Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 2489 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 2489 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 21/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ARTENA il 23/04/1966
avverso la sentenza del 10/05/2024 della CORTE di APPELLO di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; preso atto che l’Avv. NOME COGNOME del Foro di Roma per NOME COGNOME non è presente, nonostante la regolare notifica del provvedimento di conferma della trattazione orale.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnato provvedimento la Corte d’appello di Roma ha riformato la sentenza pronunciata in data 16 giugno 2023 dal Tribunale di Velletri con cui NOME COGNOME era stato condannato alla pena di sei mesi di reclusione (oltre alla pena pecuniaria) per la appropriazione indebita di 500 ceste per il trasporto di pane, aggravata dalla rilevanza del danno e dall’abuso di prestazione d’opera. Con la sentenza d’appello, escluse le contestate aggravanti, la pena veniva ridotta a quattro mesi di reclusione oltre alla pena pecuniaria.
Con il ricorso per Cassazione, la difesa dell’imputato adduce tre motivi.
2.1 Si lamenta innanzitutto l’illegittimità della sentenza per violazione dell’ar 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 646 cod. pen..
In particolare, si lamenta che tanto il Tribunale di Velletri che la Cor d’appello abbiano mal interpretato il contenuto del rapporto contrattuale che non era un appalto per la fornitura di pane ma una ben più complessa negoziazione mista che vedeva la realizzazione di un contratto di mediazione, di un contratto di appalto e di un contratto di somministrazione da cui derivava la titolarità de diritto di proprietà sulle ceste in capo alla società RAGIONE_SOCIALE
2.2 Con il secondo motivo si deduce l’illegittimità della sentenza per violazioni di legge in relazione al difetto di legittimazione alla proposizione di valido atto di querela.
L’atto di cessione delle ceste da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE, avvenuto il 1 maggio 2017, non può costituire la premessa per la presentazione di un valido atto di querela. Infatti, nella prospettiva accusatoria, alla data della cessione ceste costituivano il corpo del reato. Inoltre, nel contratto di cessione tra RAGIONE_SOCIALE, manca una causa, non essendovi alcun interesse economico giuridicamente apprezzabile diverso dal consentire alla RAGIONE_SOCIALE la presentazione della querela, tanto è vero che non vi è nemmeno la prova in atti del pagamento del corrispettivo della cessione delle ceste, a dimostrazione della natura fittizi della transazione.
2.3 Infine, con ulteriore motivo, si deduce la violazione dell’ad 20 bis cod. pen. in relazione alla mancata concessione della pena sostitutiva richiesta con i motivi di appello.
In primo grado, l’imputato si è visto riconoscere la sospensione condizionale della pena senza averla richiesta. Tuttavia, il beneficio confligge con il prevalent interesse dell’imputato ad ottenere la sostituzione della pena detentiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi ripetitivi, e come tal generici, non consentiti e, quanto meno in parte, manifestamente infondati.
Occorre innanzitutto sottolineare che la sentenza di appello costituisce una c.d. “doppia conforme” della decisione di primo grado in relazione alla affermazione di responsabilità, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d’appello a quella del Tribunale sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
È allora del tutto evidente che, a fronte di una sentenza di appello che ha fornito, in conformità alla sentenza di primo grado, una risposta ai motivi di gravame, la pedissequa loro riproduzione quali motivi di ricorso per cassazione non può essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’appello: in tale ipotesi, infatti, i motivi so necessariamente privi dei requisiti di cui all’ad. 581 c.p.p., comma 1, lett. d), che impone la esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta, con conseguente inammissibilità del ricorso per genericità dei motivi, non specifici ma soltanto apparenti, poiché omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso. (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009 Arnone Rv. 243838 – 01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013 COGNOME Rv. 255568 – 01; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425 – 01).
Specificamente, in relazione al primo motivo, il Collegio osserva preliminarmente che esso, pur richiamando il vizio di violazione di legge (si cita nella rubrica la lettera b) dell’ad. 606, comma 1, cod. proc. pen., in relazione all’art. 646 cod. pen.), contesta in realtà l’interpretazione fornita dai giudici d quadro contrattuale all’interno del quale i fatti si sono verificati. I giudici di mer hanno interpretato in un determinato senso il contratto stipulato tra le parti, e dunque la volontà delle parti, con valutazione che è censurata dal ricorrente, che ne propone, con una pluralità di argomenti concatenati tra di loro, una alternativa, stimata come preferibile, secondo la quale non di contratto di appalto deve parlarsi, nel caso concreto, ma di un negozio a natura mista “che comprende, per quel che riguarda la fornitura delle ceste, la stipula di un contratto di somministrazione di cui all’ad. 1559 C.C., il quale, essendo annoverato tra i contratti traslativi, com’è noto, produce quale effetto il trasferimento della proprietà dei beni oggetto della prestazione al raggiungimento dell’accordo” (pg.3).
Differente è, però, la – legittima – lettura del contratto offerta dai giudici merito, i quali, come detto, con motivazione esistente, sufficiente, non incongrua né manifestamente illogica, hanno ritenuto di ricondurre la fattispecie al contratto di appalto di servizi, in base ai dati testuali ed alle dichiarazioni degli stess interessati (incluso il ricorrente e la teste della difesa, COGNOME che, si legge nella sentenza, a pg. 2, non hanno mai sostenuto l’assunto del trasferimento in proprietà delle ceste consegnate dalla società RAGIONE_SOCIALE.
2.1 Ciò premesso, è necessario richiamare sul punto la nozione di teoria generale secondo la quale l’interpretazione della volontà delle parti è quaestio facti, di per sé esclusa dal sindacato di legittimità, a meno che la motivazione
presenti aporie logiche del tutto insuperabili, aporie che, però, nel caso di specie non risultano.
Il principio ora enunciato trova costante e risalente conferma nella giurisprudenza di legittimità che, sia in sede penale (Sez. 2, n. 750 del 17/03/1971, COGNOME, Rv. 117733-01; Sez. 4, n. 4437 del 16/03/1990, COGNOME, Rv. 183864 – 01; Sez. 4, n. 4754 del 18/11/2020, dep. 2021, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 280483 – 01), come in quella civile (Sez. civ. L, n. 18375 del 23/08/2006, RAGIONE_SOCIALE vs. COGNOME, Rv. 591659-01; Sez. 1 civ., n. 15471 del 22/06/2017, T. vs. L., Rv. 645074-01), ha riconosciuto che l’attività ermeneutica della volontà contrattuale è di pertinenza del giudice di merito la cui decisione può essere contestata, secondo le regole generali, solamente ove espressa in una motivazione assente o apparente, contraddittoria o manifestamente (cioè ictu ocuit) illogica.
2.2 Per le predette ragioni, il motivo è ripetitivo e non consentito, perché formulato al di fuori delle ipotesi previste dalla legge (art. 606, comma 3, cod. proc. pen.).
Il secondo motivo è manifestamente infondato, oltre che ripetitivo.
Sulla premessa che solamente gli aspetti esecutivi (ma non quelli contabili, né la gestione delle problematiche legali) del contratto di appalto fossero stati delegati, dal consorzio RAGIONE_SOCIALE alla società di servizi consorziata (la RAGIONE_SOCIALE, con il consenso della società RAGIONE_SOCIALE che fruiva de servizio (in osservanza del precetto di cui all’art. 1656 cod. civ.), il consorz stesso, nel momento in cui l’esecuzione del servizio è entrata in crisi (per inadempimento dell’obbligazione pecuniaria assunta dalla società RAGIONE_SOCIALE ha legittimamente assunto la gestione diretta del contratto, sospendendo l’erogazione del servizio e procedendo al recupero delle somme dovute nonché delle ceste utilizzate per l’esecuzione del servizio stesso.
Per effettuare tale operazione, ha proceduto all’acquisto delle ceste, come ritenuto correttamente dalla Corte d’Appello, per poterne chiedere la restituzione in nome proprio.
Il RAGIONE_SOCIALE pertanto, era legittimato a chiedere la restituzione delle ceste, che non costituivano affatto, all’epoca, corpo di reato, come erroneamente affermato dal ricorrente, ed era, quale proprietario, l’unico legittimato alla presentazione della querela per il reato di appropriazione indebita.
Manifestamente infondato è, infine, anche il terzo motivo di ricorso, che lamenta la mancata applicazione di una sanzione sostitutiva.
In particolare, si deduce (pg. 7) che in primo grado “la sospensione condizionale della pena era stata riconosciuta al ricorrente senza una specifica richiesta e che in sede d’appello la difesa dell’imputato, pur senza specifico mandato anche a rinunciare a suddetto beneficio, aveva chiesto la sostituzione della pena detentiva inflitta con pena pecuniaria”.
Ebbene, la verifica del dato processuale, consentita in questa sede, data la natura in procedendo della questione sottoposta (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092 nonché, più recentemente, Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, COGNOME non mass. sul punto), smentisce l’assunto di base dell’argomentazione difensiva, incentrato sulla indebita e non richiesta concessione del beneficio sospensivo, che preclude, ex ari. 58 I. 24 novembre 1981, n. 689, la sostituzione della pena detentiva, giacché risulta dalle conclusioni trascritte nell’intestazione della sentenza di primo grado che la difesa dell’imputato, ebbe a richiedere, “in ulteriore subordine – alla assoluzione ovvero alla non punibilità ex ari. 131-bis cod. pen., n.d.r. minimo della pena e benefici di legge” (pg. 3).
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’ad. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 21 novembre 2024
Il Con igliere rel tore
La Presidente