Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 32833 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2   Num. 32833  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Manfredonia il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/06/2024 della Corte d’appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo che la sentenza impugnata venga annullata limitatamente alle statuizioni civili;
letta la memoria dell’AVV_NOTAIO, difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE, il quale, dopo avere argomentato in ordine all’inammissibilità e/o all’infondatezza di ciascun motivo di ricorso, ha chiesto che lo stesso sia dichiarato inammissibile o sia rigettato, con la conferma delle statuizioni civili e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dell’indicata parte civile;
letta la memoria e conclusioni dell’AVV_NOTAIO, difensore di COGNOME NOME, il quale, dopo avere prospettato alcune ulteriori questioni relative ai requisiti dell’atto di querela, con specifico riferimento al caso di specie, ha insistit per l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 04/06/2024, la Corte d’appello di Bari, in parziale riforma della sentenza del 09/05/2022 del G.u.p. del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, emessa in esito a giudizio abbreviato, previa riqualificazione del fatto come appropriazione indebita (anziché come peculato), rideterminava in un anno e quattro mesi di reclusione ed C 400,00 di multa la pena irrogata a NOME COGNOME per il suddetto reato di appropriazione indebita, per essersi egli indebitamente appropriato, quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE – società affidataria del servizio di prelievo, conteggio e accreditamento degli incassi dei parcometri di RAGIONE_SOCIALE, società interamente partecipata dal Comune di RAGIONE_SOCIALE concessionaria del servizio dei parcheggi a pagamento nello stesso Comune – di incassi per C 741.968,43, dei quali aveva, all’indicato titolo, il possesso.
Avverso la menzionata sentenza del 04/06/2024 della Corte d’appello di Bari, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore AVV_NOTAIO, NOME COGNOME, affidato a dieci motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 646 e 649-bis cod. pen. e dell’art. 336 cod. proc. pen., «per insussistenza del reato di appropriazione indebita a causa della mancata presentazione di querela da parte di RAGIONE_SOCIALE».
Il COGNOME rappresenta che RAGIONE_SOCIALE era «divenuta titolare effettiva del denaro per interversio possessionis» giacché, sulla base del contratto del 16/09/2016 tra RAGIONE_SOCIALE e lo stessa RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima società: 1) «si occupava del servizio di trasporto, verifica e lavorazione della monete metalliche prelevate dai parcometri»; 2) «prendeva materialmente in consegna il denaro contante presso la sede di RAGIONE_SOCIALE»; 3) «effettuava le operazioni di conteggio e accreditamento delle somme sul conto corrente di RAGIONE_SOCIALE»; 4) «gestiva i rapporti con la Banca d’Italia per il cambio delle monete metalliche, procedendo a trasformare le monete metalliche in moneta bancaria».
Pertanto, posto che, per le ragioni indicate, RAGIONE_SOCIALE si doveva ritenere il «soggetto passivo del reato», poiché «non risulta che RAGIONE_SOCIALE abbia mai presentato querela», «il reato di appropriazione indebita eventualmente configurabile non può ritenersi sussistente».
Da ciò la violazione delle norme sopra indicate, in quanto «a Corte d’Appello ha omesso di rilevare tale causa di insussistenza del reato».
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 646 e 649-bis cod. pen., con riferimento all’art. 40 dello stesso codice, e la contraddittorietà e l
manifesta illogicità della motivazione «in merito alla valutazione dell’interversio possessionis in favore di RAGIONE_SOCIALE».
Lamenta che la Corte d’appello di Bari, «pur prendendo atto del ruolo svolto da RAGIONE_SOCIALE nella gestione del denaro prelevato dai parcometri, è pervenuta a conclusioni contraddittorie ed illogiche in merito alla titolarità del possesso di ta somme».
Ciò in quanto la Corte d’appello di Bari, pur riconoscendo che «RAGIONE_SOCIALE non era titolare del titolo abilitativo per il servizio di conta, che invece era in posses di RAGIONE_SOCIALE» RAGIONE_SOCIALE, e pur confermando «che RAGIONE_SOCIALE svolgeva il servizio di conta e accredito dei valori, attraverso il cambio della moneta metallica in moneta bancaria» e che «RAGIONE_SOCIALE, quindi, conseguiva la disponibilità della moneta bancaria, res differente rispetto alle monete metalliche», avrebbe «ome illogicamente di trarre le dovute conseguenze da tali premesse, ovvero che si era verificata una interversio possessionis in favore di NOME, divenuta effettivo titolare e possessore qualificato del denaro prelevato dai parcometri e trasformato dall’RAGIONE_SOCIALE. Stesso in altro , ossia in moneta bancaria».
Dopo avere nuovamente esposto il contenuto del contratto del 16/09/2016 tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE di cui si è detto al punto 2.1, il ricorrente conte che la Corte d’appello di Bari, «pur prendendo atto di tali circostanze, perviene illogicamente alla conclusione che il denaro fosse senza soluzione di continuità, almeno sotto il profilo giuridico, nella disponibilità di RAGIONE_SOCIALE, ritenendola so domina, così contraddicendo le proprie stesse premesse».
Invece, «se si fosse correttamente valutata l’interversio possessionis in favore di RAGIONE_SOCIALE, si sarebbe dovuto concludere che sarebbe venuto meno l’elemento oggettivo del reato in capo all’imputato», specificamente, «del reato di appropriazione indebita nei confronti di RAGIONE_SOCIALE», atteso che, «nel momento in cui la società RAGIONE_SOCIALE consegnava le monete metalliche all’RAGIONE_SOCIALE e quest’ultima le cambiava in moneta bancaria, si era realizzata un’interversione del possesso in favore di RAGIONE_SOCIALE».
Il COGNOME ribadisce che «la consegna delle monete da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE e, soprattutto, la successiva conversione in moneta bancaria costituiscono proprio quella “manifestazione esteriore” richiesta per l’interversione del possesso», atteso che «uesti atti concreti dimostrano che RAGIONE_SOCIALE ha cessato di esercitare il potere di fatto sulle monete in nome di RAGIONE_SOCIALE, trasferendolo a RAGIONE_SOCIALE al momento della traditio e, poi, successivamente, che la trasformazione delle monete metalliche in moneta bancaria a recidere irreversibilmente ogni legame di RAGIONE_SOCIALE col bene originario (denaro contante)».
La consegna delle monete metalliche da parte di RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE e la conversione delle stesse monete metalliche in moneta bancaria da parte di
quest’ultima società costituirebbero «”atti esterni” che manifestano la modificata relazione con il bene, facendo venir meno il possesso in capo a RAGIONE_SOCIALE». RAGIONE_SOCIALE «procedeva a trasformare le res (monete metalliche) in altra res (moneta bancaria), rapportandosi, sia pure per un breve intervallo, alle ‘cose’ uti dominus o, comunque, come possessore, proprio in ragione e conseguenza dell’intervenuto cambio», con la «conseguente esclusione della responsabilità del già legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE per appropriazione indebita verso RAGIONE_SOCIALE», anche per «insussistenza del dolo».
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 606 comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 646 e 649-bis cod. pen., come modificati dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, nonché dell’art. 129 cod. proc. pen., per difetto: 1) «di istanza di punizione o locuzione equipollente nell’atto di querela denominato “querela-denuncia”»; 2) «di potere in capo al presidente dell’RAGIONE_SOCIALE a sporgere querela per assenza di delibera o provvedimento equipollente del consiglio di amministrazione»; 3) «di procura speciale conferita all’avvocato COGNOME, presentatore della “querela-denuncia”, e per vizio inficiante origjnariamente e radicalmente la stessa nomina dell’avvocato COGNOME (violazione per inosservanza dell’art. 120 e 122, comma I, c.p., nonché dell’art. 24 disp. att. c.p.p.)».
Ciò per il caso in cui si dovesse ritenere la legittimazione a sporgere querela in capo ad RAGIONE_SOCIALE e non in capo ad RAGIONE_SOCIALE
2.3.1. Dopo avere premesso che, a seguito del sopravvenuto d.lgs. n. 150 del 2022, il reato di appropriazione indebita a lui attribuito è punito a querela della persona offesa, il NOME lamenta in primo luogo che la Corte d’appello di Bari, in violazione dell’art. 129 cod. proc. pen., non abbia dichiarato l’improcedibilità dello stesso reato per mancanza della condizione di procedibilità della querela.
Deduce in proposito che «l’atto che nell’intestazione contenga il riferimento esplicito alla querela, non può ritenersi idoneo ad assolvere alla funzione di condizione di procedibilità dell’azione penale» e che «la mera narrazione degli episodi criminosi – come avvenuto nel caso di specie –  non è espressione di volontà punitiva e non può essere qualificata come valida manifestazione del diritto di querela».
In particolare, l’atto presentato dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, Presidente di RAGIONE_SOCIALE, «non contiene alcuna espressa istanza di punizione nei confronti dell’imputato COGNOME», atteso che, nello stesso atto, l’AVV_NOTAIO COGNOME «si limita a esporre i fatti, a nominare i difensori  e a sporgere querela , ma no manifesta in modo inequivocabile la volontà che si proceda penalmente».
Ne discenderebbe che «N’assenza di un’esplicita richiesta di punizione rende quindi la querela inidonea a integrare la condizione di procedibilità richiesta dalla legge».
2.3.2. In secondo luogo, il ricorrente deduce che, tra gli atti del procedimento, non sarebbe presente alcuna delibera del Consiglio di amministrazione di RAGIONE_SOCIALE che avesse conferito al Presidente di tale società il potere di sporgere querela in nome e per conto della stessa.
Dopo avere premesso che, quando si tratti di persone giuridiche, il potere di querela deve essere conferito mediante una specifica delibera dell’organo competente, il NOME asserisce che l’indicata lacuna «solleva dubbi sulla legittimazione del firmatario a presentare la querela», in quanto la mancanza della delibera del Consiglio di amministrazione «potrebbe  inficiare la validità della querela stessa».
2.3.3. In terzo luogo, il ricorrente deduce il «ifetto di qualsivoglia procura speciale conferita all’AVV_NOTAIO, presentatore della “querela-denuncia” in Procura e difetto radicale di nomina in capo a quest’ultimo ex art. 24 Disp. Att. c.p.p.».
Sotto questo secondo profilo, il COGNOME rappresenta che, a norma dell’art. 101 cod. proc. pen., la persona offesa dal reato può nominare un solo difensore, laddove, nella menzionata “querela-denuncia”, l’AVV_NOTAIO COGNOME aveva nominato due difensori (l’AVV_NOTAIO e l’AVV_NOTAIO). Secondo il ricorrente, «uesta irregolarità nella nomina può inficiare la validità degli at compiuti dai difensori, compresa la presentazione della “querela-denuncia”». Infatti, poiché, a norma dell’art. 24 disp. att. cod. proc. pen., «Ma nomina di ulteriori difensori si considera senza effetto finché la parte non provvede alla revoca delle nomine precedenti che risultano in eccedenza rispetto al numero previsto dagli artt. 96, 100 e 101 del codice», ne discenderebbe che, «in capo all’AVV_NOTAIO – secondo nominato – non sussiste alcun potere, e ciò in quanto il primo difensore in ordine nominato, ossia l’AVV_NOTAIO, mai veniva revocato».
Sotto il primo profilo, il COGNOME lamenta che, nella menzionata nomina dei difensori, «non è presente alcun riferimento esplicito al potere di presentare la “querela-denuncia” in luogo del querelante». Ciò nonostante «per esercitare tale potere necessaria una procura speciale ai sensi dell’art. 122 c.p.p.», il quale prevedrebbe appunto che «per la presentazione di una querela tramite procuratore speciale è necessaria una procura rilasciata con le forme previste dal primo comma dello stesso articolo» (così il ricorso); la quale procura deve essere rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve contenere la determinazione dell’oggetto per cui è conferita e dei fatti ai quali si riferisce.
2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen.: a) la violazione di legge e il vizio di motivazione, in relazione all’art. 646 cod. pen., «per insussistenza della materialità appropriativa per mancanza di effettiva interversione del possesso»; b) la violazione di legge, in relazione agli artt. 43 e 646 cod. pen., «per non aver rilevato la Corte territoriale il difetto di dolo».
2.4.1. Sotto il primo profilo, il COGNOME lamenta che la Corte d’appello di Bari avrebbe «ritenuto sussistente la condotta appropriativa in assenza di una concreta ed effettiva interversione del possesso», atteso che, nel caso di specie, non si sarebbe «verificata alcuna oggettiva e manifesta trasformazione del titolo del possesso da parte dell’imputato».
In particolare, non sarebbe stata provata alcuna condotta che si potesse ritenere integrare «una concreta e manifesta interversione del possesso», atteso che: 1) «on sono stati compiuti atti di disposizione del bene riservati al proprietario, né sono state poste in essere condotte incompatibili con il titolo del possesso»; 2) «on vi è stata alcuna violazione della specifica destinazione di scopo impressa al bene dal proprietario al momento della consegna»; 3) «’imputato non ha manifestato, né espressamente né implicitamente, la volontà di tenere il bene come proprio»; 4) «on sì è verificato alcun comportamento oggettivamente eccedente la sfera delle facoltà ricomprese nel titolo del possesso»; 5) «a condotta dell’imputato si è limitata ad un mero inadempimento contrattuale».
La Corte d’appello di Bari avrebbe omesso di considerare tali circostanze, «decisive per escludere la sussistenza di una effettiva interversione del possesso», con la conseguente insussistenza del reato di appropriazione indebita, «non essendo stata provata la materialità appropriativa richiesta dall’art. 646 c.p.».
2.4.2. Sotto il secondo profilo del dolo, il COGNOME premette che la mera mancata restituzione o il mero mancato versamento di somme non è di per sé sufficiente a integrare il reato di appropriazione indebita se non è accompagnata dall’intenzione di intervertire il possesso e di appropriarsi delle medesime somme.
Nel caso di specie, non sarebbero emersi elementi dimostrativi del fatto che egli avesse «agito con l’intenzione di appropriarsi del denaro per scopi personali. La sua condotta appare piuttosto inquadrabile in un inadempimento contrattuale».
Il dolo del reato non sarebbe stato adeguatamente dimostrato, atteso che «la presenza di pignoramenti, il parziale riversamento delle somme, la prestazione di fideiussione apposita, escludono la sussistenza di tale dolo specifico».
2.5. Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 606 comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., la violazione di legge – specificamente, l’inosservanza dell’art. 646 cod. pen. -, e il vizio di motivazione con riferimento
«all’erronea qualificazione del fatto come appropriazione indebita anziché come inadempimento contrattuale».
Dopo avere trascritto l’ultimo capoverso della pag. 11 e il secondo capoverso della pag. 12 della sentenza impugnata, il COGNOME lamenta la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in quanto la Corte d’appello di Bari, «pur riconoscendo la natura privatistica del rapporto e l’assenza di un vincolo di destinazione pubblicistico sulle somme, pur conscia del ruolo svolto da RAGIONE_SOCIALE, è pervenuta illogicamente alla conclusione che si sia verificata un’appropriazione indebita anziché un mero inadempimento contrattuale».
Dopo avere invocato Sez. 6, n. 37674 del 13/10/2020, Alfonso, Rv. 28028901, il COGNOME deduce che, «el caso di specie, analogamente, il mancato versamento ad RAGIONE_SOCIALE delle somme pattuite contrattualmente configura un mero inadempimento civile».
2.6. Con il sesto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 125, comma 3, e 546, comma 1, lett. e), dello stesso codice, e la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione con riguardo «all’erroneo computo del quantum della pretesa appropriazione e, più generalmente, in ordine al compendio della pretesa appropriazione».
La Corte d’appello di Bari si sarebbe limitata a recepire acriticamente l’importo di C 741.968,43 che era stato indicato nella sentenza di primo grado come oggetto di appropriazione, omettendo completamente di considerare e di valutare elementi decisivi che erano emersi al riguardo dalla relazione del consulente tecnico della difesa AVV_NOTAIO, «con conseguente erronea quantificazione dell’importo oggetto di appropriazione» e vizio motivazionale.
Il COGNOME espone che, dall’indicata relazione del AVV_NOTAIO COGNOME, risultava in particolare che: 1) «- Nel periodo 14/04/2017-30/07/2018 la RAGIONE_SOCIALE aveva ricevuto accrediti sul proprio c/c per complessivi C 2.348.149,90 rivenienti dal servizio di svuotamento parcometri – Nello stesso periodo la RAGIONE_SOCIALE aveva effettuato versamenti in favore di RAGIONE_SOCIALE per C 1.888.220,08 – La differenza tra quanto ricevuto e quanto versato era quindi pari a C 459.929,82, importo notevolmente inferiore a quello ritenuto dalla Corte» d’appello; 2) «- Nel periodo 2017-2018 la RAGIONE_SOCIALE aveva subito pignoramenti mobiliari per complessivi C 265.850,78, somme di cui non poteva disporre per riversarle ad RAGIONE_SOCIALE – Detraendo tale importo, la differenza si riduce ulteriormente a C 194.079,04»; 3) «RAGIONE_SOCIALE vantava crediti nei confronti di RAGIONE_SOCIALE per servizi accessori fatturati per complessivi C 204.960,00».
Da tali elementi, «documentati nella relazione peritale», che la Corte d’appello di Bari avrebbe completamente omesso di considerare e di valutare, sarebbe quindi emerso «che in realtà non vi è stata alcuna appropriazione da parte dell’imputato, risultando il saldo a favore di RAGIONE_SOCIALE».
Il ricorrente contesta anche quanto è argomentato dalla Corte d’appello di Bari nel terz’ultimo capoverso della pag. 11 della sentenza impugnata, atteso che la stessa Corte d’appello, «dove si riferisce in motivazione al ‘calderone’ di operazioni indistinte, non opera una valutazione analitica delle singole operazioni e delle circostanze che le hanno determinate, pur essendo esse evidenziate dal Consulente della difesa, AVV_NOTAIO COGNOME, in difetto di qualsivoglia contraria relazione di Consulente del P.M. e finanche in assenza di alcun accertamento delegato alla Guardia di Finanza».
2.7. Con il settimo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., l’«omessa pronuncia su punti decisivi della controversia».
Lamenta che la Corte d’appello di Bari, violando l’art. 597 cod. proc. pen., avrebbe omesso di pronunciarsi sulle seguenti questioni, che erano state sollevate con il suo atto di appello: 1) «questione della insussistenza della materialità appropriativa per mancanza di effettiva interversione del possesso», attesa la mancanza di «alcuna oggettiva e manifesta trasformazione del titolo del possesso da parte dell’imputato»; 2) «questione del difetto di dolo», alla luce di elementi, non valutati dalla Corte d’appello di Bari, «come la presenza di pignoramenti, il parziale riversamento di somme, la prestazione di fideiussione»; 3) questione dell’«erroneo computo del quantum della pretesa appropriazione», pur a fronte della dettagliata contestazione della quantificazione che era stata operata dal G.u.p. del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE e della produzione di una consulenza tecnica «che evidenziava un importo notevolmente inferiore»; 4) questione della «richiesta di concessione delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena», pur a fronte della deduzione della sussistenza dei presupposti per la concessione di tali benefici, essendosi la Corte d’appello di Bari «limita a un generico diniego della sospensione condizionale».
2.8. Con l’ottavo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione di legge e il vizio della motivazione, in quanto mancante o manifestamente illogica, con riferimento all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., «per erronea valutazione della credibilità delle dichiarazioni dell’imputato alla luce del principio dell’id quod plerumque accidit».
La Corte d’appello di Bari avrebbe «erroneamente valutato le dichiarazioni dell’imputato COGNOME circa le difficoltà di cambio incontrate, omettendo di
considerare la loro intrinseca attendibilità alla luce del principio dell’id quod plerumque accidit».
Il ricorrente espone come egli avesse «costantemente riferito  di aver incontrato oggettive difficoltà nelle operazioni di cambio delle monete metalliche in moneta bancaria» e deduce che tali sue dichiarazioni troverebbero «riscontro nell’id quod plerumque accidit,  considerando la complessità e i tempi tecnici necessari per le operazioni di conteggio, verifiche e accredito di ingenti quantità di monete metalliche».
La Corte d’appello di Bari avrebbe «omesso di valutare la credibilità di tali dichiarazioni alla luce di questa massima di esperienza, in violazione dell’art. 192, comma II, c.p.p.», e le stesse dichiarazioni, «e correttamente valutate, E…] avrebbero dovuto essere considerate attendibili, in quanto conformi all’id quod plerumque accidit, e quindi idonee a escludere o quantomeno a mettere in dubbio l’elemento soggettivo del reato contestato».
L’omessa o l’erronea valutazione delle indicate dichiarazioni dell’imputato avrebbe inciso in modo determinante sulla decisione, «in quanto ha portato la Corte a ritenere sussistente il dolo dell’appropriazione indebita, nonostante le dichiarazioni dell’imputato, se correttamente valutate, avrebbero potuto escluderlo o metterlo in dubbio».
2.9. Con il nono motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione di legge, con riferimento agli artt. 62-bis e 163 cod. pen., e il vizio della motivazione con riguardo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena.
2.9.1. Quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, il COGNOME lamenta che la Corte d’appello di Bari non avrebbe adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza di elementi positivi che avrebbero complessivamente potuto giustificare tale riconoscimento, in particolare, degli elementi positivi costituiti: 1) dalla «condotta collaborati tenuta dall’imputato, il quale ha sostanzialmente ammesso l’inadempimento contrattuale, fornendo chiarimenti sulla destinazione delle somme non versate ad RAGIONE_SOCIALE»; 2) dal fatto che egli aveva «cercato di rimediare al proprio comportamento, presentando proposte di piano di rientro del debito e prestando una fideiussione, espressamente richiesta ed ottenuta da RAGIONE_SOCIALE, una volta palesatosi l’inadempimento contrattuale»; 3) dal suo stato di incensurato; 4) dalle «difficoltà economiche in cui versava la società RAGIONE_SOCIALE, poi dichiarata fallita, che hanno indotto l’imputato a non poter riversare le somme accreditate, in esito ai molteplici pignoramenti»; 5) dall’«assenza di arricchimento personale dell’imputato».
Da ciò l’inadeguatezza della giustificazione del diniego delle circostanze attenuanti generiche.
2.9.2. Quanto alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena, il COGNOME contesta che la Corte d’appello di Bari avrebbe fornito sul punto «una motivazione generica, tautologica e stereotipata , senza considerare elementi favorevoli come l’incensuratezza e la condotta successiva al fatto (conclusione di un accordo transattivo e prestazione di garanzie a mezzo di polizza fideiussoria)» «ed ogni altro elemento indicato sub § 6-1».
Da ciò l’inadeguatezza anche della giustificazione del diniego della sospensione condizionale della pena.
2.10. Con il decimo motivo, il ricorrente denuncia: in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento al rigetto della sua richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale; la violazione dei principi di immediatezza e di oralità; la violazione «del principio deroltre ogni ragionevole dubbio’ e del diritt a un equo processo».
Il NOME espone che, con il proprio atto di appello, aveva chiesto la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale al fine di assumere le testimonianze di NOME COGNOME, titolare di licenza di pubblica sicurezza della RAGIONE_SOCIALE, e del Direttore pro tempore della filiale di Bari della Banca d’Italia. Il primo, «in merito ad alcuni profili delle sue precedenti dichiarazioni, meritevoli di approfondimento», atteso che allo stesso non erano stati «posti quesiti concernenti la trasformazione di monete metalliche in moneta bancaria, la consegna delle prime a Banca d’Italia da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, previa autorizzazione, e il tempo necessario per svolgere ogni operazione, dallo svuotamento dei parcometri, alla presa in consegna dell’RAGIONE_SOCIALE delle monete metalliche e fino all’accredito delle somme sul conto corrente RAGIONE_SOCIALE, nonché l’esistenza di difficoltà operative nel lasso tempo che va dal 14.04.2017 al 06.03.2018, in guisa da verificare se quanto riferito dal COGNOME al Committente RAGIONE_SOCIALE e agli organi di stampa fosse vero». Il secondo, «sui modi e sui tempi di consegna delle monete metalliche da parte dell’RAGIONE_SOCIALE a Banca d’Italia e sulla esistenza di previe autorizzazioni, nonché sulla esistenza di difficoltà operative nel lasso di tempo che va dal 14.04.2017 al 06.03.2018».
Ciò esposto, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Bari avrebbe rigettato la sua richiesta «con  motivazione del tutto carente e illogica che “non sussistono i presupposti per la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale”, senza fornire alcuna specifica argomentazione sul punto».
Secondo il COGNOMECOGNOME l’assunzione delle due testimonianze indicate sarebbe stata assolutamente necessaria ai fini del decidere, in quanto avrebbe «potuto fornire elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti contestati, con particolar
riferimento alla sussistenza di assoluta buona fede del COGNOME, nel palesare, per iscritto, le difficoltà incontrate presso Banca d’Italia nel cambio delle monete metalliche».
La mancata assunzione delle stesse testimonianze avrebbe «compromesso irrimediabilmente la tenuta logica della motivazione», in quanto la Corte d’appello di Bari avrebbe «fondato il proprio convincimento su elementi probatori incompleti e contraddittori», non avrebbe «potuto valutare circostanze potenzialmente decisive per l’accertamento dei fatti» e avrebbe «omesso di considerare una prospettiva alternativa che avrebbe potuto condurre all’assoluzione dell’imputato» In particolare, quella «dedotta dalla difesa nell’atto di appello che le diffic di cambio riferite dal COGNOME rispondessero effettivamente a verità e non costituissero un mero espediente. Tale circostanza, se accertata, avrebbe potuto escludere la sussistenza del dolo in capo all’imputato».
L’immotivato rigetto della propria richiesta avrebbe determinato la violazione del diritto di difesa dell’imputato e del principio del contraddittorio nella formazion della prova, in contrasto con l’art. 24 Cost., con l’art. 6 CEDU e con il principio della colpevolezza «al di là di ogni ragionevole dubbio» di cui all’art. 533, comma 1, cod. proc. pen.
L’ipotesi alternativa che egli aveva prospetto sarebbe stata «plausibile e meritevole di approfondimento istruttorio» e la mancata verifica di essa avrebbe «impedito di escludere ogni ragionevole dubbio sulla colpevolezza dell’imputato, in violazione del principio stabilito dall’art. 6 § 2 CEDU».
Come si è anticipato nell’epigrafe, il ricorrente ha depositato una memoria e conclusioni, prospettando alcune ulteriori questioni relative ai requisiti dell’att di querela, con specifico riferimento al caso di specie.
3.1. Il COGNOME rappresenta come il ricordato atto di «querela-denuncia» del 10/05/2018 a firma dell’AVV_NOTAIO non contenesse «alcuna identificazione del soggetto nei cui confronti si chiede la punizione». E ciò, nonostante il «querelante» «dispone di tutti gli elementi necessari per identificare correttamente il soggetto responsabile, per aver l’RAGIONE_SOCIALE stipulato il contratto di appalto con la società RAGIONE_SOCIALE, rappresentata dall’odierno imputato quale legale rappresentante pro tempore ed amministratore unico, puntualmente indicato nel relativo atto negoziale»; con la conseguenza che «il querelante perfettamente a conoscenza delle generalità del rappresentante legale della società RAGIONE_SOCIALE».
Ciò rappresentato, il ricorrente argomenta che «na querela che non individui alcun soggetto specifico nei cui confronti si chiede la punizione non può considerarsi tale in senso tecnico-giuridico, configurandosi piuttosto come una
generica esposizione di fatti», atteso che la querela «presuppone necessariamente una volontà punitiva specifica e determinata nei confronti di soggetti identificati».
L’atto a firma dell’AVV_NOTAIO COGNOME sarebbe quindi una mera denuncia che non conterrebbe alcuna istanza di punizione, dovendosi ritenere priva di «animus quaerendi, ossia  volontà di perseguire penalmente l’autore del fatto».
Secondo il ricorrente, riconoscere l’idoneità «di querele generiche e indeterminate» comporterebbe una violazione del diritto di difesa dell’imputato, «che ha il diritto di conoscere con precisione i termini dell’accusa e l’identità de soggetto che ha chiesto il suo perseguimento penale». Il che troverebbe il proprio fondamento nell’art. 111 Cost., là dove assicura il diritto a un giusto processo e che la persona accusata di un reato sia informata della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico, nonché nell’art. 24 Cost., che sancisce l’inviolabilità del diritto di difesa.
3.2. Il ricorrente aggiunge che, quando si tratti di enti collettivi, sarebb necessaria «una chiara identificazione del soggetto legittimato e una precisa indicazione della sua qualità e dei suoi poteri rappresentativi», come è richiesto dall’art. 337, comma 3, cod. proc. pen. Secondo il COGNOME, «el caso di specie, tali requisiti risultano non specificati, rendendo impossibile verificare l legittimazione del soggetto che ha presentato l’atto».
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CONSIDERATO IN DIRITTO
I primi due motivi – i quali, per la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono manifestamente infondati.
1.1. Si deve rammentare come la Corte di cassazione abbia recentemente ribadito che, «in tema di possesso di somme di denaro la Suprema Corte, con affermazione risalente nel tempo ma ancora valida stante l’immutabilità del quadro normativo di riferimento, ha affermato che la specifica indicazione del “denaro”, contenuta nell’art. 646 c.p., rende evidente che il legislatore ha inteso espressamente precisare, allo scopo di evitare incertezze e di reprimere gli abusi e le violazioni del possesso del danaro, che anche questo può costituire oggetto del reato di appropriazione indebita, in conseguenza del fatto che anche il danaro, nonostante la sua ontologica fungibilità, può trasferirsi nel semplice possesso, senza che al trasferimento del possesso si accompagni anche quello della proprietà.
Ciò di norma si verifica, oltre che nei casi in cui sussista o si instauri un rapporto di deposito o un obbligo di custodia, nei casi di consegna del danaro con espressa limitazione del suo uso o con un preciso incarico di dare allo stesso una specifica destinazione o di impiegarlo per un determinato uso: in tutti questi casi il possesso del danaro non conferisce il potere di compiere atti di disposizione non
autorizzati o, comunque, incompatibili con il diritto poziore del proprietario e, ove ciò avvenga, si commette il delitto di appropriazione indebita (Sez. 2, n. 4584 del 25/10/1972, Rv. 124301).
Ne deriva che ove il mandatario violi il vincolo fiduciario che lo lega al mandante e destini le somme a scopi differenti da quelli predeterminati può astrattamente integrarsi una condotta dì appropriazione indebita» (Sez. 2, n. 43634 del 23/09/2021, COGNOME, Rv. 282351-01, relativa a una fattispecie concernente un’operazione di cartolarizzazione di provviste finanziarie di una società, di cui era stato deliberato l’accantonamento per il pagamento di oneri fiscali, mediante l’emissione di assegni bancari in favore del nuovo amministratore, da questi successivamente negoziati).
La Corte di cassazione ha altresì precisato, sempre in tempi relativamente recenti, che, «ai fini della configurazione dell’appropriazione indebita nei confronti di beni fungibili e, dunque del denaro, è essenziale che alla “disponibilità” del bene si accompagni l’accertamento di un vincolo di destinazione che deve “accompagnare” la detenzione dal momento del conferimento del bene, non essendo possibile interpretare come “vincolo di destinazione originario” un obbligo di natura civilistica assunto con la stipula di un contratto», cosicché, «n sintesi la appropriazione indebita, o il peculato di un bene fungibile possono essere configurati solo nei casi in cui il bene sia ab origine conferito dal proprietario con un vincolo di destinazione, che viene violato dal depositario» (Sez. 2, n. 49463 del 27/09/2018, Pagan, Rv. 274888-01).
1.2. Rammentati tali principi, affermati dalla Corte di cassazione, tornando al caso in esame, si deve rilevare che, come risulta dal capo d’imputazione, al COGNOME era contestato di essersi indebitamente appropriato, quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, di somme di proprietà di RAGIONE_SOCIALE – in quanto costituivano incassi dei parcometri di proprietà di tale società, concessionaria del servizio dei parcheggi a pagamento del Comune di RAGIONE_SOCIALE -, in particolare, non avendo provveduto a riversare le suddette somme a RAGIONE_SOCIALE dopo che le stesse, previa trasformazione in moneta bancaria, da parte di RAGIONE_SOCIALE, delle monete metalliche che erano contenute nei parcometri, erano state accreditate sul conto corrente di RAGIONE_SOCIALE
Da tanto risulta, con palmare evidenza: a) come il COGNOME, quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, avesse il possesso delle suindicate somme di proprietà di RAGIONE_SOCIALE, delle quali era accusato di essersi appropriato dopo che le stesse erano state trasformate da RAGIONE_SOCIALE in moneta bancaria, il quale possesso, contrariamente a quanto è sostenuto con il secondo motivo, non è in alcun modo escluso dal fatto che, al fine di poter provvedere all’indicata trasformazione, RAGIONE_SOCIALE possa avere avuto a sua volta il possesso delle monete
metalliche e, poi, della moneta bancaria, prima di trasferire quest’ultima sul conto corrente di RAGIONE_SOCIALE; b) come la persona offesa dal reato, in quanto proprietaria delle somme oggetto della contestata appropriazione, fosse non RAGIONE_SOCIALE ma RAGIONE_SOCIALE, con la conseguenza che la titolarità del diritto di querela spettava a quest’ultima società e non, come è sostenuto con il primo motivo, a RAGIONE_SOCIALE
Il terzo motivo – che il ricorrente ha ulteriormente argomentato nella memoria che si è riassunta nel punto 3 della parte in fatto – è manifestamente infondato.
2.1. Quanto alla contestazione secondo cui l’atto del 10/05/2018 a firma dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO non si potrebbe ritenere espressione di volontà punitiva e, quindi, valido esercizio del diritto di querela, si deve rammentare che la Corte di cassazione ha chiarito che, ai fini della validità della querela, l manifestazione della volontà di punizione è desumibile dall’espressione, utilizzata dalla persona offesa dopo l’esposizione dei fatti, “sporgo formale querela” (Sez. 5, n. 21359 del 16/10/2015, NOME, Rv. 267138-01).
In senso analogo, è stato affermato che, ai fini dell’esercizio del diritto di querela, è sufficiente l’espressa qualificazione formale dell’atto con il quale esso viene esercitato, costituendo il termine “querela” sintesi della manifestazione della volontà che lo Stato proceda penalmente in ordine al fatto di reato in essa descritto (Sez. 4, n. 10789 del 30/01/2020, COGNOME, Rv. 278654-01, relativa a una fattispecie in tema di lesioni personali colpose da sinistro stradale, in cui la querelante aveva espressamente dichiarato, con l’atto raccolto nel verbale redatto dalla polizia giudiziaria, di voler “sporgere formale denuncia-querela” nei confronti della persona alla guida dell’auto investitrice).
Nel caso in esame, nell’indicato atto del 10/05/2018, l’AVV_NOTAIO COGNOME, dopo avere esposto i fatti, ha affermato che, «ertanto, con la presente sporgo formale querela per appropriazione indebita o qualsiasi altro tipo di reato dovesse essere ravvisato nella narrativa su esposta nei confronti del legale rappresentante della ditta RAGIONE_SOCIALE e di tutti coloro che dovessero essere individuati  come responsabili di reato» (corsivo aggiunto).
Alla luce dei principi, affermati dalla Corte di cassazione, che si sono rammentati sopra, si deve pertanto ritenere che, con l’evidenziata espressione «sporgo formale querela», il COGNOME abbia validamente manifestato la volontà punitiva.
2.2. Diversamente da quanto mostra di ritenere il ricorrente, ai fini della validità della querela, è sufficiente che l’atto contenga la manifestazione della volontà del querelante affinché si proceda penalmente nei confronti dell’autore del reato – come è avvenuto, per quanto si è visto al punto 2.1, nel caso in esame -,
mentre non è necessaria l’indicazione delle generalità del querelato, anche se note al querelante, il quale querelato ben può essere anche ignoto (Sez. 5, n. 13281 del 25/02/2020, Padovano, Rv. 279073-01; Sez. 5, n. 19827 del 26/02/2003, COGNOME, Rv. 224403-01).
2.3. Quanto alla contestazione relativa al potere dell’AVV_NOTAIO COGNOME di proporre la querela, si deve rilevare come questi, nella dichiarazione di querela del 10/05/2018, si fosse qualificato come Presidente di RAGIONE_SOCIALE, in virtù dell’atto di nomina del 16/04/2018.
Si deve ritenere che, in tale modo – il quale comporta anche un implicito riferimento all’art. 2384 cod. civ. (Sez. 2, n. 36119 del 26/06/2019, COGNOME, Rv. 277077-01; Sez. 2, n. 33444 del 19/05/2005, COGNOME, Rv. 234962-01) l’AVV_NOTAIO COGNOME abbia assolto l’onere, previsto dall’art. 337, comma 3, cod. proc. pen., di indicare la fonte della propria legittimazione a sporgere querela per conto di RAGIONE_SOCIALE
Ciò alla luce del principio, che è costantemente affermato dalla Corte di cassazione, secondo cui, ai fini della riferibilità della querela a una persona giuridica, il disposto di cui all’art. 337, comma 3, cod. proc. pen., si limita richiedere l’indicazione della fonte dei poteri di rappresentanza da parte del soggetto che la presenta e non la prova della veridicità delle relative dichiarazioni, che si deve presumere fino a contraria dimostrazione (Sez. 2, n. 5723 del 16/01/2025, COGNOME, Rv. 287543-01; Sez. 2, n. 23534 del 18/04/2019, Diaz, Rv. 276663-01; Sez. 5, n. 8368 del 26/09/2023, dep. 2014, COGNOME, Rv. 25903701).
2.4. Quanto, infine, alle doglianze con le quali è contestata la presentazione della querela da parte dell’AVV_NOTAIO, la manifesta infondatezza di esse discende dalle considerazioni che la Corte di cassazione ha chiarito che la querela che sia stata sottoscritta con firma autenticata dal difensore – come è avvenuto nel caso in esame, in cui la sottoscrizione dell’AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO è stata autenticata dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO – non richiede ulteriori formalità per la presentazione da parte di soggetto diverso dal proponente, pur se privo di delega scritta, e non richiede, perciò, diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, alcuna procura speciale (Sez. 4, n. 51592 del 29/11/2023, COGNOME, Rv. 285536-01; Sez. 2, n. 6342 del 18/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262569-01. In precedenza: Sez. U, n. 26268 del 28/03/2013, COGNOME, Rv. 255583-01), né, pertanto, che la querela sia presentata da un difensore validamente nominato.
In ordine logico, deve ora essere esaminato il decimo motivo. Esso non è consentito ed è, comunque, manifestamente infondato.
Nel giudizio abbreviato di appello, le parti sono titolari di una mera facoltà di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercitabile dal giudice ex officio nei limiti dell’assoluta necessità ai sensi dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., atteso che in sede di appello non si può riconoscere alle parti la titolarità di un diritto alla raccolta della prova in termini diversi e più ampi rispetto a quelli ch incidono su tale facoltà nel giudizio di primo grado (Sez. 2, n. 5629 del 30/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282585-01).
L’accertamento dell’assoluta necessità dell’assunzione della prova, ai sensi del comma 3 dell’art. 603 cod. proc. pen., è rimesso alla valutazione discrezionale del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivata (Sez. 6, n. 8936 del 13/01/2015, COGNOME, Rv. 262620-01; Sez. 4, n. 18660 del 19/02/2004, COGNOME, Rv. 228353-01; Sez. 4, n. 4981 del 05/12/2003, dep. 2004, COGNOME, Rv. 229666-01).
Nel caso in esame, la Corte d’appello di Bari ha ritenuto non assolutamente necessaria l’integrazione probatoria che era stata sollecitata dall’imputato appellante sulle considerazioni che: a) NOME COGNOME era già stato sentito a sommarie informazioni durante le indagini preliminari; b) nel corso delle stesse indagini, era stata acquisita la nota del 21/01/2019 della filiale di Bari della Banca d’Italia concernente le spiegazioni che erano state addotte dal COGNOME a giustificazione dei ritardi che RAGIONE_SOCIALE aveva accumulato nei confronti di RAGIONE_SOCIALE
Il Collegio ritiene che tale negazione del carattere assolutamente necessario della sollecitata integrazione probatoria – che la Corte d’appello di Bari ha ritenuto confortata anche dagli ulteriori elementi a carico dell’imputato di cui si dirà oltre sia stata congruamente argomentata e, pertanto, non sia censurabile in questa sede di legittimità.
Il ricorrente, peraltro, ha omesso di confrontarsi con la stessa argomentazione, con la conseguenza che il motivo risulta, oltre che manifestamente infondato, prima ancora, non consentito, in quanto del tutto aspecifico.
Il quarto motivo, il quinto motivo, il settimo motivo – nella parte in cui, con esso, è denunciata «l’omessa pronuncia» sui punti «della insussistenza della materialità appropriativa per mancanza di effettiva interversione del possesso» e «del difetto di dolo» – e l’ottavo motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi.
Essi sono manifestamente infondati.
4.1. Cominciando dall’esame del quarto motivo, si deve rilevare come la Corte d’appello di Bari abbia argomentato che dagli atti processuali era risultato che, anziché trasferire immediatamente le somme che erano state accreditate da RAGIONE_SOCIALE
sRAGIONE_SOCIALE sul conto corrente di RAGIONE_SOCIALE – somme che, in quanto costituivano l’equivalente degli incassi dei parcometri, erano di proprietà di RAGIONE_SOCIALE COGNOME, come aveva egli stesso dichiarato, dopo averle fatte confluire «nel calderone di tutti i conti correnti dell’azienda» (cioè di RAGIONE_SOCIALE), ne ave utilizzato una parte per pagare i dipendenti di RAGIONE_SOCIALE e i debiti di tale socie nei confronti dell’erario («una parte di questi soldi sono andati a pagare i dipendenti e i debiti con l’RAGIONE_SOCIALE»), oltre a consentire che le medesime somme fossero in parte pignorate dai creditori di RAGIONE_SOCIALE (terz’ultimo capoverso della pag. 11 e secondo capoverso della pag. 12 della sentenza impugnata).
La Corte d’appello di Bari ha quindi ritenuto che le indicate condotte di disposizione del denaro di proprietà di RAGIONE_SOCIALE: a) integrassero degli atti esterni di signoria sullo stesso denaro, in ordine al quale l’imputato, compiendoli, si era comportato come se fosse stato proprio (secondo capoverso della pag. 12 della sentenza impugnata); b) denotassero la coscienza e volontà di appropriarsi del medesimo posseduto denaro, oltre che il fine di procurare a RAGIONE_SOCIALE un profitto che non le spettava (terzo capoverso della pag. 12 della sentenza impugnata).
Tale motivazione della sussistenza sia dell’elemento materiale sia dell’elemento psicologico dell’attribuito delitto di appropriazione indebita è del tutto priva di vizi logici ed è pienamente conforme alla norma di cui all’art. 646 cod. pen., mentre il ricorrente ha in realtà completamente omesso di confrontarsi con essa, con la conseguenza che il quarto motivo risulta, oltre che manifestamente infondato, prima ancora, non consentito, in quanto del tutto aspecifico.
4.2. Da quanto si è detto consegue anche, in primo luogo, la manifesta infondatezza del quinto motivo, atteso che l’integrazione, per le ragioni che si sono dette, del delitto di appropriazione indebita esclude che la fattispecie concreta in questione costituisse un mero inadempimento contrattuale.
A tale proposito, si deve anche osservare come la Corte d’appello di Bari abbia del tutto correttamente ritenuto che la giurisprudenza di legittimità che era stata richiamata nell’atto di appello del COGNOME e che questi ha nuovamente invocato con il quinto motivo di ricorso, in particolare, Sez. 6, n. 37674 del 13/10/2020, Alfonso, cit., non fosse pertinente rispetto alla fattispecie in esame, atteso che: a) nel caso di cui all’indicata sentenza “Alfonso”, la società di cui l’agente era amministratore aveva in concessione la gestione delle aree di parcheggio comunali a pagamento, tanto che la stessa società era proprietaria dei parcometri, sicché il denaro che veniva versato dagli utenti dei parcheggi quale corrispettivo del servizio prestato era di proprietà della società e non del Comune, al quale il medesimo denaro non apparteneva ab origine, con la conseguenza che doveva
«ritenersi esclusa l’altruità del denaro» e che, quindi, il mancato riversamento al Comune della pattuita percentuale delle somme versate dai privati integrava solo un inadempimento contrattuale; b) nella fattispecie in esame, RAGIONE_SOCIALE non aveva in concessione la gestione delle aree di parcheggio a pagamento del Comune di RAGIONE_SOCIALE – la quale era in capo ad RAGIONE_SOCIALE, che era infatti anche proprietaria del parcometri -, ma, sulla base del contratto di appalto che aveva concluso con RAGIONE_SOCIALE il 16/09/2016, doveva solo effettuare, dietro il corrispettivo del 3% degli incassi dei parcometri, alcuni servizi inerenti la suddetta gestione, quali i prelievo, conteggio e accreditamento degli incassi dei parcometri, sicché gli stessi incassi erano di proprietà di RAGIONE_SOCIALE, con la conseguenza che, diversamente che nel caso della sentenza “Alfonso”, sussisteva l’altruità del denaro e che, quindi, disponendo di esso, mediante gli atti che si sono detti, il COGNOME aveva compiuto la cosiddetta interversione del possesso e aveva perciò commesso il delitto di appropriazione indebita.
4.3. Da quanto si è detto consegue anche, in secondo luogo, la manifesta infondatezza del settimo motivo nella parte in cui, con esso, è denunciata «l’omessa pronuncia» sui punti «della insussistenza della materialità appropriativa per mancanza di effettiva interversione del possesso» e «del difetto di dolo», atteso che, come si è visto, diversamente da quanto è denunciato dal ricorrente, la Corte d’appello di Bari non ha affatto omesso di pronunciarsi su tali punti, in ordine ai quali ha invece motivato in modo del tutto logico e conforme alla legge penale.
Né gli elementi della «presenza di pignoramenti», del «parziale riversamento di somme» e della «prestazione di fideiussione» erano all’evidenza tali escludere che, come è stato correttamente ritenuto dalla Corte d’appello di Bari, gli atti esterni di signoria sul denaro di proprietà di RAGIONE_SOCIALE che erano stati compiuti dal COGNOME denotassero la sua coscienza e volontà di appropriarsene e il suo fine di procurare a RAGIONE_SOCIALE un profitto ingiusto.
4.4. Da quanto si è detto consegue infine anche la manifesta infondatezza dell’ottavo motivo.
Infatti, posto che la Corte d’appello di Bari ha del tutto logicamente e correttamente motivato in ordine al fatto che il COGNOME, mediante gli atti di disposizione che si sono detti, si era appropriato delle somme che RAGIONE_SOCIALE, dopo avere trasformato in moneta bancaria gli incassi dei parcometri, aveva accreditato sul conto corrente di RAGIONE_SOCIALE, davvero non è dato comprendere come le precedenti «oggettive difficoltà nelle operazioni di cambio delle monete metalliche in moneta bancaria», di cui alle dichiarazioni del COGNOME, avrebbero potuto escludere la suddetta appropriazione.
Il sesto motivo e il settimo motivo – nella parte in cui, con esso, è contestata l’omessa pronuncia sulla questione della determinazione dell’entità delle somme oggetto di appropriazione – possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi.
Essi sono fondati, nei termini che seguono.
Con il secondo motivo di appello, il COGNOME aveva tra l’altro contestato l’«erroneità dell’importo fatto oggetto del preteso peculato», invocando quanto era stato in proposito evidenziato nella relazione del consulente tecnico della difesa AVV_NOTAIO e cioè che: a) «la differenza tra quanto la RAGIONE_SOCIALE ha ricevuto da RAGIONE_SOCIALE e quanto ha riversato alla RAGIONE_SOCIALE nel periodo considerato (14.04.2017 – 30.07.2018) ammonta ad euro 459.929,82» (e non a C 741.968,43); b) negli anni 2017-2018, RAGIONE_SOCIALE aveva «subito pignoramenti mobiliari per complessivi euro 268.850,78», con la conseguenza che «i tale somma la Società non ha potuto disporre per poter accreditare, a sua volta, alla RAGIONE_SOCIALE, gli importi rivenienti dall’attività di svuotamento dei parcometri»; c) RAGIONE_SOCIALE vantava verso RAGIONE_SOCIALE un credito di C 204.960,00 per dei fatturati «servizi accessori».
La Corte d’appello di Bari, pur avendo dato atto di tale doglianza, prospettata dal COGNOME con il secondo motivo di appello (pag. 6 della sentenza impugnata), ha tuttavia del tutto omesso di pronunciarsi su di essa, con la conseguente mancanza della motivazione in ordine alla medesima doglianza.
L’esame del settimo motivo – nella parte in cui, con esso, è contestata l’omessa pronuncia sulla questione della «richiesta di concessione delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena» – e del nono motivo resta assorbito dall’accoglimento del sesto motivo e del settimo motivo nella parte in cui, con esso, è contestata l’omessa pronuncia sulla questione della determinazione dell’entità delle somme oggetto di appropriazione.
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio, per nuovo giudizio, a un’altra sezione della Corte d’appello di Bari, la quale si dovrà in particolare pronunciare sulla doglianza dell’imputato è stata indicata al punto 5.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Bari.
Così deciso il 26/09/2025.