1. Con unico ed articolato motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte ritenuto che gli accordi di separazione non prevedessero in capo alla ricorrente l’uso delle stanze chiuse a chiave, per poi assolvere l’imputato dai reati di cui al capo A solo sotto il profilo dell insussistenza dell’elemento soggettivo, con statuizione, contenuta in dispositivo, incoerente con la parte motiva della sentenza impugnata.
La ricorrente critica l’interpretazione fornita dalla Corte degli accordi d separazione intervenuti tra i coniugi, rilevando che di essi non vi sarebbe traccia o richiamo alcuno in sentenza e che, pertanto, da essi non potesse dedursi alcunché in chiave logica e men che mai la circostanza che l’imputato potesse chiudersi a chiave tre stanze della ex casa coniugale senza consentirne l’accesso alla moglie.
Anche l’esclusione dell’elemento soggettivo del reato poggerebbe su illogiche considerazioni, anche tenuto conto delle affermazioni della Corte circa l’uso delle stanze chiuse a chiave come propedeutico o strumentale all’accesso alla stanza assegnata in via esclusiva alla parte civile.
La sentenza ritiene che l’interpretazione fornita dalla Corte degli accordi di separazione, non rispetti i parametri di cui all’art. 1362 cod. civ., per quanto inerenti alla comune intenzione delle parti e, segnatamente, non tenga conto del fatto che, per un certo periodo di tempo, l’imputato aveva mantenuto tutte le
stanze dell’appartamento aperte, dimostrando di eseguire gli accordi in senso opposto a quanto ritenuto dalla Corte in via interpretativa di essi.
Si dà atto che, nell’interesse della ricorrente,è stata depositata una memoria difensiva, attraverso la quale si insiste nei motivi di ricorso confutando le conclusioni del Procuratore generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono entrambi inammissibili perché proposti per motivi non consentiti e, comunque, manifestamente infondati.
Orrù NOMECOGNOME
1.1. Quanto al primo motivo, il ricorrente non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte di appello ha sottolineato, conformemente alla sentenza di primo grado, l’indiscussa circostanza che nel garage della ex abitazione coniugale assegnato all’imputato, vi fossero beni di proprietà della parte civile, dei quali, per sua stessa ammissione e per ammissione del teste difensivo COGNOME il ricorrente, avendone la disponibilità, si era disfatto senza premurarsi di interloquire con la moglie.
A proposito dell’infimo valore dei beni – che dovrebbe giustificare il comportamento del ricorrente ed escludere la presenza del dolo – la Corte ha sottolineato che non si era raccolta sul punto alcuna prova specifica, anche in considerazione del fatto che in quel garage, secondo valutazioni di merito qui non rivedibili, sono stati indicati come presenti anche mobili che avevano lasciato segni sul muro e non solo riviste e documenti.
Dal che, l’incensurabilità della statuizione assunta dalla Corte territoriale.
1.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato in quanto dalla sentenza impugnata non risultano statuizioni civili in favore di NOME al contrario essendosi proceduto alla loro espressa revoca e alla logica e consequenziale riduzione, rispetto al primo grado, delle spese liquidate alla sola parte civile COGNOME, da euro 3000 (somma che era comprensiva dell’aumento per la difesa di più parti, in quanto entrambe vittoriose davanti al Tribunale) ad euro 1200, laddove l’aumento per la seconda parte civile, correttamente, non è stato contemplato.
Tanto assorbe ogni altra censura
COGNOME NOME
2.1. La ricorrente deduce motivi inerenti al merito del giudizio e, pertanto, non consentiti.
In primo luogo, deve rilevarsi che la Corte di appello ha interpretato l’accordo di separazione intervenuto tra le parti espressamente richiamando quello “recepito”
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dalla sentenza di primo grado, che ne aveva trasfuso in sentenza finanche il contenuto nella parte di interesse (fg. 2 della motivazione della sentenza del Tribunale).
In secondo luogo, l’interpretazione di tale accordo negoziale da parte della Corte di appello – attività eminentemente di merito – non soffre di vizi logici rilevabili in questa sede, in quanto parte dall’assunto di fatto, per questo altrettanto incensurabile in sede di legittimità, che l’imputato aveva chiuso soltanto tre stanze della casa coniugale a lui assegnata, non impedendo alla ex moglie l’accesso all’unica stanza a costei riservata al fine di custodire beni personali (fg. 5 della sentenza impugnata).
Si ricordi, in punto di diritto, che l’accertamento, da parte del giudice del merito, della volontà delle parti contraenti, emergente da una clausola contrattuale, non può essere soggetto al sindacato della Corte di cassazione se l’indagine è stata condotta senza violazione delle norme stabilite dalla legge per l’interpretazione dei contratti ed è sorretta da congrua e logica motivazione (Sez. 4, n. 4754 del 18/11/2020, dep. 2021, Viva!, Rv. 280483 – 01; Sez. 2, n. 750 del 1971, Rossi, Rv. 117733- 01).
In terzo luogo, il fatto che la Corte territoriale si sia orientata ad adottare dispositivo la formula assolutoria “perché il fatto non costituisce reato” – e, dunque, per carenza dell’elemento soggettivo – non è in contraddizione con la motivazione, laddove, al contrario, è spiegato che, a tutto concedere, vista la “infelice indicazione lessicale” dell’accordo di separazione, l’imputato poteva essersi fatto il ragionevole convincimento di poter chiudere alcune stanze dell’appartamento senza impedire alla parte civile l’accesso a quella a lei riservata.
Anche qui, si tratta di valutazione non manifestamente illogica, tenuto conto del contenuto dell’accordo siccome interpretato dalla Corte e trasfuso nella sentenza di primo grado.
Tanto supera ed assorbe ogni ulteriore argomentazione difensiva, anche in relazione al contenuto della memoria depositata.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa degli stessi ricorrenti nella determinazione della causa di inammissibilità.
Deve, infine, essere rigettata la richiesta di liquidazione delle spese in favore della parte civile, non presente all’odierna udienza e che ha depositato una memoria priva di contenuti rispetto alle censure coltivate in ricorso (sul punto, argomenta da Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, COGNOME, in motivazione).
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Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Rigetta la richiesta di liquidazione delle spese avanzata dalla parte civile ricorrente NOME Così deciso, il 05/12/2024.